13.4.11

Il Pirandello di Turi Ferro.

Nel 1987, per il cinquantenario di Pirandello, il Banco di Sicilia produsse un volume ottimamente illustrato da storiche fotografie, Pirandello in quattro atti, i cui materiali, dedicati al teatro di Pirandello, erano già usciti l’anno prima come inserti del settimanale “Il sabato”, vicino a Cl. Ma gli autori dei testi, nonostante il contesto, furono scelti con grande apertura e non soltanto nell’ambito del cattolicesimo integralista. Qui “posto” uno stralcio dagli “appunti” di Turi Ferro inseriti nel capitolo su Il berretto a sonagli, il primo dei drammi pirandelliani che nel volume viene analizzato, discusso e illustrato. Mi pare che colga un nodo che nella messa in scena di Pirandello si è più volte ripetuto: una sorta di incompatibilità tra il teatro pirandelliano e il “grande attore”, a meno che non rinunci, per l’occasione, a fare il grande attore. (S.L.L.)
Turi Ferro nel Berretto a Sonagli
Qualcuno, ingiustamente, mi ha definito il profeta di Pirandello perché la galleria dei suoi personaggi io l’ho attraversata quasi tutta. La verità è che Pirandello non ha miglior profeta di se stesso. Nessuno più di lui in questo secolo ha colto l’essenza del teatro in maniera così profonda e sapiente.
Non credo al “grande attore”, credo piuttosto all’evento teatrale nella sua globalità e complessità ed anche in questo senso bisogna sottolineare la maestria di Pirandello come costruttore di meccanismi teatrali perfetti. Noi teatranti siamo in genere gran divoratori di parole, in scena ne vogliamo dire tante, e proprio con Pirandello, quand’ero poco più che trentenne, mi accorsi che ciò ch’era importante dire stava dentro e sotto le parole scritte. Nei testi di Pirandello i significati veri stanno sotto il testo, nei grandi blocchi mentali, nel dire e non dire, nelle pause, nei tempi del discorso.
Mi sono accorto di questo, e in maniera più profonda, nel corso delle mie esperienze pirandelliane. Così ne Il berretto a sonagli nel punto in cui Ciampa dice: “Senza pensare a me?” e continua, “E cos’ero io?”; mi sono trovato spesso a soffermarmi solo sul “senza pensare a me?”, e star lì per più di venti secondi senza più dire una parola, e sentito che insieme a me tutti gli spettatori penetravano nello strato più incandescente del testo. A Pirandello stavano a cuore e questi si esprimono nel testo attraverso un dinamismo che da un livello interiore, grazie proprio alle pause, ai ritmi, si estrinseca, si esprime. Il suo è un teatro simile ai fuochi d’artificio, fatto di un susseguirsi di trovate in crescendo, un salire sempre più fino a quando la situazione e il personaggio ti afferrano.
I problemi che Pirandello ebbe con Musco si spiegano solo da questo punto di vista, Pirandello temeva che quel suo grande attore non sapesse cogliere proprio i moti dell’anima. Musco senza dubbio era un genio teatrale, ma allora si viveva ancora in pieno Ottocento, si pensava che l’attore dovesse spiegare qualcosa al pubblico. Pirandello esigeva una recitazione che nascesse dall’anima. Ci fu una grande incomprensione tra Pirandello e i suoi attori che gli suggerivano battute esplicative, finali ad effetto senza capire mai il pudore della parola pirandelliana che è inconciliabile con l’argomentazione e persegue invece il lievitare dei significati dal di dentro, per esempio attraverso la ripetizione di alcune parole, tipica nella scrittura pirandelliana, fino all’esplosione di fuoco.
Io ho sempre cercato di seguire Pirandello, fedelmente, rigorosamente. E’ stato Pirandello a darmi la possibilità di essere l’attore che sono, mi ha insegnato moltissimo, mi ha condotto quasi tenendomi per mano.

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