16.1.18

Pizzo e infiltrazioni mafiose: resistere a viso aperto. Un libro di Salvatore Costantino (V. Vasile)

A Perugia in questo 2018, dopo l'inchiesta cosiddetta “Quarto Passo” sulle infiltrazioni della 'ndrangheta in Umbria e mentre è in corso un processo in cui si parla di pizzo, di usura, di aziende controllate, di violenze e di minacce, un articolo di Paolo Lupattelli nella pagina fb di “micropolis” mette in luce il nuovo avanzare della “palude mafiosa” nella nostra regione, evidenziato dalla “operazione Stige”, un'inchiesta di ampio respiro condotta dal magistrato Gratteri.
Proprio adesso mi accade di recuperare il ritaglio di un articolo su “l'Unità” di Vincenzo Vasile su un libro del sociologo Salvatore Costantino, l'uno e l'altro miei stimati compagni e amici degli anni universitari. L'articolo e il libro sono del 1993, un quarto di secolo fa, ma la proposta di Costantino, che scaturisce dall'indagine sul campo a suo tempo condotta, mentre fa riflettere su persistenti complicità, su colpevoli ritardi e sottovalutazioni, mi pare tuttora attuale e generalizzabile. (S.L.L.)
Il sociologo Salvatore Costantino in una immagine recente
ROMA
C’è chi sostiene che la mafia è un’«industria della protezione». Ma questa tesi, sostenuta tra gli altri anche da Diego Gambetta nel suo recente saggio einaudiano. viene ora contestata dalla ricerca sul campo condotta da Salvatore Costantino: A viso aperto, la resistenza antimafiosa di Capo d'Orlando, per un piccolo editore di Palermo, La Zisa (pagg.184, lire 18.000). Il meccanismo perverso dell'estorsione (in cambio della quale la mafia non offre affatto «servizi» a chi si assoggetta a pagare, ma macina la libertà dell'imprenditore assieme alla libertà personale), vi viene analizzato a partire da due casi emblematici: quello dell’imprenditore Libero Grassi, assassinato dopo il suo rifiuto del «pizzo» a Palermo, capitale di Cosa nostra, e quello della ribellione dei commercianti di Capo d’Orlando, in un'altra Sicilia, che invece è priva di cultura e tradizione mafiose.
Spiega l’autore: «È proprio qui la specificità del caso orlandino: di avere una reazione adeguata proprio nella fase in cui inizia a manifestarsi la mafia. (...) Non pochi sono i punti di riflessione sull'intera vicenda nazionale: la società civile italiana deve comprendere che si è ancora in tempo per impedire la definitiva conquista da parte della mafia di zone e regioni dell'intero paese sino ad oggi marginalmente interessate dal fenomeno mafioso». Si può leggere un'interessante cronaca di prima mano (per alcune pagine scritta con la collaborazione di uno dei protagonisti, Tano Grasso) sui primi, difficilissimi passi dell'associazione creata dal nulla dagli imprenditori di Capo d'Orlando. E, in appendice, viene riprodotta la motivazione della storica sentenza contro il racket, frutto della coraggiosa battaglia giudiziaria dell'Associazione.
Scrive, nella prefazione, Franco Ferrarotti: «È necessario chiamare a raccolta tutti i siciliani onesti per apprestare gli strumenti di un’autodifesa civile. È inutile attendersi molto dallo Stato. Le istituzioni sono distanti. Rischiano la delegittimazione, non a causa di attacchi perversi dall'esterno, ma per la loro cronica, dimostrata incapacità di proteggere efficacemente il cittadino comune nei suoi interessi c nelle sue proprietà ed attività legittime». Il sociologo cita il suo Rapporto sulla mafia, una ricerca comissionatagli negli anni Settanta dalla Commissione parlamentare d'indagine. Ne veniva fuori un'immagine della mafia come «macchina che produce violenza», con un nesso originale con il potere politico, che rappresenta il tratto distintivo della mafia rispetto ad altre forme di criminalità organizzata.
Costantino cita le parole, tremendamente amare, di Libero Grassi: «Ho denunciato le persone che mi chiedevano il pizzo, li ho fatti arrestare, ma alla fine sono rimasto solo. Non mi pento di ciò che ho fatto, ma certo continuo a chiedermi se ne sia valsa la pena (...) Mentre mezza Europa cercava di capire perché un imprenditore avesse deciso di denunciare i suoi estorsori, in Sicilia facevano a gara per chi doveva coprirsi prima gli occhi con la cera. Sono stato criticato e isolato persino dalla associazione degli industriali di cui faccio parte. Ci sono stati vari momenti di speranza. I pool antimafia, i maxiprocessi, variabili che con il trascorrere del tempo sono state inghiottite dal sistema. E si è venuta a creare una situazione paradossale: il cittadino comune ormai non fa più parte della struttura. Sei inserito nel circuito affaristico, oppure sei tagliato fuori».
Che cosa ha a che fare la morsa che ha stritolato Grassi, e quella dalla quale i commercianti di Capo d'Orlando si sono liberati, con il meccanismo descritto da Max Weber in Economia e società (1922)? «Ecco l’osservazione di un fabbricante napoletano, fattami circa vent'anni fa, in risposta ai dubbi sull'efficacia della camorra in riferimento all'impresa: "Signore, la camorra mi prende x lire al mese, ma garantisce la sicurezza, lo Stato me ne prende dieci volte tante, e garantisce niente"». Con la mafia a Capo d’Orlando, si racconta efficacemente nel libro di Costantino, sono arrivate le bombe, altro che sicurezza. Ed a Grassi quale «protezione» è stata offerta dai suoi assassini?


“l'Unità”, 27 maggio 1993

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