5.4.11

Antigone, mito eterno a lettura multipla (di Federico Condello)

Ho proposto un paio di mesi orsono un "post" che rievocava una polemica degli anni Ottanta sulla figura di Antigone che coinvolse Rossanda, Placido, Guarini, Canfora e molti altri (http://salvatoreloleggio.blogspot.com/2011/04/la-terza-guerra-mondiale-e-gia.html ). Su "Alias" del 26 marzo trovo la recensione di un reading che dà conto di nuove interpretazioni e nuove polemiche su Antigone e sulla tragedia sofoclea che ha fissato i contorni del mito. La propongo qui come utile corollario.

I partigiani di Antigone, si sa, sono legioni. Sulle dita di una mano si contano invece i fan di Creonte.
Se si esclude il celebre, e tutto sommato equanime, verdetto di Hegel, così autorevole da condizionare in tempi recenti tanto Derrida quanto la Nussbaum; se si esclude qualche sporadico elogio del re tebano in nome della ragion di Stato, come quello che si legge, dimenticato ma vigoroso, ne Il testamento di Dio di Bernard-Henri Lévy (1979); se si esclude qualche ritratto bonario, come quello che a Creonte dedica Anouilh nella sua Antigone (1944), non a caso
passata indenne al vaglio della censura nazista; se si esclude il costante (e spesso vano) richiamo
degli antichisti alla natura storica dei valori incarnati dall’eroina: valori che non sono astratta «pietà» o astratta «coscienza», ma concreto retaggio aristocratico; se si esclude questo e poco altro, il giudizio dei secoli coincide con quello che nella tragedia di Sofocle il principe Emone riferisce al padre Creonte: tutta la città è con lei.
Naturalmente «eterna» – secondo il titolo-slogan di Romain Rolland –, Antigone sembra conoscere,
da almeno due secoli, due distinte forme di reviviscenza: a resuscitarla è ora il generico richiamo a valori imperituri – sono le fasi di stanca –, ora invece l’urgenza di precise congiunture storiche; ecco allora le Antigoni più sfacciate, da quella dello stesso Rolland (siamo in piena Grande Guerra) a quella di Brecht (è il 1948), da quella di Bultmann (1936: tre anni dopo il cancellierato di Hitler, e il rettorato di Heidegger) fino a quella, ispirata agli anni di piombo, di Böll (1979). A quale di tali fasi appartiene l’Antigone di Sofocle, riscrittura fra le riscritture, certo non poco ancorata alla realtà dell’Atene periclea?
L’ultima raccolta di saggi sul tema (Antigone e le Antigoni Storia e fortuna di un mito, a cura di Anna Maria Belardinelli e Giovanni Greco, Mondadori Education, pp. XII-316, € 23,00) pone queste e altre domande. Si troveranno qui convincenti analisi dell’«originale» sofocleo, attente alla lettera del testo come al suo intertesto letterario e iconografico, fra cui spiccano i contributi di O. Taplin, F. Ferrari, A. Rodighiero, R. Nicolai e – in una magistrale nota postuma – L.E. Rossi; si troveranno sintesi di storia operistica e teatrale, con i lavori di F. Piperno e R. Guarino; si troveranno gli affondi antropologici di M. Bettini e particolareggiate analisi di singole riscritture,
come quella che M.P. Pattoni dedica a Sérgio de Sousa. In apertura, un dotto ed equilibrato saggio della Belardinelli, e, in chiusura, un’audace versione di Sofocle – più che traduzione, sofferto esercizio di decalcomania, tra picchi aulici e picchi colloquiali – a firma di Greco: che orecchia a suo modo, con rincari retorici, lo stile traduttivo di Sanguineti, e giunge a invocare, lui per primo, una «moratoria» sul mito di Antigone.
Moratoria – ovviamente – non ci sarà: e Antigone resterà testardamente «eterna».

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