Per quasi trent'anni fu
un protagonista della scena culturale napoletana e della cultura
matematica internazionale. Poi, un venerdì di maggio del 1959, dopo
avere riempito alcuni fogli di equazioni, si tolse la vita: un
suicidio lucido e ragionato come le formule lasciate sullo scrittoio,
un gesto che ancora oggi turba la comunità scientifica.
Parliamo di Renato
Caccioppoli, lo studioso al quale la Scuola Normale superiore e
l'Istituto italiano per gli studi filosofici di Napoli dedicano oggi
un convegno a Pisa, con lo scopo come dice uno dei relatori, il
professor Ennio De Giorgi di scavare nell'opera del grande scienziato
alla ricerca di altri tesori, e anche di avviare un'impresa ai limiti
del possibile: raccordare il pensiero matematico al pensiero del
nostro tempo, ponendo fine a una separatezza durata troppo a lungo.
Riusciranno nell'intento
gli ardimentosi congressisti? Difficile rispondere; ma è certo che
poche figure di matematico possono servire a riannodare le due
culture meglio di quella di Caccioppoli, che fu un uomo a molte
dimensioni.
Nato a Napoli nel 1904 da
Giuseppe, noto chirurgo, e da Sofia Bakunin, figlia dell'anarchico
russo Michele Bakunin, Renato deve forse a questa ascendenza il
costante interesse per la questione sociale che lo porterà, nel
1948, a unirsi agli operai durante l'occupazione delle Officine
Meccaniche e Fonderie. Dal nonno materno eredita anche una certa
insofferenza per l'ordine e l'autorità. Benché militi di fatto
nelle file del partito comunista, non ne prende mai la tessera. Gli
amici, sconcertati, gli chiedono “Ma tu si' marxista, Rena'?” e
non riescono a ottenere risposta.
In effetti la domanda,
rivolta a Caccioppoli, è banale. Renato è istintivamente uomo di
sinistra, ma ha delle riserve sul Pci, come del resto ha riserve su
tutto e su tutti. La sua militanza politica è molto intensa nel
periodo 1950-1956, prima del ventesimo congresso del Pcus. Tiene
applauditi comizi nelle piazze di Napoli, e l'impegno nel Movimento
della pace lo porta anche fuori d'Italia, sempre accompagnato dalla
minaccia di ritiro del passaporto da parte della polizia di Scelba.
Intorno a lui si
raccoglie in quegli anni un gruppo di giovani intellettuali Fausto De
Luca, Ermanno Rea, Michele Coppola, Sandro Aurisicchio, Ruggero
Guarini, Franco Prattico, Luigi Imbimbo ed altri che formano un'
isola a sé nell' arcipelago del comunismo napoletano. Si incontrano
dal libraio Gaetano Macchiaroli e passano insieme lunghissime serate,
viaggi verso il termine della notte, come ha scritto Lucio Lombardo
Radice, durante i quali Caccioppoli parlava, parlava instancabilmente
per ore, sempre posseduto, quasi che da un momento all'altro il
ricamo sottile delle connessioni dovesse spezzarsi.
La conversazione è uno
dei suoi atouts. Brillante, mai banale, piace alle signore, e infatti
il gentil sesso occupa un posto importante nella sua vita. La donna
del suo cuore è Sara Mancusi, venuta a Napoli alla fine degli anni
Trenta con Arturo Labriola, e che Caccioppoli sposerà segretamente
in circostanze che vale la pena di ricordare. Siamo nel 1938,
Caccioppoli non fa mistero delle sue idee antifasciste, anzi le
manifesta in modo spericolato, suscitando imbarazzo negli amici più
conformisti. Una sera, al ristorante Il Grottino, supera se stesso.
Dopo avere rivolto frasi poco riguardose all' indirizzo del Duce,
ordina all'orchestra di suonare la Marsigliese. Interviene la polizia
e Renato è arrestato. Ai fascisti che, scortandolo al commissariato,
promettono di prenderlo a calci, risponde: “Si capisce, i calci
sono l'arma degli asini. Per reati del genere, all'epoca, c'è il
tribunale speciale. Ma la famiglia del matematico interviene: la
madre Sofia, d'accordo con la sorella Maria, professoressa di chimica
e terrore degli studenti napoletani fa passare Renato per pazzo, ne
ottiene il ricovero nel manicomio giudiziario e più tardi in una
clinica privata di Capodichino.
La leggenda della pazzia,
che Renato si porterà dietro per il resto della sua vita (e nella
drammatica morte), nasce qui, in questo ricovero strumentale che però
gli imprime una specie di marchio indelebile, della cui
responsabilità Caccioppoli non cesserà di far carico ai suoi
familiari.
Ma torniamo alla notte
brava al Grottino. Anche Sara viene arrestata in quella occasione, e
Renato sente verso di lei come un debito, un dovere di risarcimento
che non è ragione ultima del loro matrimonio. Ma l'unione non durerà
a lungo. Sara lascerà Renato per Mario Alicata e si trasferirà con
quest'ultimo a Roma. Per lo studioso sarà un colpo difficile da
incassare.
Caccioppoli non amava il
lavoro di rifinitura; preferiva affrontare ogni volta nuovi problemi.
Arriva in questo modo ad aprire vie inesplorate, e se la matematica
italiana riesce a mantenere il passo e persino a precorrere la
matematica europea nonostante l'isolamento imposto dal fascismo, è
in gran parte per merito suo. Caccioppoli si occupa principalmente di
calcolo delle variazioni e di analisi funzionale, due tecniche come
sottolinea Dionigi Galletto, direttore dell'Istituto di fisica
matematica dell'università di Torino che sono alla base della
ricerca matematica moderna.
La matematica non è però
l'unico interesse di Renato, che si dedica anche alla letteratura,
alla filosofia e soprattutto alla musica. Come pianista è più di un
dilettante. Si racconta in proposito che una notte d'estate, durante
una villeggiatura a Sant'Agata, viene svegliato dal temporale e si
mette a suonare la Danse Macabre di Saint-Saens. Gli ospiti
della pensione si affacciano sulla porta delle loro camere, ma
nessuno osa fiatare, tale è la suggestione di quelle note, a cui
lampi e tuoni fanno da contrappunto.
La figura di Caccioppoli
oscilla, nel racconto di chi lo conobbe, tra la macchietta e l'eroe
shakespeariano. Le sue bizzarrie (qualcuno sostiene di averlo visto a
passeggio per via Caracciolo con un gallo al guinzaglio) inclinano
alla prima ipotesi; il suo coraggio civile e i suoi meriti
scientifici alla seconda. Chi fu dunque, in realtà, Renato
Caccioppoli? Forse la sua fine, insieme pietosa e insolente, può
darci la chiave per capire.
Il suicidio non avvenne
in un momento di sconforto ma fu un gesto a lungo meditato. Le
spiegazioni che ne sono state date variano alquanto. C'è chi
sostiene che Caccioppoli era alcolizzato, chi dice che soffrisse per
delusioni sentimentali e politiche, chi suggerisce che era affetto da
una forma acuta di depressione come il fisico Ettore Majorana,
scomparso senza lasciare traccia. In tutte queste ipotesi c'è un po'
di verità: Renato in effetti beveva; la moglie lo aveva lasciato; la
repressione sovietica in Ungheria aveva scosso la sua fede
nell'ideologia. Ma la meccanica del suicidio rimane forse l'elemento
più eloquente. Caccioppoli muore senza dire perché; ma in fondo
erano anni che lo andava dicendo. Quando ritiene di essere arrivato
al capolinea intellettualmente, scientificamente, sentimentalmente
decide di scendere. E quando sa che la fine è imminente, la racconta
agli amici con una metafora.
La scena si svolge ai
primi di maggio del '59, in una rumorosa pizzeria. Caccioppoli è con
un gruppo di compagni e commenta il caso di un giovane che si è
svenato per poi lasciarsi soccorrere. Quello è uno stupido, dice.
Per uccidersi davvero si fa così, e descrive una tecnica sicura,
sulla quale ha riflettuto: cuscino sotto la nuca, punto preciso dove
appoggiare la canna della pistola e così via. È esattamente la
tecnica con la quale, pochi giorni più tardi, si toglierà la vita,
nel suo appartamento di via Chiaia, nel cuore di Napoli.
“la Repubblica”, 10
aprile 1987
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