26.4.11

Ogni dio ha l'albero che si merita (di Alessandra Iadicicco)

Dall’articolo di Alessandra Iadicicco Ogni dio ha l’albero che si merita in “La Stampa”, 11 gennaio 2011 riporto il finale d’informazione mitologica. (S.L.L.)
Kos. Il platano di Ippocrate
Nell'antica grecità l'acero era dedicato a Febo, il dio del terrore figlio di Ares dio della guerra, e i suoi rami potevano mettere in fuga il nemico in battaglia. Il castagno fu creato da Giove per la casta ninfa Nea, che a quel divino innamorato volle rifiutarsi dandosi la morte. Il noce era l'albero di Caria, l'amata di Dioniso, e anche di Persefone, la regina degli inferi: dunque un emblema ambiguo di fecondità e di desolazione. L'olmo invece era caro a Ermes, il solare messaggero degli olimpi, come agli Oneroi, le divinità della notte e del sogno.
Ma non solo l'Ellade venerò piante tanto longeve, possenti, maestose. La quercia, maestà incontrastata delle foreste, fu sacra al greco Zeus, al latino Giove come a Thor, il dio del tuono della mitologia norrena, mentre i Druidi, che credevano nelle virtù magiche dei suoi germogli, li raccoglievano con falci d'oro per ornarne le corna di tori bianchi. La betulla, simbolo di purezza, saggezza e scienza, fu oggetto di culti sciamanici, adorata dagli amerindi e dalle popolazioni nordiche. Il faggio era foriero di luce e pilastro dell'anno solare per i Celti. E il grande frassino, Yggdrasil, che toccava con le radici il mondo infero e con le chiome quello celeste, era l'albero cosmico degli Scandinavi e dei Germani.
Ci sono giganti soprannaturali, eppure vivi: ancora oggi da ammirare in una natura resa significativa dai culti e dalla cultura. Li troviamo nelle foreste di Verzy, vicino a Reims, dove crescono i sontuosi faggi ritorti festeggiati al solstizio d'inverno. Nei boschi di Fontainebleau, dove tuttora vegeta la quercia di Giove. Sull'isola di Kos, dove con una corona di quattordici metri di diametro getta ancora la sua ombra il grande platano d'Ippocrate. Pare che il fondatore della medicina visitasse i pazienti sotto le sue fronde, confortandoli con la visione di quel simbolo di rigenerazione sul cui grande tronco levigato la corteccia ricresce sempre a placche come la pelle di un serpente. Ma non c'é albero che non sappia dare lo stesso conforto: perché l'albero, messo a fuoco dall'occhio che lo osservi con rispetto come depositario di antica sapienza, é per i popoli di ogni tempo tra i più grandi simboli della vita. 

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