3.4.13

Marco Polo il duplice. I misteri del "Milione" (di Giorgio Manganelli - 1982)

Un'immagine dal Marco Polo Rai di Giuliano Montaldo (1982)
Questo breve saggio di Manganelli, dotto e acuto come il suo autore, fu pubblicato - con altro titolo - su "L'Espresso". Il mio ritaglio non mostra la data, ma l'anno è certamente il 1982, quello del Marco Polo Rai di Montaldo. (S.L.L.)

Giorgio Manganelli
Chi è Marco Polo? Dal punto di vista anagrafico, che è anche il punto di vista della Storia Patria, e dei Grandi che ci fecero Grandi, abbiamo una scheda segnaletica modesta ma non inadeguata. E', diciamo, il livello ufficiale, di rappresentanza, del signor Marco Polo. E' veneziano; nel 1271, all'età di anni sedici con il padre Niccolò e lo zio Matteo parte per la Tartaria. I Polo erano mercanti, ma quel loro viaggio riuscì stranamente diverso da una escursione mercantile. Restiamo ai dati della scheda, compilati dal Commissariato della Storia. Il viaggio dura tre anni; Marco è un giovanottello; si presenta alla corte del Gran Khan. Siamo nel 1274, in Cina. Per chi ama le coincidenze, è l'anno in cui, a Firenze, Dante incontra Beatrice.
L'assenza da Venezia di Marco Polo dura ventisette anni: mi sembrano molti. Marco impara il tartaro e riesce assai simpatico al Kublai Khan. Il "Grande Cane" — come detterà poi — lo fa suo ambasciatore, e Marco capisce perché mai a lui appunto, veneziano, è toccata questa sorte singolare. Nel capitolo 15 del suo Milione — ne abbiamo dal 1975 una edizione critica (curata da V. Bertolucci Pizzorusso, e annotata da G. R. Cardona, Adelphi) così descrive il suo ritorno da una ambasciata: « Lo giovane [Marco parla in terza persona] ritornò: bene e saviamente ridisse l'ambasciata ed altre novelle di ciò ch'elli lo domandò, perché il giovane aveva veduto altri ambasciadori tornare d'altre terre, e non sappiendo dire altre novelle delle contrade fuori che l'ambasciata, egli li aveva per folli, e diceva che più amava li diversi costumi delle terre sapere, che sapere quello perché egli aveva mandato. E Marco, sappiendo questo, aparò bene ogni co¬sa per ridire al Grande Cane ».
Dunque la scheda ufficiale si arricchisce: egli diventa ambasciatore perché non è ambasciatore; è un viaggiatore che guarda, mentalmente annota, paragona, vede cose, uomini, bestie. E il Grande Cane, immobile sul suo trono poderoso, vuole queste storie, vuole sapere notizie delle genti, e certo al discorso tartaro del giovane veneziano ride, si agita, e la sua alacre mente di conquistatore della steppa, vagabonda e si perde nel grande, diverso mondo di Marco Polo. Qualcosa rammenta le Mille e una notte, le notti nelle quali Sheherazade racconta il mondo e il sopramondo, i vagabondaggi e l'amore ad un solitario, feroce, immobile e disamorato sultano. Gli anni passano, e Marco diventa governatore di una mirabile città, di Quinsai (oggi Hang-chou), una città che « io Marco lo vidi poscia co' mi' occhi »... « dura in giro C. miglia e ha dodicimila ponti di pietra; e sotto la maggior parte di questi pomi potrebbe passare una grande nave sotto l'arco... Quiv'à tanti mercatanti e sì ricchi e in tanto novero che non si potrebbe contare che si credesse » (148).
La sua sorte singolare lo ha dunque portato ad una città che è simile a Venezia, un luogo con strade d'acqua, e ricchi mercanti, e innumeri navi. Poi, comincia a desiderare il ritorno; ma il Grande Cane rilutta. La sorte lo aiuta; una spedizione per mare deve portare una principessa sposa verso la Persia: una spedizione per terra è già fallita. Partono ottocento uomini su molte navi; quando arriva ad Ormuz, tra Arabia e Persia, sono vivi in diciotto: tra questi Marco Polo e, parenteticamente, la principessa. Nel 1295 è a Venezia: ma nessuno ricorda il giovane partito sedicenne, e per qualche tempo visse certo come uno straniero sospetto. Com'era diventato nella sua bocca il parlare veneziano? Poi dovettero accoglierlo, tanto che lo mandarono in guerra e dopo la battaglia della Curzola finì in una prigione genovese (1298). Ma la vita gli è bizzarramente ambigua. In prigione trova un carcerato da dodici anni, un Rustichello che ama raccontare le favole di Artù e le battaglie dei paladini. E con lui parla, parla... Così nascerà il "Milione", uno dei grandi e stravaganti libri del mondo.
Torna a Venezia, si sposa, ha figlie, paga una multa per una grondaia, muore. 1324. Che silenzio, quella morte del veneziano che sognava in tartaro.
Questa è una scheda anagrafica, e sebbene singolare, ha pur sempre la sommaria mancanza di stupore di un documento ufficiale. Proviamo a scrutarla, a lavorarla con acidi disvelatori, nel caso che ne venisse fuori un secondo Marco Polo, più elusivo e magico. Intanto, come « apparò li costumi de' Tartari, e le loro lingue e loro lettere » e perché ne venne che egli si facesse « uomo savio e di grande valore oltra misura» (15)? Marco lascia intravedere una sorta di duplicità, una ambivalenza che lo fa appartenere a due mondi, che trovano una segreta comunicazione nel suo corpo. Altri, prima e dopo di lui, visitano quelle terre inospiti e leggendarie: missionari e mercanti. Ma egli, che crede all'inizio di essere mercante, si scopre una diversa immagine, è un uomo di sangue europeo, un veneziano, che vive gran parte della sua vita in un impossibile mondo tartaro. Egli è insieme se stesso e il proprio doppio, e di volta in volta le due immagini si scambiano compiti, progetti e memorie.
Ma la scheda tace altre figure di cui è fatta la vita. In quei poco meno che trent'anni, Marco Polo non ebbe amori, non ebbe famiglia e figli? L' impressione è che egli fosse un abitatore posato sullo sterminato continente tartaro e cinese, quasi un uccello migratore che avesse scelto, o cui fosse stata affidata una missione innaturale. Egli "sta" in quel luogo, ma non sembra avervi messo radici; non già perché appartenga ad un altrove, ma perché è un viaggiatore, un uomo che nell'immobilità si smarrisce. Tuttavia nella città veneziosimile di Quinsai egli ebbe tempo di scorgere «donne come fossono cose angeliche ». Se amò, non ne fece parola; ma forse un duplice non ama. E ancora: non sappiamo perché decidesse di tornare a Venezia. Nostalgia? Nel libro che dettò non ce n'è traccia. Forse c'è nostalgia di luoghi totalmente stranieri, occulti e magici. Infine, il "Milione". Questo libro, che appartiene a tutto il mondo, è perduto. Venne copiato, tradotto, ritradotto, interpolato, castigato, girò per tutta Europa, ma l'originale, quello che egli dettò o nacque dai suoi discorsi con Rustichello, quello è perduto.
Forse non era un libro, ma un luogo di parole, tessuto in febbrili discorsi. Anche il titolo è ambiguo: "Milione" o "Emilione"? Cifra fantastica o nome proprio? O anche entrambi, visto che una maschera del carnevale veneziano si chiamò appunto Milione? Il Milione comprende 209 capitoli: pochi superano le due pagine, molti di poche righe: non sono pochi per una vita in Tartaria? In realtà, il Milione è un equilibrio miracoloso di reticenza e di sorpresa. E' un libro taciturno, come dicono sia taciturno un capitano dai molti viaggi, ma le sue sillabe sono schegge del mondo: schegge terrestri, umane. Marco Polo viene dopo Odisseo, dopo Sindibad, ma è anche" colui che uccide i viaggiatori mitologici; giacché egli "vede". Come aveva esattamente inteso il Grande Cane, Marco Polo sapeva vedere: non raccontava favole, forse non aveva nemmeno molta fantasia. La sua fantasia era il mondo. Egli vede l'unicorno, e l'uccello Rokh di Sindibad; ma li vede come animali mostruosi, "laidi", capaci di vita e destinati a morte. La singolarità magica di Polo fu questa appunto: di attraversare per ultimo i luoghi del magico, del gigantesco, del mostruoso; e di averli attraversati per primo con occhi esatti, umani, mortali, senza paura e senza stupore. Egli è il fratello e l'uccisore di Sindibad.
A Bangkok, nell'area che circonda il grande tempio del Buddha in attesa della morte, una folla di statue orna viali e porte. Vi è tra queste una statua doppia, singolare nel suo vestito: un cilindro in capo, un gonnellino, un farsetto. E' Marco Polo, una statua che i sovrani cinesi donarono ai sovrani thai. Mentre Marco Polo sceglie di scrivere un libro destinato ad essere inesistente e proliferante, e si avvia a scomparire nella sua Venezia, in Oriente comincia un'altra storia, anch'essa sua. Possiamo immaginare che, all'imbarco con la principessa sposa, il doppio si fosse congedato dalla sua immagine; e avesse scelto di restare in Asia, ambiguo, duplice, ombra e corpo, un immortale.

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