Il testo che segue è parte di un più ampio reportage su Iquito. Nel brano che ho ripreso si affronta il tema del lavoro minorile che da noi è tabù (nel senso che esiste ed è spesso irregolare, ma è proibito parlarne). L’articolo non prende posizione, ma lascia intendere che la linea “antiproibizionista”, di legalizzazione e di diritti, sostenuta dalle associazioni di ragazzi e bambini di cui si parla, potrebbe essere più avanzata della mera “proibizione”. Io sono ovviamente contrario a lavori minorili pesanti (ad esempio nelle miniere), ad ambienti insalubri, a lunghi orari, a fatiche che impediscano lo studio e il gioco e nuocciano a una crescita sana ed equilibrata. E sono – naturalmente - contrario allo sfruttamento e alla violenza costrittiva. Ma non riesco ad essere contrario a tutto il lavoro dei minori: a forme di apprendistato, a un contributo dei ragazzi nei lavori agricoli (dall’allevamento al raccolto), in attività turistiche e commerciali. Credo che peraltro in tempi di crisi una responsabilizzazione dei ragazzi nell’economia familiare abbia anche un valore pedagogico e formativo. Non so trovare formule precise, ma credo che se ne dovrebbe ragionare. (S.L.L.)
Iquito, Una manifestazione della Juventud in Progreso |
Capitale del dipartimento peruviano di Loreto, città fluviale costruita dai gesuiti sul Marañón nel 1764, Iquitos conobbe il suo periodo di splendore all’epoca del caucciù, quando questa materia prima amazzonica era richiesta ed esportata in tutto il mondo. Nel corso del Novecento, la diffusione di piantagioni in molti paesi asiatici prima, e l’invenzione del caucciù artificiale derivato dal petrolio poi, hanno significato un lento e inesorabile declino per la regione.
Oggi, Iquitos ha superato il mezzo milione di abitanti, formicola di un assordante traffico di moto e tricicli a motore (i taxi motokar) e dipende sempre più dagli umori del Rio delle Amazzoni, che si forma nelle sue vicinanze alla confluenza del Marañon con l’Ucayali. È famosa per la bellezza e la liberalità delle sue donne ma ha anche il triste primato nazionale in turismo sessuale e prostituzione infantile.
Stando a Wikipedia, Iquitos è la più grande tra le città non raggiungibili via terra. In effetti, si arriva qui solo in aereo o con qualche imbarcazione: i quasi 400 km quadrati della città sono una specie di grande isola terrestre circondata da fiumi. I voli da Lima costano il doppio per i turisti stranieri, i visitatori annuali non superano i 25.000. Un suo enorme quartiere, Belén, costruito sul fiume tutto su palafitte, è considerato una Venezia amazzonica. Certo, una Venezia abbastanza tugurizzata, piuttosto malsana e un po’ pericolosa.
Chi scrive si trova qui insieme a due antropologhe per una video-inchiesta sui bambini e gli adolescenti che lavorano. Nei villaggi andini, dov’è cominciato lo studio, i risultati sono stati sorprendenti: la stragrande maggioranza dei bambini intervistati si sono detti favorevoli al lavoro infantile, differendo in questo dalla posizione di molti organismi internazionali e della stessa chiesa cattolica, che lo rifiutano in assoluto. Anzi, si sono dichiarati contenti di contribuire al bilancio familiare ma fortemente contrari allo sfruttamento e ai maltrattamenti. Sempre più coscienti dei loro diritti, si stanno organizzando in una rete nazionale di bambini e adolescenti (Rednna). Molti di loro, incredibilmente maturi, dividono la giornata fra studio e lavoro. Qui a Iquitos l’ambiente è molto diverso da quello delle Ande centrali, ma la voglia di discutere dei propri problemi e di farsi ascoltare è la stessa.
«Nella nostra contrada c’è molta violenza, nelle feste si beve molto e poi finisce sempre in risse con feriti, a volte morti. Siamo contro questi sfoghi violenti», dice Yanir Ríos Pacaya, 16 anni, «vorremmo che quelli più grandi di noi si divertissero in maniera più sana. Noi facciamo concorsi di canto, danza e poesia. E anche campagne ecologiche: il mese scorso abbiamo raccolto tonnellate di rifiuti dalle rive del fiume Nanay». Yanir è fra le fondatrici di Juventud en Progreso, un’associazione giovanile di una borgata che si chiama appunto Progreso e non gode di buona fama.
(…) Iquitos fa anche da sfondo al romanzo di Vargas Llosa Pantaleón y las visitadoras, in cui il protagonista, il capitan Pantoja, organizza con innocenza patriottica un servizio di bordello ambulante per i soldati sperduti nella selva.
Valeria Hauanari, 19 anni, attivista dell’associazione Juventud en Progreso, si dichiara indignata dal reportage di un giornale spagnolo sulla prostituzione infantile a Iquitos (http://www.larazon.es/noticia/8671-iquitos-la-ciudad-prostibulo). «È una generalizzazione assurda. Fa apparire l’intera città come un lupanare. Non nego che il fenomeno esista, ma penso che un articolo così lo sta magnificando e finisce per dare una falsa immagine di Iquitos».
Valeria ammette che la sessualità delle ragazze qui si sveglia prima che in altre latitudini, che molti trentenni hanno delle amanti quattordicenni, che il mito della verginità qui non ha mai attecchito. «Ma la grande apertura delle donne charapas (del dipartimento di Loreto, ndr), che portano la moto meglio degli uomini, non ha niente a che vedere con la prostituzione. È solo una manifestazione di libertà».
“il manifesto”, 27 settembre 2011
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