Astrid Lindgren |
Invitata dalla Rai (che
da settembre manderà in onda, su Rete 1, quindici film tratti dalle
sue opere) e dall’Assessorato alla cultura della Provincia di Roma,
in occasione di una mostra dedicata alle protagoniste bambine nei
libri per l’infanzia, la scrittrice svedese è un po’ perplessa.
«Interviste? D’accordo, ma io ho così poco da dire. Quello che
penso e quello che mi piace è già tutto nei miei libri».
E anche sul suo viso,
viene da aggiungere a chi la guarda: un viso ,scavato, rugoso e
vivacissimo, con occhi a punta di spillo e una bocca sottile e
sarcastica. Un viso vecchio, da strega buona e dispettosa, che ha
molti segreti ma è disposta a rivelarli in un solo modo: raccontando
storie, e chi vuole intendere intenda. Nei suoi ottantanni di vita (è
nata nel 1907, in un paesino della Svezia meridionale) Astrid
Lindgren non ha mai smesso di raccontare. Da piccola la chiamavano la
Selma Lagerlof di Villerby per le sue capacità di narratrice,
ereditata forse da un padre contadino, capace di tirar fuori una
storia da tutto ciò che toccava, come il protagonista di una fiaba
di Andersen. E da grande la sua meravigliosa capacità di «parlare
in fiaba» si è trasformata in libri per bambini (tren-tasei, per la
precisione) oggi famosissimi, a cominciare da quel Pippi
Calzelunghe che le ha fruttato una popolarità intemazionale ed
un premio Andersen (che è poi il Nobel degli scrittori per ragazzi).
In Svezia, paese
attentissimo all’infanzia e ai suoi bisogni, la considerano quasi
un monumento nazionale (per il suo ottantesimo compleanno è stata
perfino emessa una serie di speciali francobolli) e certe
espressioni, certi personaggi dei suoi libri sono entrati nel
linguaggio comune, mentre l’ultimo romanzo che ha scritto,
pubblicato nel 1985, è amatissimo dai giovani «verdi», che si sono
riconosciuti nel personaggio di Ronja Rovardotter, figlia di briganti
in perfetta comunione con l'immensa foresta in cui vive.
Ma che la Lindgren non si
sente affatto un monumento lo si capisce subito dall’ironia e dallo
spirito di contraddizione che la animano, e dal modo sospettoso in
cui il suo naso a punta sembra fiutare il pur minimo odore di
retorica e di ufficialità. Perché questa piccola signora pallida,
oramai bisnonna, è una donna decisa ed anticonformista che è
riuscita a suo tempo ad irrompere nel mondo un po’ chiuso dei libri
per l’infanzia, proponendo (si era nel 1945) un personaggio come
Pippi Calzelunghe.
La bambina dalle calze
scompagnate aveva tutti i numeri per scandalizzare genitori e
maestri, abituati a testi ben più prudenti. Perchè Pippi viveva da,
sola, in una grande casa tutta sua e con un’intera cassa di monete
d’oro a disposizione, e poi era così forte da sollevare un
cavallo, da compiere incredibili acrobazie, da mangiarsi due torte in
una sola volta, da rubare una mongolfiera. Ma soprattutto sapeva
mettere alla berlina tutte le convenzioni del mondo piccolo-borghese
che la circondava, e resistere ad ogni tentativo di normalizzazione
da parte degli adulti, di cui non è disposta a riconoscere
l’autorità ed il potere, se non per farsene beffe.
Ed è appunto il problema
del potere che la Lindgren affronta in tutti i suoi libri: un potere
che l’adulto tenta costantemente di esercitare sul bambino (la cui
identità e sopravvivenza dipendono dal fatto di appartenere a
qualcuno, si tratti di una famiglia o di una istituzione). Ma anche
un potere cui il bambino tenta comunque di sfuggire, o con rivolte
ilari e fantasiose come quelle di Pippi e di Emil (altro famoso
personaggio della Lindgren) o con più drammatiche ribellioni, come
quella di Ronja che si oppone duramente al padre e sceglie la vita
della foresta, a quella di Briciola, protagonista dei Fratelli
cuor di leone (la Lindgren lo scrisse nel ’76), che muore
gettandosi da un’altissima rupe (ed è questo, uno dei pochissimi
libri per l’infanzia - se non l'unico - in cui si affronti il tema
del suicidio di un bambino). Se solo si tenta di interrogarla sui
suoi libri, però, Astrid Lindgren prende l’aria annoiata di chi
non ne può più di essere messa sotto la lente di ingrandimento.
«Non mi piace
teorizzare, e non riesco a capire come facciano i critici a scoprire
tanti significati nei miei libri, che in fondo sono molto semplici».
Questa è la risposta con cui usa gelare l’interlocutore troppo
curioso. Ma poi, come tutte le streghe buone, alla fine si lascia
convincere: se non a dire tutto, almeno ad indicare la strada. Così,
seduta compostamente con le mani in grembo, finalmente risponde con
una meravigliosa voce giovanile, e sommessa, in un misterioso svedese
che fa somigliare ogni sua frase ad una formula magica. «Come ho
cominciato a scrivere? Per caso, naturalmente: succede sempre così.
Il primo libro l’ho scritto nel '44 per partecipare ad un concorso
bandito da una casa editrice che cercava teisti nuovi per le lettrici
adolescenti. Era intitolato Britt Maj, e credo si possa
definirlo un romanzo rosa, o quasi. In seguito ne ho scritti altri
due dello stesso genere, Rati in Italia e Rati a Parigi,
che hanno avuto un discreto successo. Comunque si tratta di storie
sentimentali solo fino a un certo punto. Si parla d’amore, è vero,
ma le mie protagoniste ci arrivano dopo aver provato anche a vivere
per conto proprio, in perfetta autonomia. E quando si sposano la loro
è una scelta, non un destino inevitabile. Oggi, in Svezia, i romanzi
di questo tipo sono molto diffusi, e mi dicono che è così in tutto
il mondo. Trovo che alle bambine non faccia per niente male leggerli,
purché non leggano solo quelli. Sarebbe come rimpinzare un bambino
di dolci, senza mai fargli assaggiare il pane o la verdura».
E Pippi? «Pippi l’ha
inventata mia figlia. Era ammalata e voleva che le raccontassi una
storia di un personaggio al quale aveva trovato un nome buffo, per
l’appunto Pippi Calzelunghe. Così, a poco a poco, ho cominciato a
costruirle intorno una casa, un paese, e a popolarli di altri
personaggi. Poi ho scritto la storia e per diversi anni non mi è
riuscito di pubblicarla. Dicevano che era un libro troppo audace.
Forse ai bambini piace proprio per questo. Ormai l’hanno tradotto
in tutto il mondo, ne hanno ricavato fumetti e film, ma non credo che
Pippi si sia montata la testa».
Pippi però non è la
sola bambina forte e intraprendente che Astrid Landgren ha creato: ci
sono anche Ronja, Martina, Britta, Ida, Lotta... Come mai questa
prevalenza di personaggi femminili diversi, nati per di più quando
di femminismo non si sentiva ancora parlare?
«Me lo hanno fatto
notare in parecchi. È vero: le mie bambine sono sempre forti,
energiche, coraggiose. Il fatto è che mi vengono così, non le
potrei immaginare in altro modo. Sono stata una bambina di campagna
che si arrampicava sugli alberi, saltavo giù dal tetto della
legnaia, correvo insieme ai maschi. E le donne adulte che mi
circondavano erano così: forti ed energiche, non avevano paura di
nulla, non si sottomettevano agli uomini ma tenevano loro testa.
Qualcuno ha scritto, del resto, che se nelle mie storie c’è
qualcuno da compatire sono i maschi, le mie bambine sono incapaci di
commiserarsi e di farsi commiserare».
Nei suoi libri, molto
spesso i bambini vivono da soli, in completa indipendenza dal mondo
degli adulti ai quali giocano dei tiri mancini. Cosa vuol dire: che i
più piccoli possono fare a meno dei grandi? «Certo che no. Credo
che ogni bambino abbia bisogno di un robusto appoggio familiare o
comunque di adulti che provvedano a loro e che garantiscano una
sicurezza materiale e psicologica. Solo che ai bambini, a tutti i
bambini, piace sognare così: liberi, capaci di far da sé. E poi è
inutile far finta di niente: educare un bambino significa sempre
esercitare un potere preciso su un altro individuo, e nel rapporto
bisogna mantenere un equilibrio, delicatissimo, tra autorità e
rispetto. Ma anche quando ci si riesce bisogna fare i conti con
rivolte sotterranee, con risentimenti, con fantasie di fuga. Pippi le
esprime gioiosamente, in positivo».
Pippi Calzelunghe
risultò, secondo un’inchiesta degli anni ’70, il libro che tutte
le studentesse dei colleges americani più impegnate politicamente
avevano prediletto da piccole. «La cosa mi è nuova e francamente mi
diverte. Vuol davvero dire che ognuno trova nei libri quel che gli
serve, nel momento in cui gli serve». Astrid Lindgren si arruffa
lentamente la frangetta di capelli bianchi che le incornicia il viso.
E' pentita di aver parlato troppo? Con un cenno della mano avverte
che l’intervista è finita, e si alza piano piano.
“il manifesto”,
ritaglio senza data, ma 1987
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