Nel 1994 l’agosto di “Tuttolibri”, il settimanale letterario de “la Stampa”, ebbe come filo conduttore Robert Louis Stevenson: a lui furono dedicate tutte e cinque le prime pagine di quel mese assai caldo. Curò tutti i servizi su Stevenson (articoli, interviste, testi inediti) Gabriella Bosco. Il primo, quello qui “postato” fu un’intervista a Michel Le Bris, che in California aveva scoperto una miniera di inediti stevensoniani ed era divenuto biografo tra i maggiori dello scrittore britannico, del quale aveva restituito un’immagine più ricca e complessa. (S.L.L.)
PLOUEZOCH (Finistere)
Sono stati i cercatori d'oro della California a portarci in viaggio con Robert Louis Stevenson nell'estate dei cento anni dalla sua scomparsa. Volendo ripercorrere i passi di quei pionieri che a metà del secolo scorso lasciarono casa e famiglia pur di trovare fortuna e pepite nel Nuovo Mondo di tutti i tesori, uno scrittore francese nostalgico di storie e di avventure - Michel Le Bris - si è infatti imbattuto per puro caso in una Stevenson's House, a Monterey. Una miniera di inediti si è aperta ai suoi occhi increduli. E ancora più preziosa, da quegli scritti sconosciuti una nuova sorprendente identità di Stevenson gli si è rivelata: anche lui era stato cercatore d'oro. Ma è una storia lunga, e conviene raccontarla dall'inizio. Da quando cioè Robert Louis Stevenson era piccolo, e faceva con i suoi amici il gioco della lanterna.
A fine settembre, ormai minaccioso il ritorno a scuola e veloci i crepuscoli, ognuno di loro usciva di casa con una lanterna cieca legata alla cintura, accesa, e poi ben nascosta sotto il mantello accuratamente abbottonato. In modo che neanche un barbaglio di luce trasparisse all'esterno. Si sentivano cospiratori, la loro gioia consisteva "nell'essere semplici pilastri di tenebre nell'oscurità e però sapere a ogni istante di avere una lanterna cieca alla cintura, ed esultare e cantare di saperlo". Avevano un tesoro nascosto. Da grande Robert Louis Stevenson si ricordò di quel gioco, "paradiso di un piacere segreto la cui base era una lanterna magica" . Scrisse un testo intitolato Il portatore di lanterne in cui, da adulto, spiegava il senso di quell'immensa gioia provata un tempo. Era ormai passato attraverso l'esperienza della California. Vi si era recato un bel giorno alla vigilia dei trent'anni, alla ricerca del suo oro, cioè di quel senso intuito da bambino e poi temporaneamente perso nelle difficoltà dell'esistenza quotidiana.
I tanti biografi di Stevenson, abituandosi a una facile immagine dello scrittore, incessantemente tramandata, adatta ai ragazzi, senza spigoli né ombre, hanno in genere per pigrizia trascurato il periodo in California. Appena evocato, non era ancora mai diventato oggetto di ricerche. Triste mancanza di curiosità.
Michel Le Bris, lettore di Stevenson dagli anni in cui, come piacevole passaggio d'obbligo, si dà ai bambini L'isola del tesoro, quando s'imbatté per puro caso nella Stevenson's House di Monterey, ancora non immaginava che quella miniera lì di fronte ai suoi occhi avrebbe rappresentato il riempimento di un buco nero immenso, l'anello che in tutte le biografie mancava per la scoperta dello scrittore. Succedeva, questo, una dozzina di anni fa. Da allora Michel Le Bris non ha più lasciato Stevenson. Ai cercatori d'oro della California tornerà forse, ma solo dopo aver vissuto intera l'avventura in corso.
Ha pubblicato quest'anno un primo volume di lettere inedite (Les lettres du vagabond, NiL) e il primo tomo di una biografia finalmente completa (Les années bohemiennes, NiL). Ora, per scriverne la continuazione, si è isolato in un eremo nel Finistere, in una vecchia casa di pescatori con un lungo prato davanti che arriva fino al mare, un lontanissimo orizzonte. Questo secondo volume inizia proprio con il viaggio di Stevenson in California. L'anello mancante.
Che cosa avete scoperto laggiù in California, lei ora, Stevenson allora?
"Stevenson, da quel viaggio tornò trasformato. Non solo sposato con una donna molto più vecchia di lui, divorziata con figli, ma finalmente sbloccato. Finalmente capace di scrivere. ‘L'esterno guarisce’, disse. Era partito a 29 anni rompendo con la famiglia e convinto di non poter scrivere un romanzo. Quando tornò scrisse L'isola del tesoro e poi un capolavoro ogni anno e cinque saggi straordinari sull'arte della fiction, inediti di cui ho trovato i manoscritti.
Alla Stevenson's House di Monterey mi sono reso conto che quel black out generale dei biografi su un momento che era stato così fondamentale nell'evoluzione dell'uomo e dello scrittore doveva avere un'origine. Ho così scoperto, per prima cosa, che al ritorno Stevenson aveva scritto un racconto sulla sua esperienza in California. Racconto che rimase inedito, segreto, perché il padre comprò tutte le bozze, per impedire la pubblicazione. Non solo, trovando laggiù una quantità enorme di lettere manoscritte, ho potuto con sorpresa constatare quale incredibile manipolazione avesse operato Sidney Colvin, uno che si faceva passare per amico di Stevenson e che vegliò (ma come?) alla prima pubblicazione della sua corrispondenza. Un vero massacro. Aveva eliminato tutto quello che riguardava politica, sessualità, genitori e denaro".
Ma che interesse aveva l' "amico" Colvin a operare quella censura?
"Perché l'affare Stevenson rendesse, doveva rispondere a una certa immagine che aveva fatto - per malinteso - la sua fortuna iniziale: quella dell'eterno fanciullo perennemente in vacanza, gentile con tutti. A proteggere questa immagine provvidero il padre, Colvin e anche gli editori di Stevenson. Ho ritrovato la corrispondenza mai pubblicata con editori: l'autore più letto al mondo con Kipling, era tutt'altro che libero di scrivere quello che voleva. Era al contrario pesantemente condizionato. Un altro esempio: i suoi ultimi testi non sono mai stati pubblicati come lui li ha scritti, ma come li ha riscritti Colvin. E' un luogo comune diffusissimo disquisire sull'assenza di donne dell'universo di Stevenson. Tolte da Colvin. Negli ultimi scritti, Stevenson si orientava verso libri come Cuore di tenebra di Conrad. Ho le prove".
Questo è quello che ha scoperto lei. Ma Stevenson che cosa scoprì in California per cambiare in quel modo?
"Io sostengo che fece l'esperienza del cercatore d'oro. Dell'emigrante, che arriva in un continente nuovo per cercare qualcosa, ma non ha né carte né bussola. Deve inventarsi il modo, e allora per prima cosa deve spogliarsi dell'identità datagli dagli altri. Strato dopo strato, come una cipolla, per arrivare al nucleo di sé. E' un'esperienza da cui si esce folli, o si scopre qualcosa, Stevenson aveva avuto l'intuizione già sei anni prima, quando ne aveva 24, in maniera molto dolorosa, che accanto alla logica razionale ce n'è un'altra, quella dell'immaginario. All'epoca le chiamava "tenebre interiori", gli sembrava una logica infernale. Aveva scritto dei racconti neri di cui parlava come dei suoi "crimini contro l'umanità". Temeva di essere posseduto dal diavolo, come gli diceva suo padre.
Al punto che li distrusse tutti e per sei anni rimase senza scrivere.
"Quello che stava maturando era un atto di rottura contro il milieu puritano. Leggendo le lettere nella versione non manipolata, ci si rende conto che si trattò sin dall'inizio di una lotta di estrema violenza. Era il primo scrittore inglese che si strappava, si separava dall'era vittoriana. Un'era di certezze, di verità, che ha prodotto anche dei capolavori, ma in cui Stevenson non si riconosceva. Inizialmente, la cosa si manifestò a livello personale con la conflittualità familiare, e alcuni scritti contro il matrimonio e sul diritto alla pigrizia. Come artista, lo stesso: applicò la strategia dell'uscita. Si allontanò. Solo fuori poté scendere dentro se stesso. Al cuore di sé trovò una forza che era distruttrice e creatrice insieme, la forza che batte nel cuore del mondo. Capì che quella sua esperienza era stata quella collettiva di un paese, l'America. E che quelle tenebre interiori non le si poteva esplicitare, perché sarebbero sparite. Né respingerle. Solo farle venire alla luce, e in questo dominarle. Nacque così la sua teoria dell'immaginazione, concepita come messa in forma della forza distruttrice. Quando capì questo si sentì liberato, poté scrivere. Aveva trovato la via per uscire da un'epoca limitante, quella di cui era stato massimo e ultimo rappresentante Kipling.
A quel punto, le storie da raccontare le aveva pronte. Doveva però ancora inventare nuove tecniche narrative, adeguate a dire l'incrinatura dell'animo umano. Le inventò, e sono diventate i procedimenti più usati dell'epoca moderna: la suspense, il paesaggio soggettivo (l'esterno che dice l'interno del personaggio), la nozione del doppio punto di vista... E Stevenson è il primo scrittore che ha fatto dell'inconscio il soggetto e il motore dell'azione (Dr. Jekyll). Ed è l'inventore del travelling writing, testi in cui non sono gli exploit a essere spettacolari, ma è il libro in sé la meraviglia. Ecco tutto quello che scoprì in California".
Nelle isole Samoa, sulla montagna di fronte al Pacifico dove Stevenson è sepolto, gli indigeni incisero sulla sua pietra tombale una parola sola: TUSITALA. Raccontatore di storie.
“Tuttolibri – La Stampa”, 6 agosto 1994
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