Venezia, Ca' Rezzonigo, Giandomenico Tiepolo, L'altalena d Pulcinella |
Tra il 1793 e il 1797
Giandomenico Tiepolo, figlio di Giambattista, realizza un ciclo di
affreschi su Pulcinella nella villa di Zianigo che ha ereditato dal
padre, e all'interno della quale si è rifugiato dopo aver
abbandonato la città di Venezia. Proprio nel 1797, quando Tiepolo
termina gli ultimi due affreschi, si estingue la millenaria
Repubblica di Venezia. Mentre un antico mondo cade rovinosamente su
se stesso, Tiepolo appare ossessionato dalla figura di Pulcinella,
dalla sua vita, dalle sue mille avventure, dalle sue morti e dalle
sue incredibili riapparizioni, tanto da dedicarvi - oltre ai dipinti
della villa, oggi conservati a Ca' Rezzonico - le 104 tavole di un
album di disegni intitolato Divertimento per li regazzi. La
serie di tavole su Pulcinella, iniziata proprio nei giorni successivi
alla fine della Repubblica, è la sua ultima fatica.
Ma chi è Pulcinella per
Tiepolo? È una maschera o un uomo? Un dio o un demone? E che
rapporto c'è tra la commedia e la critica di una società che cambia
e si involve tumultuosamente? A queste e ad altre domande Giorgio
Agamben prova a rispondere in un densissimo saggio che, accompagnato
dalle tavole di Giambattista e Giandomenico Tiepolo, è stato da poco
pubblicato dalla casa editrice Nottetempo: Pulcinella ovvero
Divertimento per li ragazzi. Attraverso Tiepolo, e andando oltre
Tiepolo fino a tornare a Platone, Agamben si interroga sul rapporto
intimo che lega la commedia alla filosofia, e sulle vie di fuga che
all'interno di entrambe si possono aprire. In modo particolare,
quelle vie di fuga che ci permettono di guardare il mondo che ci
circonda, la nostra stessa esistenza, sotto una nuova luce. Con uno
sguardo rinnovato.
Nel libro di Agamben
Pulcinella arriva quando la politica muore: non semplicemente nel
senso che non riesce più a funzionare, o appare fragile nei
confronti di altri poteri economici, oligarchici o addirittura
imperiali, ma nel senso letterale del termine. Muore perché rinuncia
al proprio ruolo, non potendo più garantire lo scopo ultimo per cui
esiste: la sopravvivenza stessa della polis. Agamben ha in mente
l'estinzione della Repubblica di Venezia nel 1797, consegnatasi a
Bonaparte, e da questo ceduta all'Austria, tanto da far dire a Ugo
Foscolo nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis che «la vita,
seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le
nostre sciagure, e la nostra infamia». Ma, allo stesso tempo, pone
un esplicito parallelismo tra la fine di Venezia nel 1797 e
«l'eclissi della politica e il regno dell'economia planetaria» nel
ventunesimo secolo. Pulcinella ovvero Divertimento per li ragazzi
è un libro che offre infiniti spunti di riflessione e suscita
innumerevoli domande. Alcune di queste abbiamo provato a rivolgerle
direttamente all'autore.
***
In
che modo la maschera di Pulcinella può costituire un via di fuga da
entrambe le eclissi?
«Certamente Pulcinella è
per Giandomenico Tiepolo ciò che sopravvive alla fine del suo mondo,
alla morte della Venezia che aveva conosciuto e amato - in questo
senso, alla fine della politica. Ma non è, malgrado tutto, soltanto
una figura impolitica. È, piuttosto, ai miei e forse ai suoi occhi,
la figura di un'altra politica, per la quale ci mancano i nomi, la
politica che comincia quando ogni azione è diventata impossibile.
Ciò che i suoi lazzi e i suoi gesti mostrano è che cosa può un
corpo quando non può più agire politicamente. Per questo
m'interessa. Io penso che il modello della politica che abbiamo
conosciuto, fondato sull'azione e sulla lotta, nel contesto del
dominio dell'economia e dello stato di sicurezza in cui viviamo sia
divenuto obsoleto. Il paradigma della lotta, che ha monopolizzato
l'immaginazione politica della modernità, deve essere sostituito da
quello della via d'uscita. Penso che in Grecia Syriza ha dovuto
capitolare proprio perché si era impegnata in una lotta senza
sbocco, rinunciando alla sola via possibile: l'uscita dall'Europa. E
questo non è vero soltanto nella politica, ma anche per l'esistenza
individuale: l'essenziale in ogni caso, Kafka non si stanca di
ricordarlo, non è lottare, ma trovare una via d'uscita. Come dice
Pulcinella: ubi fracassorium, ibi fuggitorium, dove c'è una
catastrofe, là c'è una via di fuga».
I
governi nazionali europei dei nostri giorni sono più o meno
depoliticizzati della Repubblica veneziana che rinunciò alla sua
indipendenza?
«Si tratta di due
fenomeni diversi. L'eclisse della politica che noi conosciamo si
iscrive nel dominio planetario del paradigma economico e tecnologico.
L'abdicazione di Venezia davanti a Napoleone sembra invece soltanto
il frutto di viltà e insensatezza. Naturalmente questo non significa
che i nostri politici non siano stolidi e vili. Quello che mi
affascina in Pulcinella è che egli esibisce nel suo stesso corpo i
vizi del mondo in cui vive, è anche lui insensato e vile. Nello
stesso tempo egli mostra, però, come, una volta liberati dalla loro
iscrizione nel potere, questi stessi difetti possono diventare la
cifra di un'altra umanità, di una superiore anarchia. Anche
l'anarchia, infatti, può essere compresa solo se prima la si libera
dalla sua cattura nel potere, solo se si ricorda, come Pasolini fa
dire a uno dei gerarchi di Salò, che l'anarchia appartiene
innanzitutto al potere».
Più che servirsi del
lazzo fine a se stesso, Pulcinella usa il linguaggio in maniera
destrutturata. Pulcinella sta sempre da un'altra parte, porta il
discorso suun altro livello, lo fa implodere dopo averlo fatto
avvitare in uno scambio di battute in cui la logica si perde. È
sicuramente un modello destituente, eppure non è una figura
propriamente umana. Se, da una parte, la risposta di Pulcinella non è
impolitica, dall'altra può costituire un modello politico ciò che è
al di là della vita, e quindi è anche altro da noi? Oppure rimane
solo una splendida utopia teatrale?
«Fin dall'origine nella
nostra cultura esiste un nesso costitutivo fra politica e teatro, che
la deriva esclusivamente estetica della nostra concezione dell'arte
ci impedisce di percepire. Senza la tragedia e la commedia non è
possibile capire la vita pubblica della polis greca. Esse, insieme
alla danza, appartenevano alla sfera che i Greci chiamavano musica,
mousiké, la cui relazione con la politica era così stretta
che, nella Repubblica, Platone può scrivere che non si possono
cambiare i modi musicali senza cambiare le leggi fondamentali della
politica. I Greci sapevano, cioè, che è possibile manipolare e
controllare una società non solo attraverso la parola, ma anche e
innanzitutto attraverso la musica. In questo senso, lo stato della
musica (nel senso lato del termine) definisce la condizione politica
di una determinata società meglio eprima di qualsiasi altro indice
e, se si vuole mutare veramente l'ordinamento di una città, è
innanzitutto necessario riformarne la musica. Pensi alla funzione
dell'invadenza della musica nella nostra società in ogni luogo e in
ogni momento, che serve essenzialmente a rendere impossibile il
pensiero».
Nel
teatro contemporaneo ci sono stati alcuni tentativi di realizzare
concretamente qualcosa che si avvicinasse a una dimensione utopica. È
impossibile, ad esempio, non pensare a una corrente carsica che ha
attraversato tuttoil teatro del secondo Novecento, da Grotowski a
Kantor, dal Living Theatre a Barba e altri. Tale via di fuga - tesa a
creare comunità teatrali, e non solo a fare teatro -alle volte è
stata una forma di abbandono radicale del campo della politica. Altre
volte ha prodotto, implicitamente o esplicitamente, una radicale
ridiscussione dei termini della politica...
«In questo senso, le
maschere della Commedia dell'arte, come anche il teatro del secondo
Novecento che lei cita, avevano un indubbio significato politico. Ma
anche teologico (teologia e politica nella nostra cultura sono
intimamente legate): il nostro termine ‘persona' deriva dalla
teologia trinitaria (le tre ‘persone' divine), ma proviene in
ultima analisi dal teatro e significa ‘maschera'. Quando si parla
di Pulcinella, occorre percepire dietro la sua maschera tutti questi
significati».
Nella commedia Il
figlio di Pulcinella di Eduardo De Filippo, Pulcinella si toglie
la maschera. Ciò avviene anche in una canzone del primo album di
Pino Daniele, Suonno d'ajere: qui Pulcinella sileva la
maschera, non fa più ridere e pazziare, perché di fronte non c'è
più una Napoli tragicomica, ma decisamente tragica. Di fronte a quel
contesto radicalmente nuovo (l'incipiente Napoli di Gava e Cutolo...)
non si può più ridere, quindi la sua azione è destituita di
fondamento. Pulcinella disarticola il tragicomico, ma non il tragico
vero e proprio?
«Non bisogna dimenticare
che Eduardo appartiene a una tradizione antipulcinellesca, quella di
Scarpetta, che fece rimuovere l'immagine di Pulcinella dal teatro di
San Carlino. Al contrario, ho scritto questo libro proprio per
provare che la commedia è fin dall'origine connessa alla politica e
alla filosofia. Non si dovrebbe dimenticare che le commedie di
Aristofane sono state scritte in un momento catastrofico della storia
di Atene, ad esempio Gli Acarnesi, quando il territorio è
devastato dalla guerra con Sparta e i contadini sono ammassati nella
città dove per due volte ha infuriato la peste. Ad Atene come a
Napoli, e assai più della tragedia, la commedia ha sempre un intimo
significato sovversivo o, come preferisco oggi dire, destituente.
Pulcinella mostra che c'è ancora qualcosa da fare quando non è più
possibile agire e ancora qualcosa da dire quando non è più
possibile parlare».
È la tragicommedia il
vero carattere nazionale italiano?
«È stato Dante,
scegliendo iltitolo del suo poema, aporre la cultura italiana sotto
il segno della commedia e non della tragedia. Si tratta di qualcosa
di più profondo di un carattere, perché in questione è la risposta
che si dà ad alcune domande fondamentali che concernono l'etica e la
politica, come l'innocenza e la colpa. Ma più che di tragicommedia,
preferisco parlare, come piaceva a Manganelli, di ‘ilarotragedia'.
Pulcinella fa saltare i confini che separano i due generi, e lo
spazio che si apre fra di essi, che non è più né tragico né
comico, ma nemmeno tragicomico, è quello che m'interessa».
Il Divertimento
di Tiepolo è per li regazzi. È precluso quindi a chi non è piccolo
o no sa farsi piccolo come loro? Il mondo adulto è intrinsecamente
anti-pulcinellesco?
«Ovviamente i regazzi
non vanno intesi in senso letterale. Il mondo adulto che Pulcinella
mette in questione è il sistema dei luoghi comuni e dei valori
prestabiliti che ci governano. Come ne Lo cunto deli cunti di
Basile, i piccirille sono il simbolo di un'umanità più vera».
Leggendo il suo
Pulcinella è forte l'impressione che questo sia uno dei suoi libri
più autobiografici, o quanto meno uno di quelli in cui maggiormente
emerge l'Io di chi scrive, il Sé di chi scrive, accanto alla
riflessione filosofica.
«Il Divertimento per
li regazzi di Giandomenico Tiepolo è, in un certo senso, una
biografia di Pulcinella ed è possibile che egli abbia inteso
scrivervi fra le righe la sua autobiografia. Ma per me Pulcinella è
l'impossibilità di una auto-biografia. Vivere - questa è la sua
lezione - si può solo al di qua o al di là della vita, cioè al di
là o al di qua della propria biografia».
pagina 99, 25 novembre 2015
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