Ideologicamente? È
rischioso palleggiarlo. Stilisticamente? Può far arricciare più di
un naso fine. La sua importanza? Forse sta solo nel gorgo fangoso —
ma proprio per questo straordinario — di una letteratura popolare e
vitalistica.
Jack London, che tempra.
Nasce un anno prima che la regina Vittoria diventi l'imperatrice
delle Indie. Muore mentre Freud scrive l'Introduzione alla
psicanalisi», mentre Dostoevskij medita i Karamazov e
Apollinaire sta per coniare il termine « Surrealismo ».
Ma lui, che ne sapeva?
Per me, quest'uomo vagabondo, rissoso, narratore che si sente
marinaio, giornalista che si sente narratore, è un grande. E lo è
anche se gira non in tenuta poetica, ma con una camicia a rozzi
quadri, con le tasche rigonfie e lacere del randagio. Scrive legando
nodi di avventure, spezzando i capitoli con l'accetta? Benissimo,
vivaddio. Il suo vitalismo gli procurerà smorfie da parte dei fedeli
di una pagina ben coltivata? Controprova decisiva, a mio parere.
Per Jack London, la vita
è una tigre, una lena, un terremoto dove ognuno deve pagar prezzi
mostruosi, dove chi manca di coraggio è giusto che vada sulla forca,
e dove chi ha coraggio non può non diventar cinico e bruto, in modo
da meritarsi la forca anche lui. Il suo miglior personaggio, la sua
più felice creatura è un cane, quel Buck che « serve » per una
vita poi cede al « richiamo della foresta ».
Sempre ingolfato,
disperato, sanguigno, velleitario, con tutti i muscoli gonfi, London
è un «qualcuno » con cui fare i conti (e divertirsi al giro
avventuroso che combina). Un «qualcuno» che i lettori schietti
sanno capire: penso a un ferroviere, a un ubriacone, a un giocatore
di carte della profonda provincia piemontese, che mi parlavano di
London come di un fratello. Spartivano con lui l'identica visione
cruda e nuda della vita, la stessa rabbia contro il destino,
crogiuolo di ingiustizie.
Titano dalle scarpe
scalcagnate, Jack si fa dare del «tu» da chicchessia. Per uno
scrittore è il massimo dell'elogio. Le riserve lasciamole al
professorini ignari del battito cardiaco, sordi ai «richiami».
“Tuttolibri La Stampa”,
24 gennaio 1976
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