Questo testo pascoliano, a mio avviso bellissimo, è introduzione a un’antologia italiana che il poeta-professore curò per l’editore Patròn, dedicata ai ragazzi del ginnasio superiore, in più edizioni nei primi anni del Novecento: Fior da fiore. Mi pare riflessione attualissima ora che un nuovo tipo di grigiore omologante sembra annebbiare il nostro parlare e il nostro scrivere. L’ho recuperata da una rivista che le Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori diffondevano tra gli insegnanti sul finire del secolo scorso. Nel ritaglio non c’è data, ma dovrebbe essere stato il 91. (S.L.L.)
Noi dobbiamo riproporre il problema posto e studiato dal Manzoni: il problema della lingua. Dirò poche parole, troppo poche al bisogno, ma misurate a questo proemio, se non vuol essere troppo lungo.
Qualunque sia la vostra regione, il vostro dialetto e la vostra condizione, tutte quelle parole così particolari e vivaci, anche se voi le sapete ora, le dimenticherete col tempo. Vi s'insegnerà a lasciarle da parte, tali parole troppo vive, per usar soltanto certe altre parole troppo generiche, smorte e opache; così come la contadinella che rincivilisce, lascia le pezzuole rosse e si veste di grigio. Ahimè! La lingua grigia si presta poco all'arte! Gli scrittori d'oggidì, costretti a usare questa lingua che a mano a mano diviene più numerata e scolorita, s'ingegnano con gli aggettivi e con le combinazioni varie dei medesimi elementi, come i marinari che con pochi fanali e poche fiamme si danno tra loro certe notizie necessarie. Sì: certe domande e risposte si fanno: s'intendono; ed è cosa mirabile e necessaria; ma le domande e le risposte sono presso a poco sempre quelle, e di gran bei discorsi, con quelle fiamme e con quelle lanterne, rosse, verdi, gialle, non si compongono. Studiamo la lingua! S'ingegnino gli scrittori (sia pure movendo sul principio a gesti di dispetto i lettori), s'ingegnino a mettere in circolazione le parole che da sole esprimono subito ciò che da altri è espresso con tre o quattro fiamme o tre o quattro lanterne: voglio dire con un sostantivo e tre o quattro aggettivi. S'ingegnino a scriver più che si possa come (per prendere dai bravi marinai l'esempio del bene, come s'è preso quello del men bene) come i marinai parlano, quando parlano da vicino e non da lontano; ché ci sono, per esempio, tante corde sulla nave, tutte della medesima canapa, e pure ognuna ha il suo nome, secondo il servizio che fa: drizza, bracci, scotta, mure, alzane, gomene, sartie, sartiole, straglio, mantigli, e via dicendo. E intanto la scuola, se anche non vuole insegnare quelle parole proprie e miracolose, non s'ingegni almeno di farle dimenticare. Non bandisca, per esempio, così severamente il dialetto. Sarà agevole o almeno possibile trovar le parole italiane o toscane equivalenti a quelle del nostro vernacolo. Ma se non riteniamo nemmen queste, quelle non le ricerchiamo nemmen più. E senz'esse, noi non ritroviamo o non riconosciamo più le cose che esse esprimono. Senz'esse, gran parte del mondo si scolorisce, si appanna, si annulla per noi.
La lingua grigia è causa ed effetto d'un cotal daltonismo per cui non vediamo più i colori varii che ci abbelliscono la terra e il cielo e l'anima. Un barbaglio sulla retina, un ronzio nel timpano, e una nenia uniforme nell'anima.... Eh! Via! Non vogliamo vedere la gran variazion de' freschi mai, vogliamo contarli e distinguerli a uno a uno i fiori, e udire sillaba per sillaba i canti dell'eterna Matelda!
Concludo, o giovanetti. Volete essere buoni per l'arte umana, per l'arte delle arti, per la poesia? Ecco il segreto, che io imparai troppo tardi: chiedete sempre il nome di ciò che vedete e udite; chiedendo agli altri, e solo quando gli altri non lo sappiano, chiedetelo a voi stessi, e se non c'è, ponetelo voi il nome alla cosa. E guardate e ascoltate, intorno a voi e dentro di voi: il che torna a dire come — rimanete più che potete quel che siete: fanciulli —; perché gli uomini fatti non ascoltano e non guardano più. Non altro... Ah! mi dimenticavo il più importante. Tornando a Dante, mi dimenticavo di dirvi il nome e il significato misterioso di quell'Ombra che conduce Dante a Matelda, cioè all'arte.
II nome è Virgilio, e il senso è Studium, parola che tradotta suona sì studio e sì amore. Ricordatevene.
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