12.7.13

Jettatura per tutti (di Beniamino Placido)

Nel 1981 uscì il libro è Scrittori della jettatura, pubblicato dalla Editrice Salerno a cura di Giuseppe Izzi, con una premessa di Giorgio Manganelli e una nota antropologica di Luigi Lombardi Satriani. Su “la Repubblica” ne diede conto il grande Beniamino Placido che, rivolgendosi al lettore, trattava la materia spinosa con approccio personale e confidenziale. L’articolo mette qualche voglia di leggere il libro, ma è, di per sé, godibilissimo. (S.L.L.)

Come si affronta un libro sulla jettatura? Eliminiamo subito l'approccio più facile. Quello di chi partecipa di una «coscienza culturale inferiore», come Benedetto Croce che alla iettatura ci credeva: al punto da non far uscire un certo Quaderno della Critica contrassegnato da un numero molto sfortunato. Non è il nostro caso. Noi apparteniamo alla «coscienza culturale superiore» (la distinzione è di Ernesto De Martino, che della jettatura si è occupato in Sud e Magia). Noi a certe sciocchezze — corni malocchi amuleti — non ci crediamo.
Però: è proprio sicuro? E' proprio certo che se vediamo in giro un terribile jettatore, non ricorriamo a qualche segreto scongiuro, o a qualche esplicito gesto apotropaico (si dice così, dal greco «apotròpaios», «che storna i mali»)? O che non ci percorre qualche brivido di paura?
Anche all'interno della nostra categoria — quella degli spiriti forti — bisogna distinguere due atteggiamenti. C'è chi dice: «io non ci credo, ma è vero», come si esprimeva il mio professore di filosofia al liceo. E c'è chi dice: «non è vero, ma ci credo». Ambedue questi atteggiamenti risultano soccombenti di fronte alla inarrestabile forza della jettatura, quale risulta dai saggi raccolti in questo libro.

Da San Paolo a Croce
Pezzo forte della raccolta è la celebre (almeno fra i «napoletanisti») Cicalata sul fascino volgarmente detto jettatura di Nicola Valletta (1787), un testo ampiamente saccheggiato da tutti i più illustri viaggiatori stranieri (Stendhal e Dumas compresi) ed ampiamente discusso da tutti gli studiosi della cultura napoletana (Croce e De Martino compresi).
Perché discusso? Perché c'è un problema: questo Valletta, intellettuale illuminista, professore alla Regia Università, ci crede o non ci crede alla iettatura che descrive così bene?
La questione non essendo ancora stata risolta, azzarderò il mio parere. Nicola Valletta appartiene alla categoria di coloro che pensano (anche se non lo dicono): io non ci credo alla iettatura — figuriamoci, sono un illuminista, un intellettuale, un professore — però la jettatura c'è, è vera.
Non è possibile che non ci sia un fondamento di vero in una credenza diffusa fra tanti popoli e da tanto tempo. Ci credevano i Greci. Ci credevano i Romani. Ci credevano indifferentemente pagani e cristiani. Perfino San Paolo ci credeva («quis vos fascinavit non oboedire veritati»?). Ci credeva (è sempre il Valletta ad accumulare le «prove») persino «Landulfo vescovo di Capua, uomo di singolare prudenza, che fiorì nell'anno 842 e soleva dire che la vista di un monaco era per essolui una jettatura, e niente gli veniva dritto quella giornata in cui incontrato l'avesse».
Dunque, se persino i vescovi credevano nella jettatura esercitata dai monaci (e non è escluso che i monaci temessero a loro volta la jettatura «gettata» dai vescovi) come si fa a dire che la jettatura non è vera? Non corrisponderà ai dettami della nostra scienza, ma — conclude Nicola Val¬letta — «la nostra scienza non è se non una dotta ignoranza».
E di cosa è fatta questa iettatura, questo maiefizio «gettato» da lontano, attraverso gli occhi («mal'occhio»)? Qui le opinioni divergono. Fra gli scrittori «antologizzati» in questo libro (e sono i massimi esperti napoletani, quindi mondiali, del fenomeno) mentre Nicola Valletta crede negli «effluvi», Leonardo Marugi (Capricci sulla jettatura, 1788) la ricollega all'elettricità (ecco perché ci sono più jettatori uomini che donne: perché gli uomini hanno più peli, e i peli sono portatori del fluido elettrico). E Antonino Schioppa (Antidoto al fascino volgarmente detto jettatura, 1830) la fonda sul «galvanismo, ossia magnetismo animale».
E veniamo — con lo Schioppa — agli antidoti. Che interessano soprattutto i lettori del tipo: «non è vero, ma ci credo». Cioè: non è vero, è una gran stupidaggine questa jettatura, però «ci credo», nel senso che ne ho comunque paura (come si ha paura dei fantasmi di un racconto, pur sapendo che non sono reali) e corro ai ripari.

Parrucca e tabacchiera
Non è ancora la nostra categoria, caro lettore. Noi siamo spiriti forti. Superiori a queste cose. Per fortuna. Perché anche quelli che pensano (o dicono) «non è vero ma ci credo» si trovano a malpartito.
Questo libro insegna che contro la jettatura non c'è antidoto che tenga. Tanto per cominciare, non è facile riconoscere lo jettatore. Fortunati i napoletani del tempo in cui Alessandro Dumas li visitava e scriveva Il corricolo. A quel tempo (1843) «lo jettatore è di solito magro e pallido, ha il naso ricurvo, occhi grandi che hanno qualcosa di quelli del rospo e ch'egli suol coprire, per dissumularli, con un paio di occhiali».
A quel tempo, oltre agli occhiali, caratteristiche inconfondibili dello jettatore erano la tabacchiera e la parrucca. Ma oggi che tabacchiera e parrucca sono cadute in disuso e gli occhiali li portano (probabilmente) anche i non-jettatori, come si fa a riconoscere lo jettatore?
E se anche lo si riconoscesse, non sarebbe mica facile contrastarlo. Il corno? Suvvia, soltanto chi non ha letto questo libro può ancora illudersi sull'efficacia di «questo palliativo», di questa «ridicola invenzione» — come si esprime lo Schioppa — che può avere addirittura effetti controproducenti. Difatti «i corni sono pregni di carbonico e di elettricismo; e perciò, piuttosto che respingere le jettature, possono essere eccellenti conduttori».
Per tenere veramente a bada lo jettatore bisognerebbe portare addosso alcune cose di cui solo la cipolla è oggi ancora facilmente accessibile. Le altre sono la ruta agreste, quell'«erba di odorifera radice, detta baccaris», o la coda del lupo. Oppure bisognerebbe sputarsi tempestivamente «tre volte sul seno» (sul seno? ma come si farà?).
Non c'è altra soluzione che la nostra, caro lettore. «Non è vero e non ci credo». Noi non ci crediamo, alla jettatura, né la temiamo. Apparteniamo alla «coscienza culturale superiore». Siamo spiriti forti.
Così la pensavo prima di leggere questo libro. Adesso mi sento un po' meno sicuro. Se può valere la testimonianza di uno che, nella cultura — meridionale — della iettatura, ci è nato, ricorderò il giorno radioso in cui mi parve di essermi liberato insieme dalla jettatura e da Benedetto Croce, che nella jettatura ci credeva. Per un meridionale, liberarsi da Croce è un impegno vitale: come liberarsi dal padre (e saremo d'accordo, spero, che ci si libera dal padre non uccidendolo, ma introiettandolo).
Al diavolo la jettatura! cominciai a dire a me stesso. Hanno ragione gli psicologi: è una manifestazione casereccia del delirio di potenza, una illusione allucinata di controllo della realtà sfuggente. Hanno ragione i sociologi: è una forma di comunicazione fra le classi sociali (napoletane) più diverse che si riconoscono in questa comune superstiziosa credenza.
Il guaio è che la «cultura della jettatura» aveva pensato anche a questo. Aveva pensato anche a me ed a te, lettore, che siamo così forti e non ci crediamo. Se uno non crede alla jettatura e non la teme, vuol dire che è uno jettatore lui stesso. Lo si può esprimere in prosa, questo concetto: «Chi la jettatura nega suol essere fra il numero de' jettatori». Oppure in versi: «Osservai che chi non crede / Al gran mal di jettatura / Forse in se stesso la vede / Qualità segni struttura»: rimane comunque un concetto fastidioso.
Per questo ti avevo avvertito in anticipo, caro lettore. La jettatura non è una forma qualsiasi di superstizione. E' un sillogismo perfetto e perverso. Ti illudi di essere libero come l'uccello che canta sul ramo, ma sotto c'è quello jettatore di un «rospo, che vedendo l'usignolo, a sé cogli occhi lo tira e lo divora». In prosa. O, se vuoi sentirtelo dire in versi: «Non insidia il rospo sozzo / E cogli aliti a sé tira / L'usignuol, che nel rio gozzo/ Va a cadergli, appena il mira»?
Se la fascinazione, detta volgarmente jettatura, c'è fra gli animali, può mai darsi che non ci sia, che non funzioni fra gli esseri umani? Così argomentava .il Valletta (1787), del quale ancora non si è capito a tutt'oggi se scherzava o faceva sul serio. Se ci credeva o no, alla jettatura.

“la Repubblica”, 6 febbraio 1981


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