8.4.10

La Chiesa assediata. Pedofilia e guerre culturali.

Domenica scorsa su “La Stampa” è apparsa, sotto il titolo “Il Papa e la Chiesa sotto l’assedio di forze potenti”, una intervista di Maurizio Molinari a George Weigel, esponente di primo piano del cattolicesimo Usa, biografo di Giovanni Paolo II e nome di punta del “Centro di Politica e Etica”.

Il tema era, ovviamente, l’affaire pedofilia osservato dagli Stati Uniti, paese che prima di altri ha visto montare una tempesta contro le gerarchie ecclesiastiche, responsabili di comportamenti omertosi nella protezione di preti colpevoli di gravissimi abusi. Non è qui il caso di riportarne tutte le proposizioni e le argomentazioni apologetiche la cui sostanza è la seguente: la Chiesa americana ha da tempo cambiato rotta e ha fatto pulizia; e anche altrove le accuse fondate riguardano casi sporadici.

Il punto più rilevante del suo discorrere è però un altro e riguarda l’uso degli scandali da parte dei nemici del cattolicesimo in quella che, pur negando l’esistenza di un complotto, Weigel chiama “guerra culturale”: “La Chiesa cattolica è l’ultimo difensore istituzionale dell’idea che vi sono delle verità morali nel mondo e negli uomini. Vi sono forze potenti in Occidente che ne negano l’esistenza, che ci spingono a credere che l’umanità è plastica e malleabile, che il matrimonio può essere definito dalle leggi, che il sesso è una forma di sport, che gli esseri umani non nati, gravemente malati o handicappati non contano, e che i poteri coercitivi dello Stato possono e devono imporre quello che il cardinale Ratzinger definì la ‘dittatura del relativismo’. Tali forze vedono nelle mancanze di alcuni figli e figlie della Chiesa, e negli errori commessi da alcune autorità, l’opportunità di distruggere gli insegnamenti della Chiesa”.

La mia impressione è che questo tipo di affermazioni si leghino a una sorta di “niccianesimo di ritorno”. Nietzsche, e più ancora certi suoi seguaci, facevano seguire alla “morte di Dio” la fine del bene e del male: se Dio è morto, allora tutto è permesso e nessuno è colpevole. Weigel (e Ratzinger) vanno oltre; intestano non a Dio, ma alla Chiesa cattolica la prerogativa di dettare all’umanità le leggi morali e lasciano intendere che, se cadesse il potere della gerarchia vaticana e delle istituzioni ecclesiastiche, una sorta di anarchia etica percorrerebbe le società umane.

Saremmo tentati di rispondere che, almeno qui in Italia, alla crescita del potere mondano della Chiesa e al moltiplicarsi dei veti clericali sulla legislazione civile ha corrisposto una caduta verticale della moralità pubblica e perfino di quella privata. Ma non è forse lecito generalizzare la sorte che ci accaduta, quella di essere la nazione più cattolica e, insieme, la più pervicacemente immoralista del globo terracqueo.

In ogni caso l’idea di una umanità che, senza un Dio in cielo e senza una organizzazione burocratica che lo rappresenti sulla terra, si svia e si perde è contraddetta dal fatto che il tasso di moralità pubblica (e anche privata) visibilmente aumenta proprio nei paesi che non assumono una (ed una sola) morale religiosa come etica di Stato. Non c’è moralità senza libertà e proprio per questo non c’è nessun Dio e nessun depositario del divino che possa indicarci una volta e per sempre il bene e il male. L’etica, specie quella sociale e civile, è costruzione comune e conquista storica. E non c'è solo Nietzsche. Nella storia della cultura europea c'è anche Leopardi: a spiegarci che ci possono essere ben più solidi fondamenti alle virtù che non le superbe fole delle religioni istituzionalizzate.

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