I flaconi della cosiddetta Dama di Callatis (Romanìa), grande assente alla mostra padovana del 1984 oggi al Museo di Costanza |
PADOVA
Peccato che la dama di
Callatis abbia rifiutato l'invito ad esporre il suo eccezionale
beauty-case nella vetrinetta che le spetterebbe. Così non possiamo
verificare se farebbe davvero invidia a Tutu, la moglie dello scriba
Ami, vissuta tanti secoli prima di lei, ma in Egitto, non nella
provincia romana che oggi chiamiamo Romanìa. Nella scatola da
toeletta di Tutu, troviamo i sandali, tre tappi, un pettine, un
piatto a forma di conchiglia, due spilli, un vaso per cosmetici in
terracotta, un altro da viaggio in alabastro e un terzo ad anse,
sempre di alabastro. E che direbbe della dama di Callatis la matrona
di Vigorovea che qui ha spedito, occupando un' intera vetrina, i suoi
meravigliosi balsamari in vetro soffiato, la coppa millefiori, la
pinzetta di bronzo e la sua bottiglietta a duplice testa di Medusa?
Siamo a Padova nello
splendido salone del Palazzo della Ragione, dove oggi si è
inaugurata la mostra "Un' arte per la bellezza": più di
trecento oggetti - alcuni rari, altri stupendi, molti mai esposti
precedentemente al pubblico - che testimoniano la storia della
cosmesi nel bacino mediterraneo; la storia della bellezza
occidentale, si può dire, a partire dagli egizi per arrivare agli
italiani del Rinascimento, con un breve, non vizioso, giretto, tra i
"primitivi": gli africani, gli australiani. Trecento
oggetti godibili in sè, da un punto di vista estetico, anche da chi
spregia le estetiste. Ma che per essere tutti legati a quella
straordinaria propensione che hanno gli uomini e le donne di tutti i
tempi e paesi a voler essere "belli", e a fare coincidere
la bellezza con un'idea tanto complessa e personale di eccellenza,
richiameranno orde di curiosi, d'ogni genere e grado: si può
prevederlo.
Si può prevedere, anche,
che le reazioni del pubblico più innocente, nel guardare le vetrine,
leggere i cartelli didascalici, compulsare il catalogo, saranno
improntate alla gioiosa meraviglia di scoprire quanto poco siamo
cambiati, rispetto agli egizi, i mesopotamici, i greci e tutti gli
altri: anche loro necessitavano di dopobarba, fondi tinta, e aggeggi
speciali per nettarsi le orecchie. Andavano ai fanghi, esaltavano gli
occhi, usavano cerette per depilarsi e prodotti speciali contro la
traspirazione. Si prende una grande confidenza, con gli antichi, se
anziché leggerne i testi oppure osservarne le immagini distorte da
canoni estetici che non sono più i nostri, pensiamo al loro corpo.
Ci paiono fratelli quei costruttori egizi che rifiutavano il lavoro
(scioperavano?) perché non avevano ricevuto il quantitativo pattuito
(nel contratto nazionale) di olio solare. Da questa confidenza, il
rammarico per l' assenza della dama di Callatis, la "pitonessa"
vissuta sul Mar Nero ai tempi di Traiano, sofferente di osteoporosi e
reumatismi, morta che aveva passato da poco i cinquant'anni.
E' importante, la dama di
Callatis, perché il ritrovamento del suo sarcofago, una dozzina di
anni fa, ha messo in moto un meccanismo di studio che vivifica questa
mostra padovana e apre inedite strade di ricerca nel nostro paese. A
studiare il suo sarcofago eccezionale - della "pitonessa"
si eran conservati, oltre allo scheletro, gli occhi bistrati,
l'epidermide, il polmone destro, un pezzo di cervello, il muscolo
interno della coscia sinistra - fu chiamato il chimico Giuseppe
Donato, supervisore scientifico di questa mostra ma oggi soprattutto
direttore dell'Istituto di Tecnologia applicata ai beni culturali del
Cnr. Donato, è naturale, si chiese il perché di tale conservazione
e, con gli esperti della sua équipe, si mise a studiare i vegetali e
le essenze conservate nel sarcofago: i lauri, gli incensi, la
mirra... e i cosmetici conservati nel beauty-case. La curiosità si
era innescata.
Oggi Donato è fiero di
aver saputo riprodurre con pazienza certosina quattro unguenti
classici, partendo dalle ricette di Plinio e Dioscoride: metapio,
reale, rhodio e mirto-alloro. Unguenti che sono profumi a base di
olio. Donato avaramente ne mette a disposizione qualche stilla,
racchiusa in gocce di plastica: si sentono arcane suggestioni,
annusandosi il dorso della mano spalmato di metopio. Il reale è meno
stravagante. Una giovane donna lo trova rassomigliantissimo
all'ultimo profumo di Balmain. La Dermatrophine, che è tra gli
sponsorizzatori della mostra insieme con Olivetti, li metterà in
produzione?
A queste domande, Donato
sorride e spiega l'impossibilità della cosa, la necessità di
partire dall'olio di olive colte d'agosto, la macerazione dei
ventotto componenti per tre giorni consecutivi seguita dalla
spremitura: operazione da ripetere dodici volte. E poi il
mescolamento dei ventotto componenti tra loro. Miliardi, verrebbe a
costare, un unguento del genere, sul mercato di oggi. Il lavoro di
Donato ha un altro senso; è solo un esempio di archeologia
sperimentale, per cui si producono oggetti, strumenti, quali li
foggiavano gli antichi non per dare sfoggio di bravura, ma per
poterli misurare con l'uso; quanti alberi può tagliare, una selce?
Che effetto ha sul corpo, un unguento? Effetto estetico, effetto
terapeutico, effetto micidiale; il figlio di Donato, che è medico,
spesso interviene sul padre con pesanti dosi di cortisone. Quanto
agli effetti magici, ahinoi, e a quelli simbolici, bisogna proprio
che ci rinunciamo.
"la Repubblica", 3 maggio 1984
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