Giorgio Napolitano non è mai
stato quel socialista europeo dentro il Pci berlingueriano che egli riteneva di
essere. E stato piuttosto, con tutta la corrente cosiddetta
"migliorista", l'uomo di un accordo con Craxi. Il quale, a sua volta,
neppure lui era il socialista europeo che diceva di essere - in concorrenza a
sinistra con un Pci troppo forte, che sarebbe stato il caso, a suo parere, di
"ridurre". Come in uno strano gioco di maschere, nessuno era ciò per
cui si presentava e per cui voleva essere considerato. Le maschere, alla fine,
come si sa, si sono liquefatte con Tangentopoli (e la corrente
"migliorista" - soprattutto quella milanese - pagò il suo prezzo).
Oggi il giudizio sul periodo
craxiano è impietoso: il segretario del Psi condusse il più antico partito
italiano allo sfacelo perché preso da una libidine del potere (e del denaro che
ne derivava) che si esprimeva in un gioco angusto di alleanza e rivalità con la
De. Napolitano e i suoi o non capirono nulla o ambirono a essere parte di quel
gioco. Non necessariamente per smania di potere (e di soldi), anche soltanto
per inserirsi nell'area governativa con in mente l'idea che il Pci non dovesse
chiudersi in se stesso. In altre parole, i "miglioristi" furono
soltanto degli emuli di Craxi. Cosi — con un'operazione che parve sbagliata
anche a molti all'interno del Pci - il presidente del gruppo comunista alla
Camera, Napolitano appunto, decise per il "no" all'impeachment di
Andreotti in aula. Correvano gli anni ottanta del Novecento. La deriva del Caf
poteva essere arrestata se Andreotti fosse finito sotto processo prima e non
dopo Tangentopoli.
Napolitano evitò quella mossa per
via di una "naturale" tendenza derivantegli da una mentalità
togliattiana incline al compromesso. Voglio essere chiaro su questo punto: in
politica i compromessi si fanno, in certi casi si devono fare. Ma una cosa fu
il governo Badoglio sostenuto da Togliatti in un quadro politico e di guerra
determinato, un'altra sono i compromessi fatti all'unico scopo di non
disturbare troppo i "manovratori" - a quei tempi Craxi e Andreotti - con
obiettivi, neanche si sa bene quali, comunque di piccolo cabotaggio magari
sotto una retorica di apparente "salvezza della patria".
In realtà - la storia italiana
dovrà pienamente riconoscerlo un giorno — quello più vicino al socialismo
europeo all'interno del Pci fu proprio Berlinguer che, a un certo punto, se ne
uscì con la proposta dell'eurocomunismo: una proposta molto imperfetta, per
molti versi impraticabile (se si pensa ai partiti comunisti francese o spagnolo),
che però collocava il Pci come interlocutore privilegiato delle
socialdemocrazie europee. E Berlinguer fu più "eurosocialista"
proprio nell'ultima fase - criticata a suo tempo da Napolitano -, quando,
lasciata da parte la fallimentare strategia di collaborazione con la De, lanciò
la linea dell'«alternativa democratica», che altro non era, in fondo, se non
quella di un'alternanza come nel resto d'Europa tra forze conservatrici o
moderate e forze socialiste o progressiste. Ciò che mancò a Berlinguer fu la
risolutezza nel seguire questa strada, che avrebbe comportato un taglio netto
con l'Unione Sovietica e probabilmente una scissione nel partito con l'uscita
della componente cossuttiana.
Napolitano è insomma, per
riprendere il filo, l'uomo del compromesso per il compromesso, con un occhio
attento alla politique politicienne e
l'altro chiuso su ciò che si muove nel paese. Non sorprendono, allora, i suoi
"errori" (che a lui parranno piuttosto dei meriti), e nemmeno il
fatto di essere da sempre un riformista privo della benché minima riforma - a
parte quella dell'invenzione dei centri di "detenzione" transitoria
per i poveri immigrati clandestini, introdotta quando era ministro dell'interno
(la famosa legge Turco-Napolitano). Anche durante il primo mandato da
presidente della Repubblica le ombre sono state parecchie: da ultimo, pochi
giorni prima della scadenza poi non scaduta, la grazia concessa all'ufficiale
della Cia responsabile del rapimento di Abu Omar.
Ma certo il capolavoro di
Napolitano - esempio di cecità circa le sorti della democrazia in un'Italia già
sottoposta a stress dalla perdurante presenza dei populismi e dall'ingombrante
leadership berlusconiana su uno di essi - è stata tutta l'operazione che ha
condotto alla sua seconda presidenza e al governo Letta. Tanto valeva che egli
si limitasse a dichiarare di fronte al paese che bisognava tenere inserito il
"pilota automatico" europeo, quello di Draghi (e anche di Monti). Una
guida politica infatti a che serve se è ricerca del compromesso insensato, se
arriva a coltivare l'idea di riforme costituzionali con un nemico della
Costituzione come Berlusconi?
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