26.5.16

Panzieri in Sicilia (Pino Ferraris)

Raniero Panzieri a Messina con la moglie Pucci Saja 
L’esperienza di Panzieri in Sicilia dura sei anni, dal 1949 al 1955. Arriva a Messina come giovane docente di filosofia del diritto, chiamato ad un incarico universitario da Galvano della Volpe, e dopo pochi mesi si impegna in una militanza politica e sociale che lo conduce nel giro di due anni a lasciare l’accademia per diventare politico di professione.
Nell’esperienza siciliana si salda il rapporto umano, politico e culturale con Rodolfo Morandi.
I successi del suo lavoro nell’isola e il suo ruolo di interprete originale e attivo della «politica unitaria» morandiana sono alla radice della sua rapida ascesa ai vertici nazionali del Partito socialista. Nel congresso di Bologna del gennaio 1951 Panzieri entra contemporaneamente nel comitato centrale e nella direzione del partito. L’ingresso dei due giovani «morandiani» Raniero Panzieri e Dario Valori coincide con l’esclusione di un protagonista del socialismo italiano come Lelio Basso.
Elio Giovannini definisce quel congresso il Congresso della vergogna nel quale trionfa il «piccolo stalinismo socialista» con la regìa di Pietro Nenni e di Rodolfo Morandi.
Quale fu l’atteggiamento di Panzieri verso l’ideologia e le pratiche staliniste che negli anni della guerra fredda erano assolutamente dominanti nella cultura e sub-cultura social-comunista?
In una lettera a Libertini del dicembre 1959 parla esplicitamente degli «errori commessi» negli anni della guerra fredda «sollecitato sempre dal senso – che tenevo per certo – di un legame ininterrotto, nella lotta, tra il movimento e i partiti».
Forse coglie nel segno la recente testimonianza del dirigente comunista Emanuele Macaluso che conobbe e frequentò molto da vicino Raniero Panzieri in quegli anni siciliani.
“Se un uomo come Panzieri sta nel PSI – afferma Macaluso – anche nella fase della maggiore comunistizzazione e stalinizzazione di questo partito è perché nel PSI aleggiava una storia nella quale la libertà (la libertà di ricerca, la libertà politica, la libertà del cittadino) aveva avuto un peso straordinario. E perché nel PSI, per quanto comunistizzato, non c’erano barriere e vincoli tali che prima o poi la questione si riaprisse. Quelli che nutrivano una maggiore inquietudine intellettuale e politica – gli uomini come Panzieri – scelsero in larga misura più il PSI del PCI”.
La crisi di Panzieri, dopo la catastrofe del Fronte popolare, fu dovuta soprattutto al collasso strutturale del partito, alla sua incapacità di offrire uno strumento di azione di massa e di lotta di classe. La caduta della prospettiva di ricollocare il Partito socialista «all’interno della situazione generale della classe lavoratrice» coincise con il ripiegamento verso il lavoro accademico. Nel novembre 1948 va all’Università di Messina, ma già nel maggio del 1949 viene coinvolto nel progetto morandiano di ricostruzione del partito.
Nell’aprile del 1950 Morandi indica Panzieri come il suo rappresentante nell’Isola.
Dalla documentazione offerta da Domenico Rizzo sull’attività di Panzieri in Sicilia emerge una inedita figura di dirigente politico a tutto tondo: costruttore di strutture organizzative, animatore in prima persona di lotte di massa nelle miniere e nei feudi, coinvolto in una sequenza di faticosissime campagne elettorali (le regionali del 1951, le comunali del 1952, le politiche del 1953, le regionali del 1955). Un Panzieri che si spende con generosità in un impegno pratico quotidiano a tutti i livelli e in ogni direzione e che continua ad esprimere una sempre rinnovata elaborazione culturale. Soprattutto emerge il profilo di un dirigente profondamente radicato nella realtà sociale e politica del Meridione, interprete della storia e delle tradizioni più vive e combattive del movimento democratico e socialista siciliano.
Il Panzieri di quegli anni indica nelle lotte per la terra il «punto archimedico» di una rivoluzione democratica.
Nel corso della campagna elettorale regionale del 1955, quando Morandi e Panzieri rompono la tradizionale unità elettorale con il PCI nel «Blocco del popolo» e i socialisti presentano liste proprie, si dispiega la peculiarità della politica socialista nell’Isola.
La piattaforma elettorale del PSI dal titolo Nell’alternativa socialista rinascita e autonomia della Sicilia, scritta da Panzieri, ha un ampio respiro culturale: recupera le radici della lotta socialista a partire dai Fasci siciliani, fa una lucida e sferzante analisi dei governi democristiani e delle loro complicità economiche e mafiose, propone un disegno alternativo di sviluppo economico e di riscatto sociale. Contro il separatismo reazionario e contro una linea di asservimento al centralismo dello Stato unitario burocratico rivendica la lunga storia di lotta socialista per un’autonomia, in chiave federalista, che ha sempre intrecciato libertà politiche e liberazione sociale.
Il movimento dei Fasci siciliani nel quale si esprimeva un forte associazionismo partecipativo, che vedeva la convergenza tra azione economica e iniziativa politica, è indicato come l’esperienza fondamentale ed esemplare del socialismo siciliano che alimenterà generazioni di organizzatori di leghe contadine, di cooperative bracciantili e di combattivi dirigenti socialisti.
Questo recupero di una tradizione socialista di lotta di classe radicale e libertaria, che dall’Ottocento si prolunga nel primo Novecento è uno degli aspetti più originali della elaborazione politica e culturale del Panzieri siciliano che non sarà più ripresa negli anni successivi.
La campagna elettorale del 1955 e i risultati del voto, che segnano un successo dei socialisti, fanno della Sicilia il laboratorio della linea di «apertura a sinistra» unitariamente approvata dal congresso di Torino del PSI pochi mesi prima. Sia la documentazione offerta da Domenico Rizzo, sia la testimonianza di Macaluso ci dicono che Panzieri, in stretto collegamento con Rodolfo Morandi, è protagonista in questa svolta politica.
La posta in gioco era altissima: non si trattava solo di colpire il blocco agrario realizzando la distribuzione della terra. Si poneva all’ordine del giorno la gestione pubblica regionale delle risorse idriche e della produzione elettrica e soprattutto la nuova questione delle risorse petrolifere. Era un intero assetto di potere, coagulato attorno ai governi dell’on. Restivo, che era messo in discussione. Segnale dell’altezza della sfida è l’uccisione, in piena campagna elettorale, del capolega socialista Salvatore Carnevale da parte della mafia.
Il terremoto in atto nei rapporti di potere è testimoniato dalla rottura della Sicindustria di La Cavera con la Confindustria nazionale. Il nuovo governo Alessi, che ebbe durata breve, fu il risultato dell’autonoma e combattiva iniziativa socialista perseguita da Panzieri attraverso tensioni con il Partito comunista (scrive Montalbano a Li Causi: «… insistendo Panzieri e Taormina nella separazione da noi, secondo le direttive di Nenni, nonostante le proteste di base che cominciano a farsi preoccupanti. Si ha l’impressione che in Sicilia il PSI sia diretto da socialdemocratici anticomunisti e non da marxisti») e non poche resistenze all’interno del PSI.
L’esperimento siciliano realizzato da Morandi e da Panzieri non era altro che l’anticipazione del centro-sinistra nenniano, come sembra pensare Stefano Merli? È lecito dubitarne.
Nel 1955 Raniero Panzieri, membro della direzione del Partito socialista, segretario della Sicilia, responsabile nazionale stampa, propaganda e cultura del partito, resta uno dei più importanti giovani dirigenti socialisti morandiani.


Dal “Sito in ricordo di Pino Ferraris” ( http://www.pinoferraris.it/ )

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