2.2.12

Capolavori: "Il sogno della camera rossa" (di Aldo Natoli)

Aldo Natoli, medico antifascista, dopo la Liberazione fu uno dei più prestigiosi dirigenti del Pci romano e nazionale. Fu poi, nel 1969, tra i fondatori de “il manifesto” e si appassionò al maoismo e alla Rivoluzione culturale. Letterato fine, si interessò anche della storia e della letteratura cinesi. Da collaboratore del “manifesto” e di “Repubblica” recensì più di una volta testi che provenivano dall’Estremo Oriente. Qui si confronta con un capolavoro assoluto, uno del “quattro romanzi classici” della Cina, Il sogno della camera rossa e lo fa con puntualità e con sensibilità, senza la spocchia dei critici letterari di mestiere o di certi sinologi. Il ritaglio da "la Repubblica" onde ho ricopiato l’articolo è dei primissimi anni Ottanta, ma non c’è data. (S.L.L.)

Il sogno della camera rossa, il grande romanzo cinese del XVIII secolo, capolavoro incompleto di Ts'ao Hsueh-Ch'in, stampato per la prima volta nel 1792 in una versione portata a compimento dal contemporaneo Kao Ngo, viene ora offerto al pubblico italiano in una versione a cura e con introduzione di Edoarda Masi: un nome che fornisce al lettore la massima garanzia di fedeltà al testo, fin nelle sottili sfumature e ambiguità peculiari della lingua classica cinese (Utet, 3 volumi, oltre 1200 pagine, s.i.p.).
Il più celebre dei romanzi classici cinesi (su di esso si è alimentato in Cina un dibattito interpretativo e critico che dura tuttora), fu scritto all'inizio della seconda metà del secolo XVIII, fra il 1752 e il 1763, anno della morte dell'autore: dunque sotto la dinastia dei Ching, che sopravviverà fino al 1911, quando crolla l'impero. Il romanzo è un affresco grandioso, popolato da oltre 400 personaggi, di cui almeno una quarantina di primo piano. Attraverso il prisma della vita quotidiana di una grande famiglia di aristocratici funzionari imperiali, un fascio di luce rivelatore viene proiettato fin nelle più intime pieghe della società «feudale» cinese; e, anche se nel testo manca qualsiasi preciso riferimento temporale (ovvio riserbo dell'autore), ad ogni passo si
avverte che un'antichissima civiltà stancamente ha già cominciato a franare su se stessa, soffocata dalla propria, pur ricchissima, tradizione culturale, estenuata dallo sperpero della propria opulenza.
Ma nessuno si aspetti un romanzo «sociale». Il microcosmo della famiglia patriarcale-feudale vive e soffre delle sue tensioni interne, e queste si coagulano volta a volta nelle passioni dei personaggi. Sono passioni smisurate o meschine, ma tutte impossibili, quindi fatalmente votate ad uno sbocco di tragedia quando si scontrano con la rigidità dell'ordine familiare-sociale, scandito dalla inviolabile tradizione confuciana.
La famiglia-clan è un organismo estremamente complesso, ricco di diramazioni collaterali, prolungato nelle schiere innumerevoli di servi, schiavi affrancati e non (i «famigli»). Il padre detiene il potere supremo e assoluto, ma distante per le sue occupazioni pubbliche (gli affari di Stato, la Corte). Depositaria del potere di fatto è la madre («domina» ), reminiscenza forse di un passato matriarcato. Tutti i componenti la famiglia occupano un proprio spazio, delimitato" come in una scacchiera: in esso si vive e si muore senza possibilità di trasgredirlo. I riti segnano il destino delle persone, e nel contrasto è la fonte della tragedia; ma questa è l'eccezione (allora sì mortale), non la regola. La regola è la benevolenza dei superiori, la raffinata cortesia fra uguali, l'eleganza nei trattenimenti, la profusione incredibile di stanze adorne, di giardini, di fiori, di stagni, di poesia e di sogno negli otia squisiti, e fino a un certo punto comuni, di padroni e servi.
La vita sembra fluire armoniosa come nella favola più delicata fino a quando tutti e ognuno si attengono alle regole custodite dal potere supremo; i colpevoli, veri o presunti, saranno immediatamente colpiti con crudeltà e spietatezza, fino alla morte, ma più spesso a questa perverranno come ad una liberazione: dai vaghi stagni gremiti di fiori di loto si ripescano i cadaveri dei suicidi.
Se queste sono le due facce — luna e 1' altra implacabili — dell'ordine familiare (e sociale) regolato dai «riti», si comprende come ogni impulso di trasgressione debba risultare eversivo e autodistruttore. Il contrasto fra i sentimenti personali, forse si potrebbe già dire la libertà della persona, certamente l'amore, e, dall'altra parte, i «riti», ecco, questa può essere una delle chiavi per afferrare almeno una parte dei messaggi trasmessi da questo romanzo straordinario.
Secondo questa interpretazione,  Il sogno della camera rossa sarebbe anzitutto un grande romanzo d'amore. Al centro di esso, due indimenticabili personaggi, sbalorditivi nella modernità delle loro nevrosi un giovane rampollo della famiglia aristocratica, Pao-yu , e una ragazza orfana e povera proveniente da un ramo collaterale della famiglia. Romeo e Giulietta in Cina?
Due personalità anticonformiste, eterodosse perché letteralmente intolleranti dell'ortodossia. Pao-yu che non vuole seguire gli studi prescritti dalla sua casta, che non vuole sottoporsi agli esami, che non vuole seguire la carriera di funzionario cui è destinato, ingannato e impedito nel suo amore per la «sorellina», esprimerà il suo rifiuto del sordido mondo che gli si vuole imporre fuggendone la vanità nel verbo dei monaci buddisti e taoisti. Alla «sorellina» Tay-yu , delicata autrice di versi finissimi, fragile creatura, portatrice di un amore sublimato, non resterà che lasciarsi morire nel profumato giardino della dimora gentilizia.
La vicenda dei due amanti infelici si intreccia entro una trama fittissima dove affiorano i cupi fantasmi che annunziano la decadenza e lo sfacelo dell'impero, la corruzione dei funzionari, l'oppressione dei miseri, la violenza mascherata dal paternalismo, il moralismo dei riti fonte di ipocrisia, inganno, universale sfiducia. A quei processi di decomposizione della famiglia tradizionale (e della società) il romanzo non offre alcuna via di uscita, se non il «grande Vuoto», l'abbandono della vanità; del mondo.
Certo, può apparire come una forzatura parlare di «lotta delle classi» o di «iniziale transizione dall'ortodossia feudale al primo pensiero democratico», come fa oggi certa «critica» marxista-leninista a Pechino. Rimane il fatto che Pao-yu, se finirà monaco, è già un ribelle ed annunzia le generazioni di ribelli che popoleranno la storia della Cina fino alla caduta dcll'impero  ed oltre. Rimane il fatto che, come acutamente aveva visto Lu Xun, al di là dei si gnificati occulti che sono stati cercati e che certamente sono celati nel romanzo, Il sogno della camera rossa, al suo apparire, e sempre più in seguito, costituì «una rottura» con le vecchie convenzioni, ne avviò la dissacrazione, fu uno stimolo alla ricerca di nuove vie di liberazione della persona.
Grande romanziere e poeta, testimone e precursore, Ts'ao Hsueh Ch'in schiude la soglia della Cina moderna. Che il lettore italiano la varchi con fiducia. alla scoperta di uno dei capolavori della letteratura mondiale.

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