Vincenzo Cerami |
E’ molto pochi giorni fa Vincenzo Cerami, figura poliedrica di scrittore: romanziere, scrittore di teatro, soggettista e sceneggiatore di opere cinematografiche, paroliere. La sua fame è legata soprattutto al romanzo Un borghese piccolo piccolo e alla sceneggiatura di diversi film di Benigni. Per La vita è bella fu vicino all’Oscar. Ho recuperato tra i ritagli l’intervista che rilasciò a Carmine De Luca per una rivista delle Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori peculiarmente dedicata agli insegnanti di letteratura. Contiene molte interessanti riflessioni sul suo modo di lavorare. (S.L.L.)
Gian Maria Volontè nel film "Porte aperte" |
De Luca: Parliamo di riscrittura a partire dalla tua esperienza di narratore, sceneggiatore, autore di testi teatrali — attività perfettamente parallele e praticate con uguale interesse e successo. Hai al tuo attivo romanzi e sceneggiature su uno stesso tema (per esempio, Un borghese piccolo piccolo), e sei autore di sceneggiature tratte da romanzi di altri scrittori (per esempio, Porte aperte di Leonardo Sciascia). In che cosa sono diverse le due scritture? A quali regole difformi rispondono?
Cerami: Quando si scrive un film si parte da un'idea centrale, da una piccola idea; in genere l'espressione di una conflittualità tra due personaggi. Intorno al conflitto centrale si costruisce mano mano; ci si allarga intorno e si crea una realtà composita, articolata. Ora tutto questo lavoro da un'idea di poche righe, passa in un secondo momento a un soggetto un po' più ampio in cui entrano in gioco soltanto gli elementi essenziali, infine si passa alla cosiddetta scaletta, cioè a una sequenza di pochi punti: gii elementi conflittuali di partenza, lo sviluppo dei fatti, la risoluzione finale (una scaletta di dieci-dodici punti). Gradualmente ci si avvicina al film che ha bisogno di credibilità, di verità, di omogeneità e identità stilistica. Queste esigenze si ottengono con un paziente lavoro di trattamento, che è l'unico momento realmente letterario nel processo di costruzione di un film scritto, di una sceneggiatura. Il trattamento è la fase in cui l'autore è più se stesso, dà corpo ai personaggi al di fuori della storia che si racconta, li colloca e li fa muovere negli ambienti, immagina cosa essi pensano, come guardano il mondo. Insomma, fa vera e propria letteratura. E veniamo al romanzo e alle sue regole di scrittura. Il romanzo è, dal punto di vista di uno sceneggiatore, un trattamento. Tutto è già scritto: il conflitto è impostato, è stato messo a fuoco e alla fine risolto. Cosa molto importante è che nel romanzo i pensieri, le idee dei diversi personaggi sono descritti, esplicitati. Invece, il cinema non può descrivere pensieri, deve tradurli in azione attraverso le immagini. Ebbene, lo sceneggiatore che lavora su un romanzo per riscriverlo in termini cinematografici comincia praticamente a lavorare già dalla fase del trattamento. Il suo grande sforzo qual è? Quello di riscalettare la storia...
Una grammatica di immagini
De Luca: Facciamo il caso di Un borghese piccolo piccolo, un romanzo tuo trasferito da te stesso in cinema: è una esperienza particolare quella di un autore che sceneggia se stesso. La riscrittura richiede espedienti, strumenti differenti?
Cerami: La sceneggiatura di Un borghese piccolo piccolo è in effetti mia, ma con la collaborazione di Sergio Amidei. Dicevi della differenza di scrittura. Sta sostanzialmente in questo: il cinema mira soprattutto alla vicenda e all'immagine; il cinema pare nascere come arte per sordomuti, è nato muto. La sintassi che si è andata via via costruendo per la comunicazione è basata solo sulla contrapposizione e il montaggio delle immagini. E non è detto che da quando è entrato il sonoro, da quando il cinema ha cominciato a parlare, si sia fatto un cinema migliore. Anzi. Ancora oggi, chi scrive un film (nonostante il sonoro, il colore e le altre tecnologie) deve continuare a usare una grammatica di immagini. E passare da un romanzo a un film significa trasformare il linguaggio letterario, che evoca attraverso le parole i profumi, i colori, gli stati d'animo, in linguaggio fatto solo di immagini.
De Luca: Un altro film che hai sceneggiato è Porte aperte di Gianni Amelio, tratto dal libro di Sciascia. A me pare esemplare per mostrare la diversa qualità di scrittura del narratore e dello sceneggiatore. Il film è tutto intessuto di vicende, azioni, personaggi, situazioni concrete. Il libro è al contrario un esempio straordinario di rarefazione degli avvenimenti. Sciascia elabora — per progressive sottrazioni — una scrittura densa di pensieri, osservazioni, moralità, ragionamenti, e qualche raro riferimento alla realtà appare solo in filigrana. Voi sceneggiatori — tu insieme ad Amelio e Sermoneta — come avete proceduto per rimpolpare la storia di Porte aperte?
Cerami: Ti dicevo dell'importanza dell'idea iniziale nella creazione artistica in genere e nell'invenzione letteraria e cinematografica. Ebbene, il libro di Sciascia ha funzionato come idea iniziale, come terreno fertile. C'è in esso appena qualche germoglio di storia: la vicenda dell'assassino, di un pluriomicida che incontra nel cammino processuale un "piccolo" giudice a latere che cerca di sottrarlo alla pena di morte. Noi siamo stati stimolati proprio dai germogli di storia che Sciascia ci ha offerto. E siamo stati spinti a inventare personaggi e situazioni.
De Luca: Ancora un altro tipo di riscrittura, la riproposta di opere classiche. Succede soprattutto con la mitologia. Nei secoli i libri sui miti antichi si sono succeduti a centinaia. Qual è — secondo te — la motivazione di queste riprese continue?
La riproposizione di opere classiche e la traduzione
Cerami: Ti rispondo facendo riferimento a una mia esperienza particolare che non riguarda però la mitologia antica, ma un personaggio mitico dei tempi nostri, Pinocchio. Lessi Pinocchio da bambino e ricordo che mi procurò e mi lasciò addosso un sentimento di paura, di spavento. Il libro di Collodi racconta una storia di violenza. Forse è uno dei libri più violenti della letteratura italiana: l'unico scopo del protagonista pare essere quello di diventare un bravo ragazzo. Poi ho riletto Pinocchio da adulto: mi è sembrato un libro completamente diverso. Vi ho ritrovato, sì, la violenza, una violenza più sottile, ma vi ho rintracciato anche lo struggimento dell'autore verso Pinocchio costretto ad abbandonare la beata condizione di burattino per mutarsi in bambino in carne e ossa. E l'abbandono del principio del piacere a favore dell'onnipresente principio della realtà. Mi è capitato di leggere poi, subito dopo Pinocchio, la Metamorfosi di Kafka. E non potevo non sentire l'influenza del primo sul secondo, di Collodi su Kafka. Influenzato da Pinocchio ho riscoperto un altro Gregorio Samsa, ho visto stranamente Pinocchio, diventato intanto un assicuratore (tale è il protagonista della Metamorfosi). Che cosa voglio dire con questa doppia storia di metamorfosi? Che l'opera scritta si presta sempre ad essere reinterpretata; ci sono tante letture diverse, a seconda dell'epoca, della cultura... Il testo non è mai qualcosa di immobile. E soprattutto i miti hanno questa straordinaria capacità proteiforme, vengono riletti eternamente.
De Luca: Insomma, a partire dalla coppia Pinocchio-Gregorio Samsa, suggeriresti una sorta di gioco basato su — si direbbe alla Gadda — accoppiamenti giudiziosi. Per vedere l'effetto che un personaggio letterario fa su un altro personaggio?
Cerami: Perché no? Sai, i testi non bisogne¬rebbe mai considerarli chiusi in sé. Ogni testo rimanda a qualcos'altro. Tutti i libri, messi insieme, sono un solo libro universale. Il gioco consiste nello spostare i capitoli. Creare ordini sempre diversi. Balzac e Dickens, per esem¬pio, potrebbero benissimo convivere... formare un capitolo di questo enorme unico libro.
De Luca: Non ti pare che anche la traduzione sia una sorta di riscrittura?
Cerami: Vastissimo e complesso campo quello della traduzione. Sì che è riscrittura. Ho fatto due esperienze di traduzione. Per gli Oscar Mondadori ho tradotto delle fiabe romanesche in lingua italiana. L'esperienza è particolare. Non è tanto tradurre da una lingua a un'altra, quanto da una cultura — nel caso specifico, quella popolare — a un'altra, quella letteraria; da una cultura orale a una cultura scritta e letteraria. Si è trattato di restituire il senso della fabulazione popolare e del ritmo tipico di parlato favolistico…
Pregi e difetti della parodia
De Luca: Un caso particolare di riscrittura è la parodia. Aspirerebbe per un verso a replicare l'opera di partenza, a rispecchiarla, ma, per altro verso, la deforma, ne cambia i connotati; in una parola, sembra rifiutarla.
Cerami: Non mi è mai capitato di fare una parodia. Come tu dici giustamente, la parodia tende a cancellare l'opera originale; io aggiungerei che tende a ridicolizzarla. E questa tendenza non è di per sé spregevole. A condizione che venga conservata l'autonomia dell'opera che si fà, cioè della parodia medesima. L'autonomia garantisce una parodia apprezzabile, buona. Se una parodia non riesce a sganciarsi dall'opera di partenza, se la ricorda troppo, vuol dire che la parodia è sbagliata. Sono stato tentato di scrivere una parodia. Volevo prendere un romanzo di Zola e riscriverlo, ambientandolo nella Roma attuale. Ma è rimasta soltanto una intenzione, un progetto.
Nel cinema la parodia è stata utilizzata abbastanza. Pensa alle varie parodie comiche dei film di 007. Basta che un film abbia successo perché addirittura nasca un filone di parodia. Ma grandi risultati le parodie cinematografiche non li hanno dati.
“Folio” N.5 settembre-dicembre 1991
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