28.4.11

Charles Aznavour (Giovanni Vacca - da "alias" 9 aprile 2011)

In attesa dell’esibizione romana di Charles Aznavour all’Auditorium, svoltasi il 13 aprile successivo, Giovanni Vacca, su “alias” del 9 aprile 2011, ha pubblicato un articolo sullo chansonnier franco-armeno, di cui qui riporto un ampio stralcio.  (S.L.L.)

Aznavour è, insieme con Juliette Gréco, l'ultimo grande rappresentante che ci resta di quella straordinaria stagione della canzone francese apertasi nell'immediato secondo dopoguerra quando il clima esistenzialista che dominava in Francia, le lotte sociali, il ricordo dell'occupazione nazista e alcuni cambiamenti nel costume favorirono l'emergere di tematiche nuove nella canzone: alfieri di questa «rivoluzione», che sotto il profilo musicale e scenico portava a compimento le sedimentazioni di una lunga tradizione espressiva sviluppatasi nell'arco di un secolo, furono una schiera di eccezionali figure come Ives Montand, Léo Ferré, Georges Brassens, Jacques Brel, Gilbert Bécaud, Boris Vian, Serge Gainsbourg (e, tra le donne, la menzionata Juliette Gréco affermatasi accanto alla già popolare Edith Piaf) che proseguirono l'opera di modernizzazione iniziata da Maurice Chevalier, Mistinguette e Charles Trenet. Quell'irripetibile momento storico si concluse più o meno verso la fine degli anni Settanta, dopo il grande successo della canzone impegnata sull'onda del '68, con la scomparsa di alcuni dei protagonisti (Brel nel '78, Brassens nell'81) e la definitiva trasformazione della scena musicale sotto la pressione del rock e della canzone d'autore statunitense.
Rispetto agli autori «engagés» come Brassens o Ferré, Charles Aznavour è stato però spesso visto come un personaggio sostanzialmente estraneo a quella tradizione, un autore commerciale, un cantante confidenziale alla Sinatra, oltre che un oculato amministratore del proprio talento. In realtà Aznavour è molto più di tutto questo e merita sicuramente una riconsiderazione critica che lo riporti al posto che gli spetta nella storia della canzone d'oltralpe.
Nato a Parigi da famiglia di origine armena (si chiama in realtà Charles Aznavourian), cresciuto ascoltando sia le canzoni dell'epoca trasmesse dalla radio che quelle della propria comunità che si riuniva nel ristorante gestito dal padre, appassionato di musica e cantante occasionale, l'artista francese è innanzitutto lo chansonnier che, più di ogni altro, ha puntato fin dall'inizio sul mercato estero oltre che su quello interno: registrando in molte lingue straniere e sottoponendosi a lunghe ed estenuanti tournée internazionali nella sua lunghissima carriera egli è senz'altro diventato, rivaleggiando forse con la sola Edith Piaf, il cantante francese più noto al mondo. La scelta di lavorare molto anche all'estero … lo ha indotto nel tempo, al fine di ampliare costantemente il suo pubblico, a soluzioni musicali «mainstream» e tarate sul gusto prevalente del paese in cui i suoi dischi sarebbero usciti, con l'ingombrante presenza di orchestrazioni ridondanti e l'innesto non sempre felice di sonorità derivate da quella che allora veniva chiamata musica «leggera».
Le sue prime composizioni lasciano invece intravedere una notevole capacità nella costruzione di canzoni perfettamente in linea con quelle dei suoi colleghi e funzionali a valorizzare la sua particolare vocalità tramite l'uso intelligente di stilemi ritmici di tipo jazzistico o richiami alle musiche popolaresche urbane. Come per molti cantanti venuti alla ribalta nel secondo dopoguerra, agli inizi della sua carriera il problema era una voce che non corrispondeva ai canoni allora in voga, ancora legati a criteri di immediata gradevolezza: gli si rimproverava, insomma, di voler interpretare canzoni che sarebbe stato bene far cantare ad altri (erano quelli, ricordiamolo, anni che dal punto di vista musicale coincisero con la progressiva legittimazione della vocalità «naturale», cioè non educata, finalmente accettata dal pubblico di massa grazie proprio a quegli interpreti che seppero imporla nella canzone popolare). La tenacia dello chansonnier e il suo grande successo fecero sì che questi giudizi fossero in seguito completamente rovesciati, fino a che i critici scrissero
addirittura che le sue canzoni non avrebbero potuto essere eseguite che da lui stesso, cioè da quella voce caratterizzata da una «cavernosa raucedine» e «ricca di tonalità tragiche», come scrisse Ives Salgues (che curò la raccolta dei suoi testi in un volume della serie Poètes d'aujourd'hui, la prestigiosa collana creata nel 1944 dall'editore Seghers). Aznavour fu inizialmente apprezzato soprattutto negli ambienti bohèmien del Quartiere Latino, che videro in lui il cantore dell'inquietudine esistenziale e del sarcasmo contro il perbenismo e i suoi rituali come in Je hais les dimanches, un pezzo degli anni Cinquanta (ma le prime canzoni sono difficili da datare con precisione) e di un nuovo modo di pensare l'amore in un rinnovato clima culturale, che consentiva all'erotismo e alla sensualità di cominciare a circolare più liberamente nella canzone come già accadeva nel cinema e nella letteratura. I testi delle sue composizioni dunque, forse davvero come quelli di nessun altro, possiedono un'eccezionale capacità di raccontare la passione amorosa e i dubbi, le inquietudini, le incomprensioni e le lacerazioni del rapporto di coppia con un linguaggio scabro e franco, ricco di immagini e che, pur impiegando prevalentemente parole di uso corrente, non è privo di momenti di autentica poesia: «Non desideravo, ma proprio per nulla, - ricorda in un suo libro autobiografico (A bassa voce, pubblicato anche in Italia) - scrivere delle canzoni nello stile di quelle che ascoltavo alla radio. Questo non significava che non le apprezzassi, al contrario. Ma ciò che mi importava era raccontare la vita come la vedevo attorno a me, senza fiorettature, senza abbellimenti di versi alessandrini. Non avevo la pretesa di essere un poeta». In brani come Je veux te dire adieu, per esempio, la fine di un amore è esplicitamente associata alla percezione del godimento dell'ex amante tra le braccia di un altro uomo, mentre, in Mourir d'aimer, il dolore di una separazione viene vissuto come baratro esistenziale («Le pareti della mia vita sono lisce/ mi ci aggrappo ma scivolo lentamente verso il mio destino/ morire d'amore»). Aznavour ha cantato anche, specialmente ai suoi inizi, il mondo dei marginali, quello delle bische di poker e della Parigi che vive ai margini della legalità, come in Moi j'fais mon rond, ma una sua costante fonte di ispirazione è stata la vita degli artisti, in genere mostrata nei suoi aspetti duri e difficili ma allo stesso tempo ammalianti. Così, nel quadretto de Les comediens, si ricorda la fatica degli attori da baraccone, ma anche l'incanto che provocavano nelle piazze di paese o di periferia, e l'ironica Je m'voyais déjà è dedicata alle illusioni di chi pensa di sfondare facilmente nel mondo dello spettacolo («Mi vedevo già raccontare la mia vita/ l'aria annoiata, a dilettanti avidi di consigli»). La struggente e celeberrima La bohème, invece, descrive le difficoltà a tirare avanti di un giovane pittore di Montmartre e della sua compagna, intrecciandole a una denuncia delle mutazioni urbanistiche di Parigi che cancellano i luoghi della vecchia città.

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