Promosse sotto la
dittatura (1964-1985) nell’ottica di saldare questo
paese-continente, le «telenovelas» brasiliane sono cambiate.
Seguite dall’insieme della popolazione, fanno da specchio a una
società in pieno sommovimento. L'articolo qui postato fornisce un
orientamento documentato sul “genere”, sulle sue modificazioni,
sul significato sociopolitico di questi sviluppi. Ho tolto le note,
per praticità. (S.L.L.)
COME "RETE GLOBO" HA COSTRUITO
UNA COMUNITA' IMMAGINARIA NAZIONALE
«Non ci sarà nessuno!»
Il comitato elettorale di Fernando Haddad, allora candidato sindaco
di San Paolo, era stato categorico: la presidente Dilma Rousseff non
poteva pensare seriamente di tenere il suo comizio di sostegno al
candidato del Partito dei lavoratori quel venerdì 19 ottobre 2012,
proprio nell’orario in cui andava in onda l’ultimo episodio di
Avenida Brasil, la telenovela di grido della rete Globo.
Quella sera, decine di milioni di brasiliani avrebbero assistito allo
scontro finale fra le due eroine, Nina e Carminha, per sapere chi
aveva ammazzato Max. Convinta, la presidente aveva spostato
l’appuntamento pubblico all’indomani.
Avenida Brasil ha
segnato il ritorno dei grandi rituali che riuniscono la maggioranza
delle famiglie davanti al televisore. Una pazzia se si pensa che la
telenovela brasiliana, la novela, come si preferisce
chiamarla qui, ha festeggiato i suoi 60 anni nel 2012.
Quando nasce la
televisione in Brasile, le soap opera americane hanno già
conquistato Cuba, via Miami. Ed è naturalmente agli autori
dell’isola spaventati dalla rivoluzione che si rivolgono le reti, a
cominciare dalla pioniera Tv Tupi. Il diritto di nascere,
diffusa nel 1964, è così un adattamento dell’omonima produzione
radiofonica che inondò l’isola caraibica nel 1946. Come a Cuba, la
storia ha una fine, mentre negli Stati uniti può durare decenni. Per
la prima volta, la vita a San Paolo e a Rio si ferma per una
mezz’ora, diverse volte a settimana... ma non nello stesso momento.
La novela non è ancora quotidiana, e la trasmissione in rete
non esiste: non appena l’episodio è stato diffuso a San Paolo, la
pellicola viene portata in aereo o in macchina a Rio (la capitale
fino al 1960).
All’epoca, la trama era
sovente esotica, come testimoniano titoli quali Il re dei Gitani,
Lo sceicco di Agadir o Il ponte dei sospiri. Nel 1968,
Beto Rockfeller segna una rottura. Per la prima volta, l’eroe
vive a San Paolo. Lavora da un calzolaio, in una grande strada
popolare della megalopoli, ma si spaccia per milionario a un altro
indirizzo. Con un vocabolario corrente, riferimenti alle gioie e alle
difficoltà di un Brasile urbano, tanto più efficaci perché alcune
scene vengono girate in esterno, la novela cambia volto. «Da
allora in poi, incorpora le questioni sociali e politiche che
attraversano il Brasile, mentre in Messico o in Argentina si continua
con i drammi di famiglia», spiega Maria Immacolata Vassallo de
Lopes, che coordina il Centro studi della telenovela all’Università
di San Paolo (Usp).
Molti autori
provengono dal teatro
Poi appare Tv Globo, che
s’impadronisce del format. A tal punto che, secondo Bosco Brasil,
un ex autore della casa, «quando si dice “novela brasiliana”, si
pensa “novela di Globo”». Nata nel 1965, un anno dopo il colpo
di stato militare, la rete è inizialmente frutto del genio politico
di Roberto Marinho, che eredita un giornale importante, Globo, ma
privo di influenza a livello nazionale. Egli capisce quanto sia
strategicamente importante per la giunta realizzare l’integrazione
del territorio. Mentre per Juscelino Kubitschek (1956-1961),
quest’ultima passava per la costruzione di una rete stradale, i
militari – al potere tra il 1964 e l’85 – scommetteranno sui
media. E, in questo campo, Globo sarà un pezzo centrale: «Da un
punto di vista economico, ha giocato un ruolo essenziale
nell’integrazione di un paese dalle dimensioni continentali,
attraverso la formazione di un mercato di consumatori. Da un punto di
vista politico, la sua programmazione ha portato un messaggio
nazionale di ottimismo legato allo sviluppo, cruciale per sostenere e
legittimare l’egemonia del regime autoritario», sostiene Venicio
de Lima, ricercatore in comunicazione all’Università nazionale di
Brasilia.
Col tempo, la rete ha
creato «un repertorio comune, una comunità nazionale immaginaria»,
spiega Vassallo de Lopes. Nel 2011, 59,4 milioni di famiglie, ossia
il 96,9% del totale, hanno la televisione, e ogni brasiliano consuma
in media 700 ore di programmi di Globo ogni anno. Mentre il gaucho
(abitante dell’estremo sud del paese), più vicino agli argentini
nel modo di vita, non ha molto a che vedere con un pescatore
dell’Amazzonia o un’agricoltrice del nordest, tutti condividono
ormai il sogno di conoscere Rio, principale contesto delle storie di
Globo, oppure di portare la camicia bianca e la cintura dorata di
Carminha. L’identificazione è tanto più facile in quanto la
frontiera tra fiction e realtà è labile. Quando i brasiliani
festeggiano il Natale, i loro eroi sul piccolo schermo fanno lo
stesso. Il crollo, reale, di un edificio a Rio de Janeiro nel gennaio
del 2012 è commentato dai personaggi di Figura fine il giorno
dopo. E quando, nel corso di un episodio, si seppellisce un finto
deputato, degli uomini politici reali accettano di farsi filmare
intorno alla bara.
Giovani e vecchi, ricchi
e poveri, analfabeti e intellettuali: tutti devono potersi
contemplare in questo specchio. Secondo la psicanalista Maria Rita
Kehl, «queste immagini uniche che percorrono un paese così diviso
com’è il Brasile contribuiscono a trasformarlo in una parodia di
nazione la cui popolazione, unita non tanto come popolo, ma come
pubblico, parla lo stesso linguaggio».
L’innegabile
benevolenza dei militari non spiega da sola come Globo abbia potuto
imporre questa sintassi. Nelle ore di maggiore audience, la rete
riesce a fare la prodezza di diffondere le sue produzioni; in
Francia, in quelle fasce orarie, sono spesso le serie americane a
imporsi. «Tutto questo si deve a un vero talento artistico e
tecnico, che si è concentrato sulla novela», insiste Mauro Alencar,
professore di teledrammaturgia brasiliana e latinoamericana all’Usp.
Quando decide di fare della novela il cuore della rete, Marinho
assume a tutto spiano. Paradossalmente, la dittatura gli facilita il
compito, perché la censura proibisce a buoni attori di teatro,
spesso di sinistra, di portare in scena le loro pièces. È
così che scrittori come Dias Gomes, Braulio Pedroso o Jorge Andrade
si ritrovano a lavorare per il «dottor» Marinho e per la
televisione, che prima disprezzavano.
Contro ogni aspettativa,
questi grandi nomi si vedono offrire una vera libertà dai dirigenti
della rete, che accettano di tener testa ai censori. Globo aveva già
girato 36 capitoli di Roque Santeiro, di Dias Gomes, quando fu
proibita la diffusione della novela. Roque Santeiro conoscerà
un successo strepitoso quando verrà girata di nuovo, dieci anni più
tardi, nell’85, dopo l’avvento della democrazia. Nel 1996, Il
re del gregge di Benedito Ruy Barbosa, un’elegia della riforma
agraria, dà una visibilità inedita al Movimento dei senza terra
(Mst).
«Sono 35 anni che lavoro
per Globo, sono autore di 17 novelas e non mi hanno mai detto cosa
dovevo fare. Sono sempre stato totalmente libero», afferma Silvio de
Abreu, uno dei principali autori della rete. Per Maria Carmen Jacob
de Souza Romano, docente di comunicazione all’Università federale
di Bahia, «i grandi autori hanno un potere di negoziato, certo.
Danno prova di buon senso e non possono trasformare la novela
in un volantino su temi sociali, ma hanno la possibilità di
affrontare i temi a cui tengono, se hanno successo».
Dal centro di Rio, ci
vuole un’ora buona di macchina, quando il traffico scorre, per
arrivare alla Projac, una fabbrica di sogni messa su da Globo a
Jacarepaguá, nella parte ovest della città. Oltre un milione e
mezzo di metri quadrati, al 70% foresta, consentono alla rete di
concentrare, dal 1995, le tappe di produzione di una telenovela.
«Prima, le riprese venivano effettuate in diversi studi sparsi per
tutta la città. Concentrarle consente un’enorme economia di tempo
e di denaro», spiega Iracema Paternostro, responsabile delle
relazioni pubbliche, mostrando una pianta delle istallazioni.
Per fare tutto il giro,
serve l’automobile. Qui, un edificio raggruppa le squadre di
ricerca incaricate degli archivi e degli studi di mercato. Un po’
più lontano, i costumi vengono disegnati, cuciti e accuratamente
conservati, per essere utilizzati in seguito. Poi si entra in un
gigantesco laboratorio di falegnameria in cui vengono elaborati
mobili e allestimenti ideati a pochi metri da lì: un salone del XIX
secolo, una rampa di metro – il tutto in pezzi componibili pronti
per essere montati in qualche ora in uno dei quattro studi di mille
metri quadrati in cui le novelas vengono girate tutti i giorni
dell’anno. I pezzi verranno poi smontati e conservati per le
riprese future, o distrutti per essere riciclati.
All’est del territorio
si trova la città cinematografica, con qualche impianto permanente,
come una curiosa chiesa che dispone di una triplice facciata, una
barocca, l’altra italiana, la terza portoghese. «Abbiamo sempre
bisogno di una chiesa», dice divertito Paternostro, riferendosi
all’inevitabile matrimonio dell’episodio finale. Dietro, ci sono
dei veri angoli di città, che vengono allestiti per nove mesi, la
durata media di una novela. Poiché la metà dell’azione di Salve
Jorge, diffusa all’inizio del 2013, si svolge in Turchia, la
direzione artistica ha ricostruito una piccola Istanbul, fin nei
minimi dettagli: un poster strappato, un libro caduto da una
biblioteca, una teiera tradizionale. Per montare l’allestimento,
sono state scattate sul posto migliaia di foto, ed è stato portato a
Rio un carico di oggetti tipici. Delle squadre hanno anche filmato
per ore la vita di tutti i giorni, i venditori ambulanti, il flusso
delle auto. Al momento del montaggio, le immagini, sempre in
grand’angolo, vengono inserite nelle scene girate nella città
cinematografica. L’illusione funziona a meraviglia. E il
procedimento non riguarda solo le destinazioni lontane: vicino alla
piccola Istanbul, c’è un dedalo di strade che riproduce su 1.800
metri quadrati l’Alemão, una delle più grandi favelas di Rio de
Janeiro. E di nuovo, sembra di starci. Globo ha persino assunto
Adriana Souza, venditrice di empadas (calzoni ripieni di carne
o di gamberetti) perché venda i suoi prodotti nell’allestimento di
cartapesta come fa nella favela.
Il segreto del successo
di Globo è la sua capacità di produrre su scala industriale tutte
le tappe della creazione, per riuscire a diffondere ogni giorno
almeno tre novelas, ognuna delle quali conta tra 140 e 145
episodi di una quarantina di minuti, e dura da sei a nove mesi. Ogni
orario ha il suo stile, secondo un modello stabile dal 1968: la
novela delle 18 affronta un tema leggero; quella delle 19 è spesso
comica; le questioni sociali e i drammi sono riservati a quella delle
21, l’orario «nobile». Quanto alla narrazione, riprende spesso le
ricette tipiche del melodramma, che ruotano intorno alla questione
della famiglia, dell’identità e della vendetta.
Produrre una novela
costa caro: intorno ai 200.000 dollari per episodio, secondo le stime
di Vassallo de Lopes. «Una forte tendenza di questi ultimi anni è
il remake dei grandi successi del passato», spiega Nilson
Xavier, autore di Almanaque de telenovela brasileira (Panda
Books, 2007). «Una scelta imbecille» agli occhi di Gilberto Braga,
uno degli autori più corteggiati di Globo. Per lui, «non esistono
ricette». Una volta che è stata approvata la sua proposta, l’autore
si circonda di un gruppo di assistenti, che scriveranno una parte dei
dialoghi e delle scene a ritmo forsennato. Prima del lancio, viene
girata una trentina di episodi. Fin dai primi giorni della
diffusione, viene accuratamente monitorata la reazione del pubblico,
sia mediante inchieste o attraverso le reti sociali. «La novela è
un’opera aperta - spiega Flavio Rocha - uno dei direttori di Globo.
Una coppia può apparire poco convincente agli occhi del pubblico e
scomparire, mentre un personaggio che era secondario può diventare
centrale se incontra più successo. L’autore si adatta.»
Il discorso sull’«opera
aperta» è un mito coltivato da Globo. Prima di lasciarsi andare
alla propria immaginazione, gli autori sono infatti pregati di
pensare ai costi di produzione: idealmente, le scene che si
svolgeranno in un salone devono essere scritte prima, per essere
immesse nel giro, prima che un’istallazione venga distrutta per
essere sostituita da un’altra nello studio. In questo modo, gli
attori inanellano nello stesso pomeriggio le riprese di scene degli
episodi 8, 22, 24, e 42. Solo chi ha l’abitudine a questo tipo di
riprese riesce a raccapezzarsi nell’intreccio.
Lavorare con una star è
un rompicapo per l’autore: certi attori fanno mettere nel contratto
che andranno alla Projac solo il martedì e il giovedì, oppure
esigono una fortuna per cambiare la loro agenda. Vogliono anche
concentrare le scene che li riguardano nella stessa giornata. «È
per questo, per esempio, che i grandi personaggi non divorziano mai:
questo potrebbe costringerli a uscire dalla loro casa, la loro
scenografia principale, e a girare in moltissime altre», dice
divertito un autore che preferisce mantenere l’anonimato. La
scrittura deve essere semplice, sufficientemente ripetitiva perché
lo spettatore possa riannodare il corso della storia se ha perso
alcuni episodi. I personaggi hanno tuttavia una loro complessità e
la narrazione – che rimanda spesso a un ricco patrimonio letterario
– è abbastanza elaborata da ossessionare la società per anni dopo
la sua diffusione.
Per di più occorre
raggiungere tutte le classi sociali: «È l’imperativo della
novela, come del telegiornale di Globo. E tuttavia scrivere
per tutti è in apparenza un controsenso. Quelli che ci riescono sono
rari», afferma Bosco Brasil. Essere autore di novela non è
mica da tutti: «Tra il 1989 e il 2004, 25 novelas sono state
diffuse nell’orario nobile, ed erano firmate soltanto da sei
autori, che si alternavano», conferma Souza Romano. Il salario dei
membri di questo piccolo club supera spesso i 100.000 euro al mese.
Donne delle pulizie
come eroine
Una fortuna per gli uni,
ma una somma trascurabile rispetto a quanto frutta questo prodotto
artistico e commerciale. Si calcola che una pubblicità di trenta
secondi durante la novela in orario nobile costi intorno ai 350.000
real (circa 115.000 euro). E per l’ultimo atto di Avenida Brasil
il prezzo è raddoppiato. Quella sera, l’episodio durava 70 minuti,
quasi due ore con la pubblicità. Tra gli spot regionali e nazionali,
sono stati venduti 500 spazi.
Lo specchio della
modernità funziona ancora meglio se integra un discorso pedagogico
sulle grandi cause assunte dalla rete. Secondo studi della Banca
interamericana di sviluppo (Bid), le novelas hanno giocato un
ruolo nella forte riduzione delle nascite – il tasso di natalità è
sceso del 60% dagli anni ’70 – e nel numero dei divorzi, di
cinque volte maggiori (3). La leucemia di Camila, personaggio di
Legami di famiglia, diffuso nel 2000, ha provocato
un’esplosione di donazioni d’organi. «Alcune novelas
hanno anche contribuito molto a fare accettare l’omosessualità»,
aggiunge Silvio de Abreu, ricordando che Globo dispone di un
dipartimento incaricato di suggerire temi sociali.
Spesso politicamente
corretta, l’evocazione di dibattiti sociali costituisce una
caratteristica della novela brasiliana. Per Globo, pezzo centrale
delle Organizzazioni Globo, il primo conglomerato mediatico
dell’America latina, controllato solo dalla famiglia Marinho, «c’è
anche un modo di darsi una buona immagine, quella di una rete privata
che si preoccupa di una missione di utilità pubblica», rileva Souza
Romano. Dal canto suo, Alencar vuole credere che l’antico motto di
Globo, «A gente se vê por aqui» («Qui, si ritrova la propria
vita»), e quello attuale, «A gente se liga em você» («Siamo
collegati con voi»), «non sono solo slogan pubblicitari; dimostrano
l’intensa relazione di identificazione del pubblico e l’interesse
della rete per i grandi temi nazionali».
Mantenere questa
relazione non è semplice. Da una parte perché anche se Globo resta
la regina incontestata della novela – le altre reti si
ostinano a copiare il suo modello di produzione senza dotarsi dei
mezzi per metterlo in pratica –, soffre la concorrenza di internet
e del disinteresse di una parte della gioventù. Fino agli anni ’70,
il punteggio medio dell’audience raggiunto dalle novelas
superava spesso il 60%. Oggi, catturare l’interesse del 40% delle
famiglie rappresenta un successo. Nel 2012, l’audience totale di
Globo ha raggiunto il livello più basso della storia, con una caduta
del 10% – che certo ha colpito tutti i canali. «Il problema è che
si guarda la novela sul proprio computer, sul telefono, e noi
non disponiamo ancora di alcuno strumento di rilevazione per questi
supporti», lamenta Alencar.
Di fatto, contro ogni
previsione, la caduta dell’audience non ha significato riduzione
dei guadagni: le novelas fruttano più che mai. Nelle agenzie
di pubblicità, si ammette che questo è in parte il risultato di una
certa inerzia. Come per la carta stampata, è più facile spingere
gli inserzionisti a concentrare il loro budget su qualche titolo,
senza tener conto del loro impatto minimo. E questa illusione è
alimentata dal fatto che la novela ha contaminato tutti gli
spazi: le sono dedicate decine di riviste, le reti sociali alimentano
la suspense, per non parlare degli specialisti di ogni genere
invitati a parlare del fenomeno in altre trasmissioni della rete, ma
anche nelle colonne del giornale O Globo, e così nelle radio e negli
altri canali legati al gruppo – una sinergia ancora poco studiata
nelle università. «Si parla e si sente sempre più parlare della
novela senza necessariamente vederla», afferma Brasil.Tanto più che
la società brasiliana è profondamente cambiata nel corso degli
ultimi dieci anni, con l’uscita dalla povertà di oltre cinquanta
milioni di persone, che hanno avuto accesso al mercato del consumo di
massa, e una sensibile riduzione delle disuguaglianze. «Sono
famiglie il cui potere d’acquisto è aumentato considerevolmente.
Diventa quindi più interessante investire in pubblicità», precisa
Alencar.
È peraltro una delle
ragioni dell’enorme successo di Avenida Brasil, che deve il
suo nome alla via a scorrimento rapido che collega i quartieri
periferici del nord alla zona sud di Rio de Janeiro, ricca e
turistica. Decisivo non è stato tanto l’intreccio – una giovane
cresciuta su una discarica municipale vuole vendicarsi per essere
stata abbandonata dalla matrigna diventata ricca – quanto la
comparsa di un nuovo tipo di protagonista. Le tradizionali scene
sulle spiagge di Ipanema o di Copacabana, i quartieri più altolocati
di Rio, sono state rimpiazzate da un’immersione in un quartiere
fittizio, il Divino, tipico della piccola classe media della zona
nord della città. Non è la prima volta che i poveri vengono messi
in scena; ma, generalmente, il loro solo sogno, che si realizzava nel
momento dell’happy end, era quello di accedere alla Rio
ricca e distinta. Non così in Avenida Brasil: Jorge Tufão,
l’eroe, diventato milionario grazie al football, resta nel
quartiere della sua infanzia. Lì si parla ad alta voce, non si sanno
usare le posate, ma lui si trova bene. Enorme successo presso quella
che il governo s’impegna a descrivere come una «classe media
emergente» (in realtà più una «frangia povera» della popolazione
attiva), che si vede per la prima volta in scena, come presso i più
ricchi, che hanno in questo modo accesso a un mondo sconosciuto.
Questo mix di fierezza
per gli uni e di curiosità per gli altri spiega anche la risonanza
di Piene di fascino (2012), in cui le eroine sono tre donne
delle pulizie: mai visto. «Fino ad allora, era un personaggio
secondario, e spesso caricaturale: la donna di servizio che si occupa
di tutto nella vita della padrona, senza avere un’esistenza
propria», spiega Xavier. Tra l’aumento del salario minimo, passato
da 70 a 240 euro tra il 2002 e il 2013, e l’aumento del livello
dell’istruzione – la proporzione di giovani di 19 anni che sono
andati a scuola per almeno 11 anni è passata da 25,7% nel 2001 al
45% nel 2011 –, il rapporto di forze è iniziato a cambiare nella
società, spingendo gli autori, Filipe Miguez e Izabel de Oliveira, a
immaginare questa sceneggiatura. «Prima, la donna di servizio
appariva solo attraverso le sue funzioni. Noi abbiamo deciso di
seguirla nella sua vita, nella sua casa, nella strada, nei suoi
sogni», racconta Miguez. Ancora una volta, la prodezza è stata
quella di essere riusciti a non aizzare i più ricchi, dalle idee ben
poco progressiste, come ha precisato l’autore: «Abbiamo fatto un
sondaggio che poneva domande del tipo: “È appropriato che una
domestica salga sul vostro stesso ascensore?”, e la maggioranza ha
risposto di no».
Mentre negli uffici della
Projac sono in molti a riflettere sulle trasformazioni economiche e
tecnologiche che scuotono il paese, de Abreu si sente filosofo: «Che
la si guardi su Internet o su un telefono, per me, questo non
cambierà niente: dovrò sempre svegliarmi presto e scrivere fino a
mezzanotte, per produrre un capitolo al giorno».
"Le Monde diplomatique - il manifesto" Luglio 2013 - Traduzione di E. G.