19.7.13

Grassi e Strelher. Le notti insonni di due litiganti (di Anna Bandettini)

Paolo Grassi, Bertolt Brecht e Giorgio Strehler
Le “confessioni di Mosca”, le chiamava Paolo Grassi. Citava Dostoevskij ma si riferiva, con ironica rassegnazione, a Strehler e agli attori stipati dentro lo studio del regista, un buco stretto e minuscolo, a parlare lì ore e ore.
«Facevano le notti» ricorda Nina Vinchi, segretaria generale del Piccolo «dalle 2 del pomeriggio finivano per uscire magari alle sei di mattina».
«Le prove con Strehler erano senza orari. Lì nel suo studio si lavorava al testo, in una immersione totale. Quando si usciva all'alba si correva tutti alla latteria Passerini, in via Spadari: due uova al burro per rimetterci in sesto. Grassi invece si faceva vedere solo quando si provava in palcoscenico. Seguiva tutti i preparativi degli allestimenti di quegli anni: se ne stava seduto in platea, senza fiatare fine a notte fonda. E la mattina dopo era sempre al lavoro».
Ettore Gaipa, con Gianfranco Mauri, è oggi considerato uno dei fedelissimi di Strehler: dal '47 sempre al Piccolo, a parte qualche interruzione sporadica. In quegli anni era uno dei tanti giovani sbarcati in via Rovello: l'Accademia di Roma, diretta da Silvio D'Amico, li indirizzava al Piccolo ed arrivavano, esordienti. Nino Manfredi (che fece il Riccardo II e la Tempesta), Giancarlo Sbragia, Pierluigi Pizzi, Giorgio De Lullo, Vittorio Caprioli, Franca Valeri, Warner Bentivegna, Virna Lisi... «Venivano attratti da un miraggio: quello di fare un teatro d'arte, contro il teatro dei telefoni bianchi, il teatro borghese».
Lo studio di Strehler era un bugigattolo al pianterreno di via Rovello, Grassi invece stava al primo piano; secondo Gaipa e Mauri, Nina Vinchi faceva chilometri su e giù per quelle scale. E Franco Parenti, «Io credo che Strehler e Grassi litigassero ogni volta che si vedevano. Da quell'ufficio al primo piano ogni tanto arrivavano degli urli. Ma mai per interessi personali; solo per il teatro che nasceva».
Nina Vinchi nel marzo del '47 lavorava ancora con un generale che amava il teatro ed era presidente della Società degli Editori. La domenica frequentavano insieme il «Circolo Diogene», in via Filodrammatici, dove si incontrava un belle po' di intellettualità a discutere di teatro. «Lì vidi per la prima volta Strehler e Grassi che erano già ami¬ci da tempo» dice Nina Vinchi «Spiegavano cosa volevano fare al Piccolo. E cercavo una segretaria per la nuova sala». Il primo aprile Nina Vinchi era al Piccolo. «Bel pesce d'aprile che mi hanno fatto quei due. In via Rovello trovai loro e un fattorino, prestato dal Comune. In un mese bisognava preparare gli abbonamenti, cercare le maschere, le cassiere... Quante ore lavoravamo? Ero sempre qui, ma ero contenta perché era come partecipare a un'avventura».
Il primo problema del Piccolo era quello di crearsi un repertorio di spettacoli; da qui tutte quelle riunioni e prove notturne. Eppure a quel ritmo Strehler firmava oltre 60 regie in nove anni. Ma l'altro grande problema erano i soldi. «Non ce ne erano. I finanziamenti, non sempre arrivavano come ora», e Gaipa e Mauri ricordano ancora la loro paga di 700 lire al giorno, quando una stanza da dividere in tre costava 2100 lire al giorno.
Fortuna che il pubblico c'era. Quello degli amici, subito tanti, ma anche quello che non voleva capire la promozione. «Ad una replica dell'Opera da tre soldi, ci fu tra gli spettatori chi ci urlava "andate in Russia"». Per le prove e il debutto di questo spettacolo «arrivò un omino timido e infantile — come se lo ricorda Nina Vinchi — guardava le prove e rideva come un matto chiedendosi: che bello, l'ho scritto io questo testo? Senonché Strehler si infuriava perché queste risate lo disturbavano e quando gli dissero che era Brecht, era ancora più disperato perché non capiva il senso efi quel divertimento. Pensava di aver sbagliato tutto».

Il Piccolo Teatro ha 40 anni speciale de “la Repubblica”, maggio 1987

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