Piergiorgio Welby Apollo, dio della medicina, provocava le malattie. Si trattava in origine di un unico mestiere. Ed è ancora oggi così. (Jonathan Swift, Pensieri su vari argomenti) Ivan Illich, il celebre filosofo e pedagogista libertario viennese del secolo scorso, è noto soprattutto per la teoria della “convivialità” come possibile principio di una diversa e migliore socialità e civiltà e per la scandalosa proposta della “descolarizzazione” che in Italia trovò il sostegno di Pier Paolo Pasolini. Meno presente mi pare il ricordo di Nemesi medica, un suo libro del 1976 che si apriva con parole chiare e dure: “La corporazione medica è diventata una grande minaccia per la salute”. La tesi di Illich, ridotta all’osso, era che la medicina, più che un sapere, è diventato un potere e che, in quanto tale, tende ad ampliare il proprio dominio: perciò parlava pertanto di una medicina patogena e “iatrogena”, che per espandersi produce malattia ed altra medicina. In verità il libro esplicitava uno dei meccanismi più caratteristici del capitalismo industriale, l’induzione di bisogni per l’ampliamento del mercato, e sembrava sottovalutare il fatto che nella medicina moderna non agisce solo la corporazione medica, ma un complesso di soggetti economici e sociali variamente collegati alla malattia e al suo trattamento che va dalle multinazionali del farmaco alle grandi compagnie assicurative, dai costruttori di ospedali ai farmacisti e a molti altri. La medicina è potere, un potere mercificato e mercificante, che tende a sottrarre alla gratuità e rendere redditizie e profittevoli tutte le attività di cura, anche quelle che un tempo rientravano nella sfera dell’affettività. In questa logica la medicina ha scelto come finalità non la “salute”, intesa come benessere fisico e psichico, ma la “vita”, per far durare, insieme alla persona, anche la malattia e la sua cura e così massimizzare i profitti. Gli esseri umani, il capitalismo sanitario li vuole vivi, ma malati, vivi il più a lungo possibile, quanto più possibile malati. Gli effetti di questa opzione sono tanti: per esempio le forme artificiali di mantenimento in una condizione che non è tanto vita quanto un simulacro di essa, per il venir meno di tante, talora di quasi tutte, le funzioni ordinarie. Grazie a questi processi è cambiata l’idea stessa di “vita umana”: in altri tempi, per esempio, si sarebbe esitato a chiamare con questo nome la forzosa sopravvivenza delle funzioni cardiache in Eluana Englaro o la protratta permanenza di tante persone in coma profondo, in attesa di un risveglio altamente improbabile. Poco importa peraltro alla medicina capitalistica della persona incatenata a questa specie di vita e della sofferenza che cresce intorno a lei: non si può perdere la “gallina dalle uova d’oro”. In ogni caso oggi, a difesa di una vita siffatta, si pongono non solo macchine e tecniche sempre più sofisticate e costose, ma un impegno ideologico a tutto campo. E si impone la “vita” anche a chi, in piena coscienza, vorrebbe rinunziarvi, considerando priva di autonomia e dignità la sopravvivenza organizzata dalla medicina iatrogena. Accade così che il capitalismo, cresciuto nella rivendicazione dei diritti dell’individuo, in questo come in altri campi li sacrifichi al profitto e tenda a negare la libera scelta in nome della “sacralità” della vita, quand’anche ridotta a mera vegetazione. Non stupisce pertanto che in forme diverse e con le motivazioni più varie (partendo dal giuramento di Ippocrate) siano in troppi nella corporazione medica e nel capitalismo sanitario a osteggiare l’autodeterminazione e non è un caso che nell’attuale dibattito sul testamento biologico si rivendichi una sorta di primato della scienza medica sulla volontà del soggetto. E’ invece sorprendente che posizioni “biologistiche”, di “materialismo volgare” - si sarebbe detto un tempo – siano oggi caratteristiche della Chiesa cattolica, la quale dopo aver per secoli proclamato la trascendenza dell’anima, tende oggi a identificare la vita umana con forme elementari (è il caso dell’embrione) o residuali di attività organiche e le difende come se si trattasse di persone, abbandonando le posizioni moderate di papi come Pio XII e Paolo VI ( cfr. http://salvatoreloleggio.blogspot.com/2011/03/il-testamento-biologico-papale-papale.html ). Questa tendenza è particolarmente presente nella Chiesa italiana, che già ai tempi di Ruini aveva costituito un Comitato “Scienza e Vita” particolarmente battagliero, il cui compito precipuo era di impegnare nella “difesa della vita” uomini di scienza e di medicina. Si è molto ragionato sulle motivazioni di codesto recente accanimento terapeutico del cattolicesimo italiano, ma non si è forse osservata abbastanza la massiccia presenza diretta e indiretta (dalla Compagnia delle Opere all’Opera don Guanella) nel capitalismo sanitario, che assicura a suore, preti e pretini potere e profitto. |
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3.4.11
Vivi e malati. Il capitalismo sanitario e il Vaticano.
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