4.4.11

Antonio Faeti, Mario Lodi e i maestri d'Italia.

Antonio Faeti
Antonio Faeti, a lungo collaboratore de “il manifesto”, è studioso, docente, organizzatore di cultura e scrittore versatile: ha studiato fumettisti, illustratori e narratori per l’infanzia, ha diretto collane editoriali, ha insegnato grammatiche della fantasia, si è cimentato in racconti di vario genere (horror, libri per i ragazzi e per i bambini, ecc.) ed ha poco più di settant’anni: una vita e tante altre cose da fare davanti a sé. E nondimeno Faeti giammai dimentica di essere nato e cresciuto maestro elementare e per quella nobile e difficile professione continua a nutrire il rispetto che sovente manca nei governanti d’ogni colorazione. Lo si avverte in questa ricognizione su Tuttolibri de “La Stampa”, in cui rievoca alcune esperienze didattiche d’avanguardia e di frontiera, i maestri che le hanno realizzate, i libri che le hanno raccontate.
P.s. C’è chi, in ambienti clericali, sempre più spesso esalta don Milani contro la “scuola di stato”, considerata senz’anima. Le esperienze che Faeti rammenta si sono svolte nella scuola di stato. E non sarebbe male ricordare che tra le scuole dei preti non s’annovera solo quella del prete di Barbiana ma anche quelle rese tristemente famose dai casi di pedofilia. Dix et salvavi animam meam.  (S.L.L.)

Prima e dopo Mario Lodi
Mario Lodi e i suoi scolari

Con Mario Lodi maestro, a cura di Carla Ida Salviati, edito da Giunti, ritorna la possibilità di ascoltare le voci dei bambini del Vho, e raddoppiare anche un’inevitabile constatazione: nessuno come Mario Lodi ha saputo dar voce ai suoi scolari, loro sono qui, a stupirci con l’incantata alterità del loro discorso, collocati nel 1951, nel 1952, ma sottratti alla Storia, oppure da sistemare entro un’altra storia.
Fin dal 1928, Felice Socciarelli, con Scuola e vita a Mezzaselva, allora edito dall’Associazione per il Mezzogiorno, raccontò la sua vicenda di maestro in una scuola dell’Agro Romano, cominciata il 22 ottobre 1919. Ci sono molte fotografie, nel suo libro, e appaiono indispensabili, perché i «bambini mezzaselvesi», con i loro cappelli «da grandi» e i panni entro cui sono più o meno infagottati, non sono propriamente immaginabili.
Allievo di Giuseppe Lombardo Radice, attento alla sua colta innovazione pedagogica, Socciarelli non si meraviglia che la sua scuola sia una capanna, perché tutta Mezzaselva è fatta di capanne e riproduce invece lo scritto del suo scolaro Quintillio, saggio e preciso come quello di un antropologo: «So ito a vedere quelli che falciano la prata pare che non fadigano gnente e invece se straccano tanto». L’edizione del 1954, de La Scuola di Brescia, mostra Felice Socciarelli come era nel 1951 poco prima di morire: ha proprio l’aria di un etnologo, di un esploratore di terre lontane, affaticato ma non vinto. Due maestri che erano anche apprezzati pittori, Italo Cinti di Bologna e Federico Moroni di Sant’Arcangelo di Romagna, ci hanno lasciato, con Diario di un anno e con Ricordi e amnesie, due splendide testimonianze sulla quotidianità del maestro artista. Moroni, realista minuzioso, fa lavorare i suoi bambini con chine e pennini perché scoprano l’anima delle cose e diventino custodi di una civiltà che le macchine stanno annullando, Cinti, aeropittore futurista, conduce le sue classi alla scoperta di estasi coloristiche vicine ai fauves: entrambi sono cronisti minuziosi di quello «stupore infantile» descritto da Zolla.
Nel 1957, quando esce la prima edizione del Diario di una maestrina di Maria Giacobbe, l’editore Laterza lo fa precedere da una prefazione di Umberto Zanotti-Bianco che è necessaria e puntuale. Infatti la «maestrina» insegna in quelle zone della Sardegna dove in quegli anni ci sono i «banditi di Orgosolo» resi famosi dalla stampa e dal cinema, e l’insegnante sa di dovere lottare con i suoi alunni non in vista di un esito scolastico, sempre considerato con scrupolo e con rigore, ma pensando a un riscatto sociologico di cui pone le basi proprio con questa sua opera sapiente, poetica e battagliera.
Una sequenza dello sceneggiato televisivo tratto da Un anno a Pietralata
Sempre dalla Sardegna proviene Le bacchette di Lula di Albino Bernardini - noto poi per Un anno a Pietralata -, edito da La Nuova Italia nel 1969: il capitolo desto, La bacchetta, si offre sempre a una lettura dolorosa e struggente, perché è quello in cui i nuovi alunni conducono il nuovo maestro a vedere l’abbondante provvista di bacchette con cui li deve picchiare e restano sconcertati quando scoprono che lui non sa nulla di quella pratica torturatoria sulla quale il precedente insegnante fondava interamente la sua pedagogia e la sua didattica.
Un’impressione non positiva, fra noi insegnanti di allora, aveva prodotto Il maestro di Vigevano, edito da Einaudi nel 1962: ai maestri del mio Circolo Didattico sembrava che Lucio Mastronardi cercasse lo scandalo quasi con i toni delle riviste scandalistiche di allora e, certo, pur parlando di scuola, pur mostrando buona conoscenza di corridoi, coefficienti di anzianità, gerarchie, scatti di stipendio, il maestro che racconta sa poi solo odiare, isolarsi, deprimere e deprimersi.
Ci fu anche una curiosa coincidenza editoriale, perché Garzanti pubblicò proprio allora Il demone meschino di Fëdor Sologub, scritto nel 1907, un autentico capolavoro, scritto da un maestro russo laureato in pedagogia, dove la scuola zarista è piena dello stesso infernale «catrame dell’anima» così abbondante nelle aule di Vigevano.
Non mi è mai apparsa tollerabile la studiata sottovalutazione pedagogica di cui è stato reso vittima Ricordi di scuola di Mosca, edito da Rizzoli nel 1939. Giornalista, umorista, direttore di giornali, disegnatore saporoso e riconoscibilissimo, Mosca ha forse sofferto di una lettura prevenuta e fuorviante, perché il maestro l’aveva fatto davvero e il capitolo intitolato La conquista della V C, mi ha sempre ricondotto alle conquiste delle mie numerose quinte, in una sorta di complicità tra maestri che mi induce a ritornare spesso ai Ricordi di quello sconcertante collega, così abile nel far ridere, così preciso nel rendere i tipi e le situazioni.
Non è ricordato, riproposto, riletto come dovrebbe essere, I racconti della Rustica di Sabrina Manes che Guaraldi stampò nel 1973. La Rustica è una borgata romana e l’autrice, dando la parola ai suoi scolari, fa davvero comprendere tutto, transitando dalla tenerezza allo squallore, dalla rabbia più incontenibile a brandelli di autentica poesia.
Di Anna Fantini sono stato collega e amico sia nell’insegnamento elementare che in quello universitario, così quando leggo e rileggo Dare di sé il meglio, edito dai Quaderni del Consiglio Regionale delle Marche nel 2001, ritrovo l’estro, la simpatia, l’eleganza di questa maestra incredibilmente dotata che guardava alla scuola con occhio poetico, spingendo tutti davvero a dare di sé il meglio.
Nell’anno pieno di ricorrenze, di convegni, di bandiere, di mostre e di rassegne, forse un posticino riservato, nel contesto di qualche celebrazione, ai maestri che hanno dato voce ai loro scolari, sarebbe utile e opportuno.
Nei libri che ho citato, infatti, non c’è solo l’Italia bambina pur meritevole di partecipare alla storia del nostro Paese. C’è la vicenda dello sguardo, c’è la trama secolare di infiniti tentativi: non è calato il silenzio su queste voci, su queste intelligenze, su queste alterità. Hanno avuto i loro ottimi cronisti, questi bambini: dopo sono venute gradevoli parodie o tentativi ideologici di rapportarsi alla scuola che non si collegano alla tradizione fin qui ripercorsa. Restiamo in attesa di un giovanissimo Socciarelli, che probabilmente già si intravede nel nostro futuro.
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Da Tuttolibri, in edicola sabato 26 marzo 2011

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