3.3.13

Il figlio congetturato. Se non sono gigli... (S.L.L.)

A Fontivegge, davanti alla Coop, sul B che mi porta a Settevalli sale un vecchio e con accento mediorientale chiede: "Capanni?". Ottenuta la risposta affermativa si siede.
Tarchiato, indossa un giaccone chiaro Sergio Tacchini, probabilmente taroccato, e sul capo una cuffia di lana blu con una scritta che non distinguo. Porta i baffi e il viso scuro, ramato, è grave, teso. Potrebbe anche essere turco, o iraniano, non so distinguere, ma mi convinco che dev'essere nordafricano, maghrebino, e che è diretto al carcere di Capanne per visitare un figlio cui porta il pacco giallo che tiene in mano. 
Mi accorgo che, mentre inseguo questi pensieri, una lacrima è spuntata fuori dai miei occhi.
Cerco di frenare l'impulso: magari il figlio è un orribile trafficante, un criminale senza scrupoli, un violento. Niente da fare: la pulsione alle lacrime non s'allenta, ma si intensifica.
È un'onda di pietà, dolcissima. Per quell'uomo che non conosco, per il figlio congetturato, per me, per tutti noi. 

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