Dante, Virgilio e Brunetto Latini nella "Commedia" illustrata da Gustavo Doré |
Al pubblico italiano la
figura di Brunetto Latini è in genere nota per il canto XV dell'
Inferno, dove Dante, descrivendo l'incontro nel cerchio dei sodomiti
con il grande intellettuale della Firenze del Duecento, mette in
bocca a se stesso personaggio della Commedia la splendida
interrogazione: "Siete voi qui, ser Brunetto?". Drammatico
stupore, reverenza, cui segue da parte di Brunetto analoga tensione,
che si manifesta in una amara profezia politica di colui che fu esule
a colui che lo sarà. Ma il desiderio dantesco di rendere grazie e
dare prestigio al maestro è così sicuro, diretto e intenso da
fargli ricordare "la cara e buona imagine paterna / di voi
quando nel mondo ad ora ad ora / m' insegnavate come l' uom
s'etterna". Se oggi è del tutto improbabile pensare, come
pensava De Sanctis, che senza l'episodio dantesco noi non sapremmo
nulla di Brunetti Latini, va tuttavia detto che spesso Dante fu
stimolo e guida per operare riconoscimenti e ritocchi nelle
prospettive storiche. Ben significativo d'altronde il giudizio su
Brunetto del cronista trecentesco Giovanni Villani: "egli fu
cominciatore e maestro in digrossare i fiorentini, e farli scorti in
bene parlare e in sapere giudicare, e reggere la nostra repubblica
secondo la politica".
Un intellettuale anche
socialmente e politicamente attivo, dunque, e un grande operatore
culturale, che da un lato diede un respiro operatore culturale, che
da un lato diede un respiro europeo alla cultura fiorentina e dall'
altro estese mirabilmente l'area del pubblico in quanto usò nei suoi
scritti i volgari francese e italiano, leggibili non solo dai
"chierici" esperti di latino, ma dai laici quali i
mercanti, i finanzieri, i signori, quel pubblico che Dante da par suo
descrisse nel I trattato del Convivio come destinatario
prescelto della propria divulgazione scientifica. Ben venuta quindi
oggi la stampa nella Bur di Brunetto Latini, Il Tesoretto,
con introduzione e note di Marcello Ciccuto; per così dire benvenuta
la divulgazione attraverso una collana economica di un'opera che fu
proprio concepita come enciclopedia scientifico-etica in versi
settenari a rima baciata, divulgativa di un certo sapere di allora.
L'edizione è assai utile perché Ciccuto ha fatto seguire alla sua
precisa introduzione con cenni biografici una antologia di giudizi
critici dei più validi studiosi sull'argomento, una premessa
filologica al testo, una vasta bibliografia e infine un testo
commentato.
A voler interpretare il
ruolo di Brunetto nella cultura del suo tempo divengono illuminanti
alcuni dati biografici: inviato dal Comune di Firenze come
ambasciatore in Spagna presso Alfonso X di Castiglia, mentre era
sulla via del ritorno apprese la notizia della sconfitta dei guelfi
fiorentini a Montaperti (1260) sicché decise di fermarsi in Francia:
è lui stesso a raccontarlo proprio nel Tesoretto, ai versi
123-162. Il destino di un uomo, si sa, a volte va a ficcarsi nelle
pieghe più impensate della Storia: ed ecco che fu proprio il forzato
esilio a far sì che Brunetto si avvicinasse agli ambienti della
cultura francese e, muovendosi fra Arras, Parigi e Bar-sur-Aube,
sommasse una nuova esperienza a quella certo già feconda della corte
di Alfonso il Savio. In Francia, libero da impegni politici e
protetto da un ricco amico, ebbe la possibilità di ideare un'
operazione altamente divulgativa in chiave pragmatistica:
volgarizzando nella Retorica il De inventione di
Cicerone e commentandolo egli cercò di insegnare alla borghesai
toscana l'arte del discorso pubblico all'interno della vita politica
comunale, basandosi sul fatto che il saper parlare con intelligenza e
arte è strumento di governo.
C'è una suggestiva
pagina della Retorica dove Brunetto afferma come l'oratore
"che vuole smuovere parole e vittoriose... E se la condizione
richieda che debbia parlamentare a cavallo, sì dee elli avere
cavallo di grande rigoglio sì che quando il segnore parla il suo
cavallo gridi e razzi la terra col piede e levi la polvere e soffi
per le nari e faccia tutta romire la piazza...". Gli stessi
intenti di pubblica didattica si incontrano nel Tesoretto: "E
' l detto sia soave, / e guarda non sia grave / in dir Ne'
reggimenti, / chè non puo' a le genti / far più gravosa noia: / ...
/ e chi non ha misura, / se fa ' l ben sì l' oscura". E altrove
avverte che "non retorna mai / la parola c' è detta, / sì come
la saetta / che va e non ritorna". E anche qui una grande
attenzione alle mosse del cavallo nelle vie della città (vv.
1803-1818).
Il soggiorno in Francia
non solo acuì l'attenzione verso le regole di "cortesia e
gentilezza", di cui è disseminato il Tesoretto, ma verso
l' avanguardia parigina, come ben rilevò Francesco Mazzoni: "è
insomma al Latini, in quanto conoscitore e divulgatore della recente
cultura transalpina, apertissimo verso l'enciclopedismo didattico di
ascendenza francese, e volgarizzazione professionale, che noi
dobbiamo, io ritengo, la diffusione della Rose (cioè il Roman
de la Rose) nella Firenze d' allora". E Dante, attentissimo
in ogni campo al nuovo, avrà davanti a sè il Roman de la Rose
nel comporre il Fiore così come il Tesoretto nel
comporre il Detto d' Amore.
Il Tesoretto ha lo stesso impianto laico del Tresor di
Brunetto, prima enciclopedia in volgare, scritta in francese, e si
rivolge specificatamente alla parte più viva e attiva della
democrazia comunale fiorentina. Perciò l'autore, nel descrivere un
viaggio visionario a contatto con la Natura, la Filosofia e le varie
personificazioni della tradizione, fra cui Amore, passa veloce sulla
creazione del mondo (terra, pianeti, stelle, marin fiumi, animali
ecc.) per soffermarsi nei territori dell' umano: le virtù cardinali,
le aristoteliche, i vizi corrispondenti, le norme di comportamento
(buone compagnie, nobiltà d'animo e non di sangue, lealtà verso il
Comune ecc.) e le regole della retorica o arte del parlar bene.
L'opera, giunta a noi interrotta al v. 2944, si chiude per noi sulla
Penetenza: lo scrittore, arrivato a Montpellier, va dai frati e
carico di un senso di insoddisfazione di sè e della vita si
confessa; a noi naturalmente più interessano le cause di questa
insoddisfazione che l'atto del confessarsi, sicché estraiamo dal
Tesoretto una frase o due e le proponiamo come oggetto di
riflessione al lettore: "Non sai tu che lo mondo, / si poria dir
non-mondo, / considerando quanto / ci ha no-mondezza e pianto? / Che
truovi tu che vaglia? / ... / Di' , che vai tu cercando? / Già non
sal' ora e quando / ven quella che ti porta, / quella che non
comporta / oficio o dignitate: / ... / Adunque, omo, che fai?".
“la Repubblica”19
giugno 1985
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