5.4.11

Ritratto di Nino Defilippis (di Gian Paolo Ormezzano)

Il nome del ciclista Nino Defilippis, nella mia memoria, è legato all’ascolto radiofonico della tappa (del Giro o del Tour), gioia e dolore di tanti miei infantili pomeriggi. Tifavo per Defilippis, forse perché quel cognome per me un po’ strano, con la consonante finale, mi ricordava De Amicis e il Cuore, uno dei libri che più amavo. Defilippis è morto a 78 anni, nella sua casa torinese, il 9 luglio 2010. L’indomani “La Stampa” ne ha pubblicato un ritratto, di Gian Paolo Ormezzano, che a me sembra una bella pagina di giornalismo. (S.L.L.)
Uno di quegli articoli che non si vorrebbe mai scrivere, tanto sono insieme inevitabili, assurdi, balordi, duri: e' in morte, per il male che si sa, del ciclista e amico Nino Defilippis detto il Cit, «il piccolino» in piemontese, uno che era nato campione come un altro nasce cinese, uno che ha vinto molto ma ha vinto meno di cosa avrebbe potuto e dovuto, e però ha lasciato segni assai importanti, su tutti quelli della spavalderia, del coraggio, dell'onesta' persino sfacciata. Come quando rimproverò Coppi, il suo dio, che gli chiedeva di fargli una iniezione per darsi carburante a più ottani in vista di un abbastanza piccolo impegno su pista: andò a finire che i due si divisero la siringa. Di nome all'anagrafe di Torino, dove era nato il 24 marzo 1932, faceva Nicola, ma da subito, dal 1952 del suo esordio fra i professionisti, nella Legnano di Bartali (poi passò alla Torpado, quindi alla Bianchi di Coppi), quando aveva appena vent'anni, fu Nino, da Nicola cioè Nicolino, e poi Cit, come lo soprannominò il giornalista Carlo Bergoglio detto Carlin. In quell'anno, nel suo primo Giro d'Italia, divenne, a 20 anni, 2 mesi e 15 giorni, il più giovane vincitore di tappa e il piu' giovane titolare di maglia rosa. Nino ha corso il Giro 13 volte, miglior piazzamento il terzo posto del 1962, primo alla fine Balmamion suo compagno di squadra, e fu anche il suo Giro più triste: perché proprio nel suo Piemonte, a Casale, si trovo' nelle retrovie, staccato e male accompagnato, intanto che Balmamion andava a prendersi il primato (definitivo) in classifica. Nino era il capitano, si sentì tradito, lasciò la carovana annunciando il ritiro, fu ripescato nella notte a Torino dal manager Giacotto e dal fotografo/amico Bertazzini, riprese il via indennizzato debitamente. Forse poteva vincere quel Giro, forse anche un altro se gli avessero dato indumenti giusti per la neve. Nino aveva anche vinto un Giro delle Fiandre, in volata facile sull'inglese Tom Simpson, ma al terzo e ultimo passaggio sul traguardo del circuito finale avevano spostato avanti la linea d'arrivo, lui non se ne accorse e freno' per consegnarsi agli abbracci, Simpson tirò avanti deluso e fu primo sul traguardo vero. Era un ciclismo matto, generoso, strapopolare. Il suo. Nel 1956 il Tour arrivava, per la prima volta, a Torino: il Cit andò in fuga con altri di media classifica, vinse la volata allo stadio Comunale, su terra battuta, «soffiato» davanti a tutti dal ruggito/rantolo amoroso di sessantamila persone richiamate dalle radio. Un amico di Coppi, Pino Villa, aveva comprato al buio l'incasso, a un certo punto gli mancarono i biglietti, aprì i cancelli, la notte dormì in un albergo davanti alla stazione con tanti ma tanti soldi sotto il letto, il mattino tornò alla sua Novi Ligure e si comprò un paio di appartamenti. Alle redazioni dei giornali torinesi il padre del Cit spedi' casse di agnolotti, quelli dell'industria di famiglia che in questi ultimi anni Nino aveva riproposto alla grande. Passato alla Carpano, Defilippis, doveva portare la maglia bianconera: tifosissimo del Toro, nel 1960 e nel 1962 fece di tutto pur di diventare campione d'Italia e andare quindi in corsa vestito di tricolore e non con le strisce juventine. Ha vinto corse importantissime come il Giro di Lombardia. Ha vinto anche all'estero, specialmente in Francia e Svizzera. Sue 9 tappe su 13 Giri, 7 su 4 Tour. Nel 1960 in Francia stava in Nazionale con Nencini che portò a Parigi la maglia gialla: quasi quasi si scrisse di piu' del ciarliero picaresco piemontese - suoi 2 traguardi - che del silente tenebroso toscano. L'anno dopo il Cit fu secondo al Mondiale di Berna, dietro a Van Looy. Lasciate le corse nel 1964, Defilippis ha fatto il commissario tecnico della Nazionale dei professionisti nel 1973, a Barcellona, quando Gimondi vinse una volata iridata, chiusissima a priori, su Merckx e altri draghi. Nino e Felice andavano d'accordo, parlavano e soprattutto pensavano in torinese e in bergamasco, pronuncia greve e sorella, fra di loro bastavano monosillabi. Diventando vecchio Defilippis aveva tenuto insieme, con Angelo Marello suo «fratello», tanto ciclismo piemontese, era un faro per chi voleva farsi illuminare bene Coppi, che nel Giro del 1953 gli aveva chiesto il favore di aiutarlo a strappare il rosa allo svizzero Koblet: il Cit aveva eseguito, sullo Stelvio, facendo il camoscio lui che era veltro in pianura e in volata, ariete nella vita.

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