10.2.13

La buona borghesia (Luigi Pintor - 1989)

Un testo di Luigi Pintor da rileggere – credo – rigo per rigo. 
Si tratta di un articolo in qualche modo storico, se non altro per il contesto in cui venne scritto e pubblicato sul “manifesto”: nel giugno 1989, dopo i fatti di Tien An Men, e nel pieno di una campagna mondiale che tendeva, con crescente successo, a liquidare le costruzioni statuali e i partiti comunisti nati o ispirati dalla Rivoluzione d’Ottobre. 
La tecnica letteraria qui usata, dello “straniamento”, del “mondo alla rovescia”, diventa strumento di conoscenza e prepara un finale che, a decenni di distanza, continua a dare alimento, forza e luce alla nostra caparbietà e refrattarietà, alla nostra resistenza. (S.L.L.)

Il sogno comunista essendo infranto, ne ho fatto un altro alla rovescia (siamo tutti sognatori). Risvegliandomi dal quale tutto mi appare finalmente chiaro e luminoso. Come se avessi lungamente vissuto nelle tenebre, ed anzi vi fossi nato e cresciuto in cecità, ed ora giunto all'età estrema della saggezza ogni cosa mi si svelasse nella sua più intima verità.
Ho sognato la buona borghesia. La buona borghesia di questo secolo, e anche di quello passato e di quello futuro, quasi oltre i confini del tempo. L'ho vista in un turbine prendermi per mano come in uno specchio, e guidarmi come una madre ritrovata alla riscoperta della mia povera esperienza, memoria e cultura.
L'ho vista per prima cosa agli inizi del secolo, quando non ero nato, seppellire con pietà e sentimento nei campi di battaglia della prima guerra mondiale le plebi di ogni contrada, per cui aveva affezione. L'ho vista spogliarsi con spontanea generosità, nella Russia sterminata, degli agi delle ville e delle corti, arare campi con le mani nude, sfamare soldati e contadini e riscattare operai, risvegliare anima morte. E l'ho vista instancabile nella Germania colta, nell'Austria imperiale e musicale, nella Spagna cattolicissima, nell'Italia erede di rinascimenti e risorgimenti, l'ho vista instaurare in quegli anni in tutti questi luoghi un ordine fiorente di istituzioni liberali e autogoverno di popolo. L'ho vista portare altresì nelle miniere polacche e inglesi, nelle fabbriche torinesi, negli agrumeti siciliani e nei latifondi calabresi un clima festoso, un lavoro liberante, il senso dell'esistenza e di un fraterno destino.
La buona borghesia l'ho vista però, nel turbine senza tempo del sogno, irradiare una luce ancor più universale. Senza servi d'altra pelle, né colonie né plaghe né periferie, l'ho vista unificare etnie in India, imbrigliare fiumi e moltiplicare risaie nella Cina sterminata, esportare buoni costumi e pietà e galeoni d'oro nelle regioni tropicali del mondo dove una nuova umanità va ora in ogni stagione a ristorarsi. E più su, nell'America puritana, l'ho vista dapprima nascere rinviando senza catene la gente negra nelle terre africane, poi abbracciarsi dal sud al nord in civile pace, poi ancora erigere grattacieli senza povertà né violenza, e aprire sempre nuove frontiere nel corso del tempo fin giù a Saigon, e infine innalzare sulle scalinate di Washington, accanto a Abramo Lincoln, una grande statua alla gente amica e sorella di pelle rossa.
Ma l'ho sognata sopratutto, la buona borghesia, così come l'ho conosciuta quando ero nato ma cieco e incapace di riconoscerla nella sua grandezza. L'ho vista in metà del mondo, nell'Europa centrale e in quella latina e nelle isole del lontano Giappone, dall'occidente all'oriente, ritrarsi dal fragore di una seconda guerra mondiale, e fugarlo per il bene dei popoli. Così che questa guerra non c'è mai stata, nessuno  l'ha combattuta, nessuno c'è morto di antiche o nuovissime armi, nessuno l'ha vinta né persa, ed ora al risveglio nitidamente lo vedo. Vedo e so che alla buona borghesia dobbiamo che nessun ebreo sia mai stato  sacrificato, nessun operaio incarcerato, nessun contadino sradicato. E so che alla sua saggezza, alla sua forza, al suo onore, dobbiamo che nessun popolano o borghese, nessun intellettuale, nessun coetaneo che io conosca, abbia mai dovuto  in ginocchio invocare d'esser fatto salvo e libero da armate calate con insegne barbariche di falci e martelli dalle rive del Volga a quelle dell'Elba, come in una favola folle.
Così rigenerato dal sogno e risvegliato alla verità, posso ora affidarmi con mente sgombra e cuore saldo alle magnifiche sorti e progressive di questa buona borghesia. Come condotto per mano in verdi pascoli vedo un futuro di mercanti cinesi che riempiono di fiori, crisantemi e papaveri, la piazza Tian An Men, vedo la civiltà di Israele allevare la gioventù di Palestina, non dubito che l'Uzbekistan eguaglierà presto il Pakistan. Vedo passato e futuro in armonica congiunzione, e lo Stato liberale dilatarsi come nuovo lievito in Brasile, ad Harlem, ad Haiti, alla Manciuria, a Pretoria, alla Fiat. Vedo il Mezzogiorno italiano rinverdito, le metropoli opulente o miserabili intrise di una comune felicità collettiva e individuale, le scienze purificare, come già fanno, il cielo del pianeta e arricchire il cuore dell'uomo. In questo sterminato mercato ordinato e coltivato dalla buona borghesia vedo sopratutto un'alta moralità guidarci, e ispirarci quel rispetto di sé e degli altri che segna finalmente l'uscita di miliardi di viventi da una millenaria preistoria.
Come mi sarà mai potuto accadere da ragazzo, se né a me né a nessuno è mai accaduto niente e niente di male, di aver dimenticato e negletto le virtù di questa buona borghesia? Queste virtù hanno impronta divina, esse procedono per forza propria senza bisogno, nonché di nessun becchino od erede, neppure di nessun ostetrico. Esse procedono e fecondano da sole, coincidono con l'esistente e l'assoluto e lo esauriscono magicamente in se stesse. E infatti, risvegliato, non vedo altro intorno a me che questa superba spontaneità nel deserto.
Qualcosa allora mi avrà traviato, come un'infezione, che ancora affiora dal mio subconscio pur reso sgombro dal sogno. Forse un germe di questa infezione fu la gratitudine attonita che mi parve leggere sul volto di molti uomini d'impegno, intellettuali oggi attempati e illuminati e ravveduti, quando un giorno parve loro di vedere in un film inventato le bandiere uncinate degli eserciti del terzo Reich trascinate a migliaia nel fango di una piazza remota irta di pinnacoli dinanzi al freddo mausoleo di una rivoluzione e alla sagoma oscura di un georgiano.
Ma più ancora deve avermi traviato, in un giorno un luogo e una circostanza segreti, uno che divideva il cibo in piccole parti scrupolosamente eguali e le distribuiva una per una ai suoi compagni con lui prigionieri, che gli avevano affidato un così elementare compito. Non apparteneva alla buona borghesia, era d'origine molto più bassa e d'animo molto superiore, e perciò lo avevano scelto tra tutti. Per me confuso, dev'essere stato questo un momento (un virus) così evidente e forte che neanche il sogno alla rovescia è in verità riuscito a offuscarmelo del tutto. Né, temo, ci riuscirà.

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