«Sono un pescatore di asterischi», cantava qualche anno fa Samuele Bersani, alla ricerca «del senso gravitazionale che non c’è». Solo che a pescare asterischi in Rete oggi si rischia di prendere parecchi granchi. E di trovarsi alle prese con sensi doppi o proibiti. «C***o!». La parolaccia c’è, ma non si dovrebbe vedere. In inglese la chiamano «bowdlerizzazione» dal nome di Thomas Bowdler: un medico che ai primi dell’Ottocento pubblicò una versione «espurgata» di Shakespeare. Da noi qualcosa del genere era successo già a fine Cinquecento con le «rassettature» che intendevano rendere meno boccaccesco il Decameron di Boccaccio.
Nel frattempo, per
camuffare le parolacce, il fumetto ha inventato i cosiddetti
obscenicon. Dapprima stelline, teschi, spirali, fulmini e
altri disegnini alternati a grandi punti esclamativi. Poi sequenze
casuali di caratteri presi soprattutto dalla fila più alta della
tastiera (!”$%&) o attinti tra i più iconici (@#*). Oggi le
sequenze di asterischi-che-nascondono (ma nascondono poi davvero?)
sono tornate a dilagare, un po’ ipocritamente, nella scrittura
social. Un tempo si chiamavano asterismi, come le
costellazioni. Perché gli asterischi sono figli delle stelle: nella
forma e nel nome, che deriva dal diminutivo greco di astér
«astro». E ora eccoli a fare da foglia di fico per le parolacce.
Dalle stelle alle stalle. Dall’Innominato dei Promessi sposi, che
viveva nel «castello di ***», alle innominabili imprecazioni della
volgare eloquenza telematica.
Un asterisco per ogni
lettera omessa, un po’ come fanno i filologi per le parole
illeggibili di un testo. (Cinque, ad esempio, per «vaffa»: parola a
cinque stelle…). Ma per i filologi l’asterisco ha anche altri
significati. Messo prima di una base etimologica, indica che quella
parola è in realtà un’ipotesi non documentata: come *brabus,
che avrebbe portato dal latino barbarus all’italiano bravo.
Prima di una frase o di una parola indica che quelle forme sono
a-grammaticali, come in italiano *io avere o *libru.
A-grammaticali come – verrebbe da dire, a proposito di asterischi –
quei «car* tutt*» o «gentil* signor*» che campeggiano a volte
nelle intestazioni di messaggi rivolti a più persone. Con il
lodevole intento di evitare discriminazioni di genere, ma con
l’involontario risultato di discriminare la lingua italiana.
“La Lettura – Corrire della sera”,
25 novembre 2018
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