L'intervista, molto bella e puntuale sui temi politico-filosofici, contiene un'inesattezza che farebbe sobbalzare Marcello Rossi, storico collaboratore di Piero Calamandrei e attuale direttore del “Ponte”, che ha sempre amato evitare confusioni non sempre disinteressate tra chi cercava una “terza via” che conciliasse, annacquandoli, liberalismo e socialismo e chi aspirava a realizzare il massimo di socialismo e il massimo di libertà considerandoli indissolubili.
Il movimento cui Luporini partecipò negli ultimi anni del fascismo, insieme a Walter Binni, Norberto Bobbio e altri non è il movimento “Giustizia e Libertà” fondato dai fratelli Rosselli che visse fino ai primi anni 40, dopo l'uccisione dei fondatori e la partecipazione dei suoi volontari alla guerra di Spagna, ma il movimento liberalsocialista ispirato da un manifesto firmato Aldo Capitini e Guido Calogero nel 1937. Calogero, Bobbio ed altri liberalsocialisti, insieme ai GL, nel 1942 fondarono il Partito d'Azione e successivamente promossero, nella Resistenza partigiana, Brigate Giustizia e Libertà. Non così Capitini, Binni e lo stesso Luporini che mai aderirono a organizzazioni così denominate. (S.L.L.)
Il movimento cui Luporini partecipò negli ultimi anni del fascismo, insieme a Walter Binni, Norberto Bobbio e altri non è il movimento “Giustizia e Libertà” fondato dai fratelli Rosselli che visse fino ai primi anni 40, dopo l'uccisione dei fondatori e la partecipazione dei suoi volontari alla guerra di Spagna, ma il movimento liberalsocialista ispirato da un manifesto firmato Aldo Capitini e Guido Calogero nel 1937. Calogero, Bobbio ed altri liberalsocialisti, insieme ai GL, nel 1942 fondarono il Partito d'Azione e successivamente promossero, nella Resistenza partigiana, Brigate Giustizia e Libertà. Non così Capitini, Binni e lo stesso Luporini che mai aderirono a organizzazioni così denominate. (S.L.L.)
Cesare Luporini |
Livorno
Cesare Luporini moriva
nell' aprile dello scorso anno, a ottantaquattro anni. Da tempo,
contrario alla nascita del Pds aveva abbandonato la militanza
politica. Come in un percorso circolare, era tornato a studiare
Giacomo Leopardi, al quale nel 1947 aveva dedicato Leopardi
progressivo. Quel saggio invertì la rotta negli studi sul poeta
di Recanati, la figura centrale, più di Marx, più di Heidegger, del
tragitto filosofico di Luporini, iniziato in Germania, a metà degli
anni Trenta, e proseguito lateralmente rispetto ai grandi filoni del
pensiero italiano del dopoguerra.
Di Luporini si parla oggi
e domani a Firenze, in un convegno all'Università al quale
partecipa, fra gli altri, Norberto Bobbio. Una relazione molto attesa
è quella che pronuncia Nicola Badaloni, filosofo come Luporini, e
come Luporini intellettuale comunista mai allineato agli obblighi di
partito. Ed è con lui che proviamo a ricostruire la personalità di
Luporini. Luporini visse gli ultimi anni lontano dalla politica
attiva. Su cosa concentrò le sue riflessioni?
"Luporini, e non
solo lui, hanno vissuto gli anni più recenti in un isolamento
forzato. Ma la passione politica non venne in lui mai meno, come
confermano l'interpretazione di Leopardi e la sua critica ad
Heidegger. Egli sosteneva che le forze progressiste non dovevano
perdere i loro punti di riferimento, la pace, il rifiuto
dell'emarginazione. Nell'immediato avrebbe voluto che tutto ciò
divenisse motivo di aggregazione. Ogni segnale che indicasse un'unità
dei progressisti a questi livelli alti, lo interpretava come segno
della permanente, profonda vitalità degli italiani, in cui
persisteva a credere".
I rapporti fra Luporini e
il Pci furono difficili fin dai tempi in cui con Ranuccio Bianchi
Bandinelli e Romano Bilenchi, diede vita alla rivista Società.
Che peso ebbero in questa vicenda la sua avversione all'idealismo,
allo storicismo, il suo antidogmatismo e quanto, invece, posizioni
più strettamente politiche? "I rapporti con il Pci non sono
stati facili, ma mai però di rottura. Luporini fu un punto di
riferimento per tutti coloro che respingevano chiusure e
arroccamenti, ma non volevano rotture. Il Pds fu per lui un'altra
cosa, cioè una rinuncia ad approfondire la vastità e profondità
della lotta. Luporini non volle condividere questa ritirata".
Torniamo al Luporini
filosofo. La sua formazione, diversamente da quella di tanti studiosi
italiani, avvenne negli anni Trenta in Germania con Heidegger e
Hartmann. Quanto tutto questo inciderà sul suo pensiero? "Il
contatto con Heidegger fu decisivo. Da lui ricavò l'idea della
finitezza e della drammaticità della situazione umana. Ma questa
vicenda tedesca non fu estranea alla filosofia italiana, bensì un
modo per stabilire con essa una tensione critica".
Ma in che modo Luporini
innestò le esperienze maturate in Germania nel marxismo?
"Durante il fascismo
Luporini partecipò, con Guido Calogero, Aldo Capitini e Norberto
Bobbio, al movimento di "Giustizia e libertà". La
Resistenza e la tendenza di una parte del movimento a chiudersi in
partito lo convinsero che la redenzione dell'Italia dal fascismo e il
suo progresso dovessero sfociare in un più ampio collegamento di
energie della cultura laica e di sinistra con le masse popolari. La
lezione di Heidegger si trasformò nell'idea di un più forte nesso
fra intellettuali e popolo. Non era un' apertura pedagogica, era
piuttosto la percezione che le lotte operaie potessero produrre
fermenti utili alla qualità del lavoro intellettuale. Almeno in un
primo tempo, Luporini sviluppò la filosofia dell'azione di Marx, le
sue audaci previsioni circa la conseguenza del processo di
mercificazione, le contraddizioni che lo sviluppo tecnologico non
poteva non suscitare, mettendo in rilievo l'alternativa che esso
poneva tra una tirannia tecnocratica più o meno mascherata e una
società largamente partecipata in senso democratico".
Questa alternativa è
oggi di straordinaria attualità... "Luporini approfondì questi
temi avendo presenti gli sviluppi più recenti. L'informatica gli
appariva come un potente strumento di dominio. La società complessa,
quella del capitalismo maturo, doveva essere analizzata con strumenti
logici più profondi che non quelli espressi dalla teoria delle
astrazioni storiche. Luporini, a differenza di Louis Althusser,
rifiutò lo storicismo, perché voleva dare della storia una visione
più complessa".
È in questa prospettiva
che si colloca l' interesse di Luporini per Leopardi?
"Leopardi è
l'autore della Ginestra, che profetizza un mondo di uomini
associati contro la matrigna natura. Nei suoi ultimi scritti,
Luporini insiste però sull'assoluta assenza di ogni sicurezza e
finalità garantite, quali erano immaginate scaturire dalla natura
buona. Ogni intenzionalità volta a fine non può che scaturire da
individui umani associati, che accettano la sfida e fanno della
profezia il risultato possibile di uno sforzo eroico. Heidegger aveva
insistito su paura e angoscia come stimoli emotivi profondi in vista
di un'esistenza autentica. Ma nella contemporaneità, l'unica
componente emotiva che può sollecitare l'azione è l'orrore, un
sentimento non analizzato da Heidegger e intravisto da Leopardi.
Secondo Luporini, dopo Hiroshima e Auschwitz, l'orrore deve essere
uno degli impulsi emotivi che spingono dal profondo l'individuo umano
al rifiuto dell'autoritarismo, anche di quello paternalistico, sia
perché non ha occhi sulle miserie del mondo, sia perché può
fungere da transizione a un dominio più feroce".
“la Repubblica”, 13
maggio 1994