20.4.11

Trotzkij racconta Trotzkij.

Ho letto in viaggio una gran parte de La mia vita, l’autobiografia di Lev Trotzkij, nella traduzione (dal tedesco) di Ervino Pocar per “Le scie” di Mondadori del 1930. Spero di finirla presto. Essa copre gli anni dalla nascita al 1929.
Nella riedizione che posseggo, del 1961, c’è la giunta di un’appendice, nella quale Alfred Rosmer sommariamente racconta il Trotzkij degli ultimi anni, dall’esilio turco alla morte per opera dei sicari di Stalin il 21 agosto del 1940. Mi limiterò a una scorsa: è Trotzkij che voglio leggere, perché leggere Trotzkij quando racconta Trotzkji è emozionante, non solo per la statura intellettuale e morale del rivoluzionario russo, ma ancor di più – credo – per la qualità della sua scrittura narrativa. Penso di non sbagliare se lo colloco tra i più grandi narratori di un secolo che pure non soffrì penuria di romanzieri e memorialisti.
Nel raccontare di Trotzkij la visione “straniata” del rivoluzionario coopera con la rappresentazione puntuale di luoghi, ambienti, contesti economici e sociali. Trotzkij vede il mondo come si presenta, ma ha un occhio speciale per quello che si muove dentro la società, nelle sue vene e nelle sue viscere. E’, in questo senso speciale, uno scrittore “realista” alla Lukàcs, capace di vedere e antivedere, di concentrare e tipizzare. Ma non dimenticherei tra le sue virtù di narratore la costruzione graduale ma sicura del personaggio, la precisa individuazione delle complesse dinamiche tra persone e gruppi, l’uso (raro ma sapiente) del dialogo ad accentuare l’effetto drammatico di alcuni momenti. E, infine, ma non ultima la raffinatissima ironia che caratterizza lo stile.
Quello che qui “posto” è uno stralcio dalla prefazione, una vera e propria dichiarazione di poetica, ma nei prossimi giorni introdurrò nel blog e metterò in rete diversi frammenti narrativi, anche per invogliare alla lettura dell’intera opera. (S.L.L.)
Mosca 1919. Trotzkij su una panchina durante il funerale
dei comunisti uccisi in un attentato anarchico
Costantinopoli è una tappa imprevista, seppur non fortuita della mia vita. E’ il bivacco – non il primo della mia vita – dove aspetto pazientemente gli eventi. Senza un pizzico di fatalismo la vita di un rivoluzionario non sarebbe neanche possibile. Comunque, la sosta a Costantinopoli è il momento buono per volgersi indietro, in attesa che gli avvenimenti concedano di riprendere il cammino…
Questo libro non è una fotografia spassionata, bensì una parte integrante della mia vita. Queste pagine sono la continuazione della battaglia a cui è dedicata la mia vita. Narrando descrivo e valuto; il racconto è difesa e, più spesso, assalto. Credo che sia l’unico modo  per rendere oggettiva una biografia in un certo senso più elevato, per darle cioè un’espressione adeguata alla personalità e all’epoca.
Non è oggettività quell’indifferenza artificiosa con cui l’ipocrita impertinente parla di amici e nemici, cercando , cercando di suggerire al lettore quel che non sta bene dire apertamente. Quella oggettività è una trappola convenzionale, e nient’altro. Io non ne ho bisogno. E una volta accettata la necessità di parlare di me stesso – nessuno finora è riuscito ascrivere un’autobiografia senza parlare di sé – non ho nessun motivo per nascondere le mie simpatie e antipatie, il mio amore e il mio odio.
Questo è un libro polemico. Vi si rispecchia il dinamismo della vita sociale fatta di antitesi. Risposte insolenti a scuola, frecciate invidiose sotto la maschera di cortesie da salotto; continue concorrenze d’affari; gare ossessionanti in tutti i campi della tecnica, della scienza, dell’arte e dello sport; conflitti parlamentari nel cozzo di interessi opposti; la battaglia cotidiana della stampa; scioperi di operai; scariche di fucileria contro i dimostranti, recipienti carichi di gas velenosi che i vicini si scambiano tra loro; le vampe della guerra civile che sul nostro pianeta non si spengono quasi mai: ecco le varie forme della polemica sociale, da quella cotidiana, solita, normale, a quella spaventosa, esclusiva, vulcanica delle guerre e delle rivoluzioni. Il nostro tempo è fatto così. Ci siamo cresciuti. Ci viviamo. Come potremmo non essere polemici, se vogliamo essere del nostro tempo?
… Sono avvezzo a fidarmi della mia memoria, la quale all’esame oggettivo dei fatti si dimostrò tante volte fidata. e se la mia memoria toponomastica è piuttosto labile (non parliamo di quella musicale!), se la mia memoria visiva e linguistica è molto mediocre, ho certo una facoltà superiore alla media di ricordare i pensieri e i concetti. Ora, la parte principale di questo libro è dedicata al pensiero, alla sua evoluzione, alla lotta ideale degli uomini.
Certo, la memoria non è una macchina calcolatrice. Ed è tutt’altro che disinteressata. Essa elimina spesso o spinge nell’ombra gli episodi nocivi all’istinto vitale che li sorveglia, specialmente sotto la guida dell’amor proprio. Ma questo riguarda la critica “psicanalitica” che talvolta è intelligente e istruttiva, più spesso però lunatica e arbitraria.
Inutile dire che ho controllato assiduamente la mia memoria in base a documenti. E per quanto il lavoro mi fosse difficile in fatto di ricerche d’archivio e di biblioteca, pure ho potuto riscontrare i dati e i fatti essenziali.

L:D.Trotzkij, La mia vita, Mondadori 1961

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