1. Zonker
"Quanto tempo è passato dai tempi di Baldoni? Sembrano pochi anni, ma sono molti di più. Un secolo, è passato, fra l'Italia civile e pacifica che trottava sugli scarponi di Enzo e l'agglomerato impaurito e feroce che vediamo ora. Di Enzo, rimane la buona e incuriosita scrittura da 'dilettante', da 'viaggiatore' (parole profondissime, antiche nella cultura italiana: ora spazzate via, coi corrispondenti concetti, dall'assoluta non-traducibilità in italish); il sorriso mite e serio, da italiano che ha viaggiato; e quel coraggio autoironico, da Don Camillo o Peppone, alla 'io-ci-provo' (non fu mica facile ammazzarlo: ci si dovettero mettere in più d'uno, contro l'omone bonario che si difendeva la vita)".
Così più di tre anni fa Riccardo Orioles iniziava su Bloghdad il suo ricordo di Enzo Baldoni, il pubblicitario dell'Alto Tevere, giornalista free-lance, scrittore, navigatore e chissà quante altre cose, ucciso a Baghdad dalla banda che l'aveva sequestrato il 26 agosto 2004. Orioles è un rigoroso giornalista antimafia: cominciò con I Siciliani di Pippo Fava e, coerente con quel modello di giornalismo, ne paga ogni giorno il prezzo.
Con Baldoni Orioles aveva un duplice rapporto di complicità. Aveva aderito tra i primi alla Zonker's Zone, la mailing list che il fantastico umbro aveva messo insieme fin da quando, con lo pseudonimo di Zonker, aveva curato tra il 1997 e il 1999 una rubrica su “Linus”. Zonker (nome di un personaggio della striscia fumettistica Doonesbury di Trudeau di cui Baldoni curava la traduzione italiana) divenne il suo nickname nel mondo digitale e nei suoi blog da tutto il mondo. Baldoni dal canto suo alimentava la Catena di San Libero, una e-zine civico- pacifista promossa da Orioles.
Il pezzo di Orioles su Bloghdad (è il blog aperto da Baldoni alla sua partenza per l'Iraq nel 2003 e, dopo la sua scomparsa, tenuto vivo, aggiornato e curato dalla Zonker's Zone) contiene altre gemme sulle qualità professionali e umane di Zonker: "Era anche - o soprattutto - un artigiano, un grafico pubblicitario del duemila, esattamente come avrebbe potuto essere un buon pittore di bandiere e madonne nel Quattrocento. Con la stessa intimità col mestiere, l'umiltà, l'ironia. E la passione profonda, 'da bottega'. Era spinto a insegnare, a tramandare il mestiere. Per questo, non solo per bontà innata, aveva le sue lezioni gratuite, settimanali. Il mondo allora andava avanti così, coi mestieri ben fatti e trasmessi a chi vien dopo. È una parola antichissima quel fondata sul lavoro. Una parola italiana - di quando l'Italia c'era".
2. Il corpo
"Si è parlato molto di morte in questi giorni: della morte serena di Zio Carlo, filosofo e yogi, che forse sapeva la data del suo trapasso. Guardando il cielo stellato ho pensato che magari morirò anch'io in Mesopotamia, e che non me ne importa un baffo, tutto fa parte di un gigantesco divertente minestrone cosmico, e tanto vale affidarsi al vento, a questa brezza fresca da occidente e al tepore della Terra che mi riscalda il culo. L'indispensabile culo che, finora, mi ha sempre accompagnato".
Con questo fatalismo un po' orientale, un po' stoico ("fa quel che devi, succeda quel che può") Enzo Baldoni affrontò quello che sarebbe stato l'ultimo viaggio. Ma dalla fascinosa Mesopotamia per sei anni e più non tornò neanche il corpo. Venne rapito presso Najaf il 21 agosto 2004 dall'Esercito islamico dell'Iraq, una banda che si disse genericamente legata ad Al-Qaeda, mentre era in missione umanitaria con la Croce Rossa Italiana. Dopo un ultimatum all'Italia per il suo ritiro di tutte le truppe entro 48 ore, venne ucciso: appunto il 26 agosto, presumibilmente. Nel luglio 2005 la Croce Rossa entrò in possesso di un frammento di osso che si pensò potesse appartenere al corpo di Baldoni, ipotesi confermata il mese successivo con i risultati delle analisi del DNA eseguite dal Reparto Investigazioni Scientifiche (RIS) dei Carabinieri. Gli appelli della moglie, la licatese Giusi Bonsignore, non ebbero nell’immediato efficacia, ma forse non sono andati a vuoto. Baldoni è tornato in Italia nel novembre 2010 ed è stato seppellito a Preci, in provincia di Perugia
3. Protomartire
Questo post non contiene niente di originale. E’ l'omaggio ad una persona che vorrei aver conosciuto e a cui mi sento legato da quelle piccole stravaganti coincidenze di cui ogni tanto ci accorgiamo.
Lui umbro di nascita, io umbro d'adozione, curioso delle cose e delle persone speciali della terra dove ho casa; la moglie siciliana di un paese vicino al mio (lei di Licata, io di Campobello di Licata). Dicono che Baldoni venisse di quando in quando nella 'Sicilia Saudita'; è possibile le spiagge ove io andavo a fare il bagno.
I testi che seguono possono servire ai frequentatori di questo blog per un primo approccio alla memorabile figura di Baldoni. Si tratta di due pezzi tratti da "micropolis", il primo scritto, il secondo scelto e curato da Paolo Lupattelli, un giornalista curioso e valente che con Enzo aveva dei progetti in comune, e di un paio di frammenti dal blog di Baldoni in Iraq, contenuti in “Bloghdad”.
Li rimetto in circolo in un momento in cui nell’Iraq, che dicevano pacificato, si moltiplicano gli attentati mortali. E’ Santo Stefano protomartire oggi, la cui santità deriva dal fatto di aver testimoniato, primo tra i cristiani, la propria fede con il sacrificio della vita. (S.L.L.)
Un umbro senza retorica
La vita bella di Enzo Baldoni
E’ passato un mese da quando Enzo Baldoni è stato assassinato nel mattatoio di Baghdad. Per tutto quello che ha fatto e per come lo ha fatto, per quello che è stato detto di lui e di quelli come lui, è diventato un simbolo, una ventata di aria pulita in mezzo alle troppe pestilenze di questi assurdi tempi di guerra. Enzo Baldoni nasce 56 anni fa a Città di Castello. Curioso della vita e del mondo fa il muratore in Belgio, lo scaricatore ai mercati di Parigi, il fotografo a Sesto San Giovanni, l’insegnante di ginnastica, l’interprete e il tecnico di laboratorio, il traduttore dei fumetti di Doonesbury. Infine il pubblicitario: “Faccio il copywriter. Come diceva Walter Mathau in Prima pagina, scrivo poesie su reggipetti e formaggini. Mi piace, è un bel lavoro” . Ci sarebbe tanto da dire su questo personaggio pieno di vitalità, di coraggio, di curiosità, di generosità e di allegria. Eppure scrivere di Enzo Baldoni è difficile. Prima di tutto per rispettare le sue esilaranti ma serissime Disposizioni per un saluto che fanno capire meglio di tante parole il suo carattere, la sua visione della vita. Poi perché grande è il rischio di cadere nella retorica, di ritrarre un santino come spesso avviene nei ricordi. E questo ad Enzo non sarebbe certo piaciuto. Infine, perché a volte le parole non si trovano, ci si sente inadeguati ad esprimere tutto quello che si vorrebbe.
C’è da una parte l’orgoglio di aver avuto la fortuna di conoscere, purtroppo per poco, una persona speciale, un affabulatore ricco di esperienze, d’intelligenza, di disponibilità, di ironia, di entusiasmo contagioso. Dall’altra l’amarezza di non aver potuto approfondire una conoscenza che sarebbe potuta divenire amicizia, di non aver potuto dar seguito ai tanti progetti ventilati, alle tante bevute progettate. Ma se si vuol tentare di capire, di dare un senso alla sua morte le parole bisogna trovarle. Le prime sono di rabbia per le stupide e gratuite provocazioni dei servi sciocchi e guerrafondai che nell’agiatezza delle loro scrivanie caricano le penne di merda e, per soldi e per invidia, sparano su quanto di pulito trovano intorno. A corto di argomenti per sostenere la tesi della missione di pace, della guerra giusta, direttori e redattori con la bandana, soloni e tromboni stonati, non hanno trovato di meglio che ricorrere agli insulti per dare un’immagine distorta di Baldoni e di chi come lui era in Iraq per testimoniare sul campo e non dalle sicure terrazze degli alberghi della zona verde, tutti i casini della guerra. Baldoni è stato descritto come persona avventata, amante dell’avventura, cercatore di scoop. Subdolamente e stupidamente, quasi fosse un’offesa, in molti si sono affannati a dire che era un free-lance, non un professionista. Ma quante lezioni di contenuto e di stile ha dato ai troppi impiegatucci di qualche giornale e di qualche televisione: l’incontro con Marcos in Chapas, l’intervista con il capo dei ribelli di Timor est, il reportage sui guerriglieri birmani, quello sui guerriglieri colombiani che lo sequestrano ma poi finisce che intervista il capo. I più fetenti sono arrivati alla derisione: “uno spocchioso turista per caso che senza conoscere le regole si è spinto in un gioco più grande di lui, uno che in fondo se l’è cercata, un pirlacchione amico dei suoi assassini”. Complimenti per la meschinità. Al contrario, Enzo era un quintale di simpatia, certo trasgressivo, fuori dal comune, scanzonato, ma consapevole dei pericoli e grande scrittore con il senso della notizia. Uno che amava ripetere “come è bella la vita”, non quella comoda e agiata ma quella che si consuma ogni giorno in quei posti dove la vita non vale niente e sembra essere solo un insulto. Per questo si recava nei posti caldi. Per capire e per spiegare, ma anche per agire. La mattina del 19 agosto insieme al suo amico palestinese Ghareeb, Enzo guida un convoglio di medici e volontari della Cri che portano acqua e medicinali a Najaf assediata dagli americani. Prima di partire manda l’ultimo messaggio al suo blog : “Mettiamola così, nelle prossime 24 ore ho la possibilità abbastanza concreta di crepare. Ovviamente non succederà, ma se succederà sappiate che sono morto felice”. Felice perché la missione era riuscita, aveva portato cure e conforto, salvato tanti civili capitati sotto i bombardamenti americani. Questa stupida guerra ci mostra due Italie. Quella spocchiosa, confusa, retorica, egoista, filoamericana del partito della guerra e del petrolio. Quella pulita, coraggiosa, riservata e solidale del partito della pace. Che bella Italia quella di Enzo Baldoni, di Simona Pari e Simona Torretta e di tutti i volontari che in silenzio, senza mai apparire, senza cercare affari e soldi, mettono il proprio lavoro e la propria vita a disposizione degli altri. Che bella Italia quella di Giusy, Gabriella e Guido, la moglie e i figli di Enzo Baldoni, che non piangono in televisione, che non invocano padre Pio, che si dimostrano forti, sereni, orgogliosi, che parlano di Enzo non come di un eroe da avvolgere nel tricolore, ma semplicemente come del babbo. Hanno detto “Enzo non c’è più e nessuno potrà mai ridarcelo, però è anche qui in mezzo a noi. Enzo andava incontro alla vita con un sorriso, continueremo a farlo per lui. Enzo era innamorato della vita, era un inguaribile ottimista. L’insieme di queste cose germoglierà per il mondo e quelle che ci sono dentro di noi stanno già germogliando”. Sta anche a noi, a tutti quelli che credono nella pace, trovare le strade giuste per far germogliare un rinnovato impegno quotidiano. Impegno contro tutti i fondamentalismi sanguinosi, singolarmente e tragicamente complementari tra loro: quello guerrafondaio assassino del terrorismo e quello guerrafondaio degli apprendisti stregoni della guerra preventiva. Impegno prima di tutto per far ritirare subito le truppe italiane, poi per mandare a casa tutti gli avventurieri in bandana che hanno spinto il paese in questo sanguinoso mattatoio. Impegno per far vincere la pace.
Paolo Lupattelli
(“micropolis” settembre 2004)
Disposizioni per un saluto
Ordunque, trascurando il fatto che io sono certamente immortale, se per qualche errore del creatore prima o poi dovesse succedere anche a me di morire - evento verso cui serbo la più tranquilla e sorridente delle disposizioni - ecco le mie istruzioni per l’uso. La mia bara posata in terra, in un ambiente possibilmente laico, ma va bene anche una chiesa, chi se ne frega. Potrebbe essere la Casa delle Balene, se ci sarà già o ci sarà ancora.
L’ora ? Tardo pomeriggio, verso l’ora dell’aperitivo. Se non sarà stato possibile recuperare il cadavere perché magari sono sparito in mare (non è una cattiva morte, ci sono stato vicino: ti prende una grande serenità) in uno dei miei viaggi, andrà bene la sedia dove lavoro col mio ritratto sopra. (...) Vorrei che tutti fossero vestiti con abiti allegri e colorati. Vorrei che, per non più di trenta minuti complessivi, mia moglie, i miei figli, i miei fratelli e i miei amici più stretti tracciassero un breve ritratto del caro estinto, coi mezzi che credono: lettera, ricordo, audiovisivo, canzone, poesia, satira, epigramma, haiku. Ci saranno alcune parole tabù che assolutamente non dovranno essere pronunciate: dolore, perdita, vuoto incolmabile, padre affettuoso, sposo esemplare, valle di lacrime, non lo dimenticheremo mai, inconsolabile, il mondo è un po’ più freddo, sono sempre i migliori che se ne vanno e poi tutti gli eufemismi come si è spento, è scomparso, ci ha lasciati. Il ritratto migliore sarà quello che strapperà più risate fra il pubblico. Quindi dateci dentro e non risparmiatemi. Tanto non avrete mai veramente idea di tutto quello che ho combinato. Poi una tenda si scosterà e apparirà un buffet con vino, panini e pannetti, tartine, dolci, pasta al forno, risotti, birra, salcicce e tutto quel che volete.
Vorrei l’orchestra degli Unza, gli zingari di Milano, che cominci a suonare musiche allegre, violini, sax e fisarmoniche. Non mi dispiacerebbe se la gente si mettesse a ballare. Voglio che ognuno versi una goccia di vino sulla bara, checazzo, mica tutto a voi, in fondo sono io che pago, datene un po’ anche a me. Voglio che si rida - avete notato? Ai funerali si finisce sempre per ridere: è naturale, la vita prende il sopravvento sulla morte. E si fumi tranquillamente tutto ciò che si vuole. Non mi dispiacerebbe se nascessero nuovi amori. Una sveltina su un soppalco defilato non la considerei un’offesa alla morte, bensì un’offerta alla vita. Verso le otto o le nove, senza tante cerimonie, la mia bara venga portata via in punta di piedi e avviata al crematorio, mentre la musica e la festa continueranno fino a notte inoltrata. Le mie ceneri in mare, direi. Ma fate voi, cazzo mi frega.
Enzo Baldoni
("micropolis", settembre 2004)
Dal blog irakeno di Enzo Baldoni (Bloghdad)
Due frammenti
lunedì, 26 luglio 2004
Sembra paradossale, ma il problema, sull'Irak, è che c'è troppa informazione. Siti, blog, articoli di giornale, instant book. In Irak son già passati tutti, decani del reportage di guerra, mezzibusti da sbarco, giornalisti embedded. E i loro pezzi sono tutta una raffica fragorosa di scoppi e spari. Passiamo sotto il fuoco! La macchina sforacchiata dai proiettili! Rimbomba una forte esplosione! Il mio fedele autista! Gli uomini di Al Sadr ci circondano! Si sentono raffiche in lontananza! Salta una mina di fronte a noi! Volute di fumo nero! Un uomo in fiamme!
Eh, la madonna. Quanto casino.
Il materiale è sterminato, vorresti sapere tutto, leggere tutto, informarti di tutto, in una specie di bulimia che alla fine ti strozza e ti ingolfa.
Per fortuna la dritta giusta me l'ha data l'altro giorno Giacomo, giornalista di quelli veri (mica come me, che in fondo sono solo un turista di guerra): "Dai retta a me, a volte l'ignoranza è un vantaggio. O hai approfondito per anni un Paese o ci vai tabula rasa. Arrivi senza preconcetti e, per sbaglio, ti capita di vedere quello che gli altri non vedono. Lo sguardo di Candide..."
Mi piace questo approccio. Meno faticoso. Mi piace l'idea di viaggiare per sbaglio. Mi rilasserò e andrò dove mi guida la panza.
E, speriamo, il culo.
zonker [Enzo G. Baldoni] 02:32, ora di Baghdad
mercoledì, 04 agosto 2004
Sul Mar Morto ti capita di vedere biondine in bikini succinti accanto a musulmane osservanti che, completamente avvolte nei veli neri, fanno il bagno fino al ginocchio .
Vedi un gruppo di uomini, tutti vestiti di bianco, sotto una capannina.
Nella capannina accanto le loro donne, tutte vestite di nero.
Ti vengono pensieri cupi e politicamente corretti di segregazione, di schiavitù, di sottomissione della donna. Poi un colpo di vento sbarazzino solleva un velo nero, rivela uno chignon biondo, scopre una camicetta civettuola, ti porta il trillo di una risata e pensi che, come al solito, appena scavi un po' la realtà è un'altra cosa.
zonker [Enzo G. Baldoni] 17:14, ora di Baghdad