12.6.13

Le carezze di André Gide (di Gian Carlo Roscioni)

C'è un episodio nella vita di Gide che s'imprime nella memoria anche di chi non appartiene alla schiera, una volta numerosa, dei suoi assidui, appassionati lettori. La racconta lui stesso in Et nunc manet in te, il libro che nel 1939 dedicò alla moglie da poco scomparsa. Parlando del viaggio di nozze, che risaliva al lontano 1896, Gide evoca un particolare inquietante. In treno, nello scomparto situato alle spalle di quello dove sedevano i due sposi, c'erano tre studenti che, accaldati (la scena si svolge in Africa, vicino ad Algeri), si erano quasi svestiti; tendendo il braccio fuori del finestrino lo scrittore si accorge di poter toccare la spalla di uno dei ragazzi, e poco a poco trasforma il gesto in una carezza. Lo studente, probabilmente per gioco, cede il posto prima all'uno poi all'altro dei suoi compagni, e Gide a ogni sosta del treno ripete l'operazione. La moglie Madeleine, fingendo di non accorgersi di nulla, rimane impassibile; ma, una volta ad Algeri, non si trattiene dal manifestare al marito il suo profondo sconcerto: “Sembravi un criminale o un pazzo”.
Perché Gide ha voluto raccontare, e non solo in questa occasione, una storia del genere? Il precedente di Rousseau c'insegna che bisogna diffidare degli scrittori troppo sinceri. Se è consigliabile praticare con moderazione qualsiasi virtù, nel caso della sincerità la misura e la circospezione non sono mai troppe. Chi non rispetta questa regola corre il rischio del giocatore di poker che, alzando molto la posta, suscita nei compagni il desiderio di vedere: così, avendo Jean-Jacques solennemente dichiarato di voler dire nelle Confessions tutta la verità su se stesso, qualcuno si è preso la briga di fare una minuziosa, puntuale verifica, ed è venuto fuori che quella verità era condita da molte piccole e grandi bugie. A Gide non è andata in modo molto diverso. Essendosi anche lui professato fautore della sincerità ad ogni costo, i suoi biografi (e gli amici di Madeleine) hanno attentamente esaminato e vagliato certe affermazioni; e, per quanto riguarda la storia del treno, sono arrivati alla conclusione che i fatti si sono svolti più o meno come Gide li racconta in Et nunc manet in te, non però nel 1896 ma alcuni anni più tardi […]

“la Repubblica”, 20 giugno 1987

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