2.3.14

L'enigma del fulmine. Storia e misteri della Madonna di Foligno (Marco Carminati)

Di ritorno da Milano, ov’era stata in mostra a Palazzo Marino dal 28 novembre 2013 allo scorso 12 gennaio, la Madonna di Foligno, prima di rientrare ai Musei Vaticani s’è fermata a Foligno, in esposizione al Convento di Sant’Anna dal 18 al 26 gennaio. Successo clamoroso: in poco più di una settimana cinquantamila presenze. Pare che nessun Folignate in grado di compierla si sia sottratto all’obbligo di una visita. Qualcuno ha commentato: moda, imitazione, presenzialismo, campanilismo. E’ probabile che ci sia un po’ di tutto questo alla base delle lunghe code davanti al Convento, ma è comunque da sperare che ne siano scaturiti curiosità e interessi e che alla fine la cosa giovi al vivere civile della città. Qui ho ripreso un bell’articolo sulla storia e  i misteri del dipinto che ha risposto a molte mie  domande. (S.L.L.)   

Persino Giorgio Vasari, che di quadri ne aveva visti molti, entrando a metà Cinquecento nella chiesa di Santa Maria dell'Aracoeli a Roma era rimasto quasi senza fiato. Sopra l'altar maggiore aveva ammirato un quadro di Raffaello «singulare e bellissimo», con una «Nostra Donna in aria con il Cristo putto che scherza con il manto della Madre» e i Santi Giovanni, Francesco e Gerolamo, quest'ultimo in atto di raccomandare alla Vergine un «cameriere di papa Giulio».
Si tratta dello stesso dipinto che i milanesi possono ammirare fino al 12 gennaio 2014 nella Sala dell'Alessi di Palazzo Marino a Milano, ma non nella posizione lontana e inaccessibile in cui lo vide Vasari sull'altare dell'Aracoeli, bensì a misura d'uomo, praticamente a terra, e così a portata di mano che ci si potrebbe accomodare dentro. Tra l'altro sotto una luce magnifica.
Il quadro in questione è uno dei capolavori assoluti di Raffaello, è una grande pala d'altare originariamente dipinta su tavola e oggi su tela, alta tre metri e larga quasi due, che venne realizzata a Roma nel momento di maggior fervore creativo del maestro urbinate, tra il 1511 e il 1512. Raffaello sta decorando le Stanze Vaticane e contemporaneamente dipinge affreschi, ritratti e pale d'altare di sublime equilibrio classico. In più ha scoperto il colore rutilante dei pittori veneti e gli accenti chiaroscurali dei pittori ferraresi: a questa fase magica appartiene il capolavoro che abbiamo dinnanzi, universalmente noto con il nome «singulare» di Madonna di Foligno.
La lettura del dipinto, i suoi enigmi e le vicende storiche che lo hanno visto protagonista costituiscono la trama di un'avventura avvincente, e credo sia utile rievocarla qui, per sommi capi, al fine di possedere una piccola chiave di comprensione dell'opera ora a portata di mano.
Cominciamo con la semplice lettura. Che cosa vediamo? Partendo dall'alto vediamo una Madonna con Gesù Bambino in braccio, inserita in un disco solare sullo sfondo e seduta su un ammasso di nuvole che si trasformano verso l'alto in una corona di figure angeliche. La Vergine appare a cinque personaggi raffigurati in basso. A sinistra c'è San Giovanni Battista vestito di pelli che guarda verso di noi e ci indica la visione celeste. Davanti a lui, inginocchiato, c'è San Francesco d'Assisi che contempla in estasi l'apparizione mariana, e dalla parte opposta c'è San Gerolamo vestito di blu, con il leone ai suoi piedi, che presenta a Maria e al Figlio un nobile vegliardo in ginocchio, ritratto con grande incisività, abbigliato di velluto nero con cappa rossa dai risvolti di pelliccia bianchi. Al centro del quadro è rappresentato un angelo che, alzando gli occhi alla divina apparizione, regge tra le mani una targa priva di iscrizione (tecnicamente una «tabula ansata»). Dietro di lui si apre un bellissimo paesaggio, con campi e montagne, al centro del quale si scorge un abitato attraversato da un fiume, con torri, ponti e case. sopra una casa si nota un ammasso di luce arancione che sta per precipitare dal cielo e colpire un edificio. Contemporaneamente un arco di luce gialla sovrasta la cittadina sotto un cielo nuvoloso.
Questo è ciò che vediamo. Ora dobbiamo cercar di decifrare il significato di queste immagini. E cominciamo dall'alto. La chiave per comprendere l'apparizione si trova nella Legenda Aurea di Jacopo da Varazze. Questo libro narra che la Sibilla Tiburtina venne convocata da Augusto lo stesso giorno della nascita di Gesù, attorno a mezzogiorno. L'imperatore voleva sapere dalla profetessa se fosse legittima l'idea formulata dal Senato di venerare il sovrano come un dio. Ma la Sibilla ebbe all'istante una grandiosa visione: sopra il Campidoglio di Roma vide apparire nel cielo un sole d'oro dentro il quale stava seduta una donna con un bambino in grembo. Mostrando la visione ad Augusto, la Sibilla ammonì l'imperatore: «Questo bambino è più grande di te, perciò adoralo». E una voce dal cielo proclamò: «Hoc est ara coeli! (Questo è l'altare del cielo!)». A seguito di ciò, Augusto rinunciò a farsi adorare come dio ed eresse un "altare del cielo" sul Campidoglio a ricordo della visione, nel punto in cui sarebbe sorta la chiesa mariana detta appunto «dell'Aracoeli».
Il quadro rievoca dunque l'episodio dell'apparizione della Vergine alla Sibilla Tiburtina e ad Augusto ed era destinato all'altar maggiore della chiesa dell'Aracoeli di Roma dove Vasari, come abbiamo accennato, ebbe modo di ammirarlo personalmente.
Nel dipinto Raffaello immagina che anche i Santi Giovanni Battista, Francesco e Gerolamo assistano alla visione di Augusto e la indichino ai fedeli. Il Battista è qui in veste di precursore di Cristo (ecco il significato del suo gesto indicante), San Francesco è l’«alter Christus» dotato di stigmate che mostra con la destra, ma è anche il titolare dell'Ordine Francescano che gestiva la chiesa dell'Aracoeli. E poi c'è San Gerolamo, considerato il primo segretario apostolico della storia, qui ritratto in qualità di protettore del committente del quadro, che era - come dice Vasari - il «cameriere» di papa Giulio II della Rovere, ovvero il suo «maestro di camera» e segretario particolare.
Questo personaggio è ovviamente decisivo per la comprensione dell'opera. Vediamo di conoscerlo. Il suo nome era Sigismondo de' Conti, era un raffinato umanista nato a Foligno nel 1432 e morto a Roma il 24 febbraio 1512 che aveva lavorato con Sisto IV, Innocenzo VIII, Alessandro VI e Giulio II come storico di corte (scrisse una Historia sui temporis libri XIX) e come segretario pontificio con mansioni varie, che andavano dalla stesura delle lettere papali all'espletamento di missioni diplomatiche. Il fatto che nel quadro egli indossi il robone rosso non deve trarre in inganno: essendo coniugato con prole, Sigismondo de' Conti non poté mai assurgere alla carica di cardinale.
Il maestro di camera di Giulio II si spense nel febbraio del 1512 e venne sepolto nel coro della chiesa di Santa Maria dell'Aracoeli. Prima di morire aveva commissionato a Raffaello questa pala per l'altar maggiore posto a pochi passi dalla sua tomba. È interessante ricordare che il coro dell'Aracoeli era allora ammantato di affreschi di Pietro Cavallini (poi distrutti) che illustravano proprio le «Storie della visione di Augusto e della Sibilla Tiburtina».
Fece in tempo Sigismondo de' Conti a vedere l'opera finita? Non lo sappiamo. Secondo alcuni studiosi Raffaello portò a termine il quadro dopo la morte del committente e il profilo scheletrico di Sigismondo deriverebbe dalla sua maschera funebre.
Tuttavia non è questo l’enigma più rilevante del quadro. I veri misteri si concentrano nella figura dell’angelo centrale che regge la targa senza scritta, e nel paesaggio di fondo, con la singolarissima scena di una "bomba" arancione che sta per colpire una casa.
Che cosa significano questi dettagli? Nessuno lo sa con certezza, ma naturalmente sono state avanzate molte ipotesi. Le sintetizziamo in due filoni.
Il primo filone vedrebbe in quell'oggetto volante e infuocato una cometa che sfreccia sopra Betlemme in occasione della nascita di Cristo, legando così il paesaggio alla scena della visione di Augusto soprastante. Il putto angelico con la targa muta in primo piano alluderebbe in questo caso alla destinazione funebre del pala, richiamando il dettaglio dei sarcofagi paleocristiani dotati di «tabula ansata» priva di iscrizione, un elemento iconografico che rimandava simbolicamente all'anima umana e alla vita dopo la morte.
Un secondo filone ritiene che la pala rappresenti un colossale ex voto alla Vergine dell'Aracoeli per uno scampato pericolo da parte di Sigismondo de' Conti. Un meteorite caduto dal cielo avrebbe lasciato miracolosamente illesa la sua casa. Oppure un fulmine, scatenatosi nel bel mezzo di una tempesta tra nuvole minacciose e la presenza dell'arcobaleno, avrebbe risparmiato la vita del segretario. In entrambi i casi, il putto angelico avrebbe retto la targa con le parole dell'ex voto, che però il de' Conti non sarebbe riuscito a dettare per tempo essendo sopraggiunta la morte. Stiamo navigando nel mare incerto delle ipotesi.
Più solide certezze ce le fornisce invece la storia successiva del quadro. Eccola. A seguito dell'abbattimento dell'antica abside medievale dell'Aracoeli voluta da papa Pio IV nel 1564, i parenti di Sigismondo de' Conti ritirarono l'opera di Raffaello e la portarono a Foligno presso il convento delle Contesse, di cui era badessa Anna de' Conti, nipote di Sigismondo. La pala prese da allora il nome di «Madonna di Foligno». Per due secoli le suore folignati subirono pesanti pressioni per vendere l'opera (ad esempio da Augusto II di Sassonia), ma resistettero con dignità. Non poterono tuttavia fermare le truppe di Napoleone che in virtù del trattato di Tolentino (1797) prelevarono il dipinto e lo spedirono a Parigi. In Francia avvenne il trasporto della pellicola pittorica dalla tavola alla tela, e quando la stella di Napoleone tramontò Antonio Canova riportò l'opera a Roma.
A questo punto le suore di Foligno preferirono vendere il "loro" Raffaello al papa, e dal 1816 la Madonna di Foligno entrò a far parte della Pinacoteca Vaticana. Qui fu sottoposta ad amorevoli cure e restauri ma visse anche un momento di gravissimo pericolo: il 27 gennaio 1989 un visitatore in sedia a rotelle di nome Thomas Lange si avvicinò al quadro, gettò su di esso del liquido infiammabile e tentò di incendiarlo. La reazione immediata di un custode vaticano, che con un cappotto estinse le fiamme, salvò il Raffaello. A Milano - nonostante sia davvero a portata di mano - il quadro è al sicuro. Si trova collocato dentro un'invisibile e solidissima vetrina Goppion, in grado di resistere - garantiscono - a colpi di fulmine e a eventuali piogge di meteoriti.

"Il Sole 24 ore", domenica 8 dicembre 2013

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