28.7.13

Brecht in ballata (Italo A. Chiusano)

Chiusano ha qualche pregiudizio ideologico (in sostanza è un anticomunista), perciò fa ricorso alla “teorica del nonostante”, quella appunto per cui “Brecht è un grande, nonostante..”. Ciò nonostante la sua caratterizzazione della poesia brechtiana come poesia indiscutibilmente moderna, ma senza tracce d’ermetismo mi appare assolutamente esatta. (S.L.L.)


Cesare Cases lo dice assai bene, con ironia e una punta di amarezza, nella sua prefazione a questo volume (Bertolt Brecht, Poesie inedite sull' amore, poesie politiche e varie, Garzanti, traduzione di Gabriele Mucchi). Oggi Brecht (1898-1956), dopo decenni di culto quasi idolatrico, non solo sembra passato di moda, ma addirittura lo si snobba; e Cases mette in rapporto questo fenomeno con il generale snobismo nei confronti della tradizione socialista. Una formulazione che a me pare troppo ampia. Se mai, è vero che c' è un diffuso rigetto di quell'integralismo leninista-stalinista di cui Brecht fu, a suo tempo, un abbastanza convinto e spesso anche poetico assertore.
Venuto meno il modello sovietico, con annessi e connessi anche molto lontani dalla Russia, il suo aedo Brecht ha dovuto subire infastiditi e, più di una volta, irosi rifiuti. (E' un po' il caso, in area cattolica, di un poeta indiscutibilmente grande come Paul Claudel. Finito il cattolicesimo imperiale, trionfalistico, a fondo oro, che in lui trovava il suo più rutilante interprete, tutto Claudel venne lasciato cadere). Prendendo in mano questo volume, anch'io mi sono chiesto se ci avrebbe ancora detto qualcosa, quest'uomo che tanto e così intensamente avevamo letto in passato. Non so che cosa direbbero altri, meno che mai che cosa potrebbe pensare un giovane. Per quel che mi riguarda, Brecht mi appare ancora pieno di fuoco, e di ghiaccio che realmente arde e realmente brucia, ricchissimo di quelle trovate che sono soprattutto lampi di genio, scaltrito tecnicamente come pochi artefici del verso, malizioso e perfido quanto basta per riuscire quasi insopportabile, incredibilmente romantico (tra le pieghe) come solo sa esserlo un tedesco, divertente e spiritoso come pochi tedeschi furono mai; a tratti quasi suo malgrado nobile e fraterno come si conviene a un uomo che ha scoperto la propria corresponsabilità per tutta una classe sociale (se parlare di umanità, nel suo caso, può sapere troppo di retorica).
Abbiamo incontrato di nuovo vecchi amori quasi di gioventù, e ci hanno colpito. Non come la prima volta, ma in maniera più ricca e diversa, quasi rileggessimo oggi Pinocchio o l'Odissea. Chi non le ricorda, le rilegga qui, certe poesie come Ai posteri, Ballata di Marie Sanders, Parabola del Buddha, Uomini segnati, Francois Villon, La ragazza annegata, La primavera, Ricordo di Marie A.; ma anche un pezzo come Elogio del comunismo (capolavoro di efficacia pubblicitaria, indipendentemente dalla bontà del prodotto reclamizzato). Siano o non siano accolti in molte antologie, anche scolastiche: si può negare che versi come questi, e tanti altri qui non tradotti, sono degli evergreens della lirica moderna? Tra le altre cose resta sempre valido lo stupore di un uomo che continuo a rimpiangere, come Ruggero Jacobbi. E' incredibile, mi diceva, non esiste poesia moderna che non sia, per mille buoni motivi, un poco o molto ermetica. Quella di Brecht è indiscutibilmente poesia, è indiscutibilmente moderna: ma ermetica non lo è affatto.
Ma il discorso, oggi, può estendersi. Per gli italiani, questo volume rivela infatti tutto un lato inedito di Brecht. Gli stessi tedeschi dovettero attendere il 1982 per far conoscenza con questa faccia oscura della sua luna. Si è parlato molto della componente baalica di Brecht, desumendo l' aggettivo dal titolo del suo primo dramma, Baal, scritto nel 1918, rappresentato nel 1922: il larvato autoritratto dello stesso autore nelle vesti si vorrebbe quasi dire nella pelliccia di un uomo crassamente sensuale, egoista, anarchico, sfrenato, che vive e gode e uccide come un bestione primitivo. In queste poesie erotiche Baal si sfoga in tutti i registri e lungo tutte le età della vita di Brecht, da prima dei vent'anni sino alla morte. C'è, in più di un'occasione, anche il Brecht che ama col cuore, nel ricordo, nella lontananza, che conosce l' amarezza, il vagheggiamento, il rimpianto; e in alcune occasioni ne nascono versi mirabili per intimità di tocco. Ma prevale di gran lunga il Brecht del godimento carnale, dei giochi amorosi descritti con una crudezza anche tecnica, che solo lo stupendo mestiere letterario, il nessun indugio voluttuoso tiene al di qua della pornografia. E' un continuo parlar di se stesso, delle sue voglie, delle sue esperienze e predilezioni a letto o sui prati. Ma spesso parla anche la donna, o l'autore si mette nei suoi panni: e allora si sente, oltre che quella del lirico, la maestria del drammaturgo e del narratore, la sua facoltà di scolpire ritratti attraverso il parlato, e si pensa a una Celestina, a un Carlo Porta. Esemplare di lusso, in questo senso, i Consigli di una puttana. In altri casi la materia erotica è lavorata al cesello, con raffinatezze parche (e un po' porche) da autore dell'Antologia Palatina. Si veda Buone abitudini, Il filo strappato, Si raccomanda una lunga e ampia sottana. Oppure, grandissimo autore di ballate quale Brecht sempre fu, anche l'erotismo si configura in stanze di racconto, con quel fare sempre un po' medioevale, silografico, dureriano, che hanno i tedeschi quando ballateggiano: e cito solo La leggenda della prostituta Evelyn Roe. Si è detto che Brecht ha il vizio o la forza del didaskalos (che altri definiscono più sfavorevolmente maestro elementare). Ebbene, egli è un po' didaskalos anche in questa licenziosa materia, e con risultati umoristici.
Così si è detto che Brecht non può (e credo nemmeno volesse) affrancarsi interamente dalla tradizione e sensibilità romantica. Infatti essa è ben presente anche qui, ma parodiata, sbeffeggiata, straniata. Parlerei, molto spesso, di un romanticismo canaille. Perché è questa, assai più che la scoperta carnalità, la caratteristica che più colpisce chi legge: il cinismo, il maschilismo da sultano tra le odalische, da vecchio latifondista tra le mondine, il suo tremendo sorriso beffardo quando parla della donna, del suo corpo, delle sue voglie. Si dimentica, in quei versi, che nelle stesse ore Brecht credeva in una grande rivoluzione che desse dignità a tutti gli esseri umani; e ci si chiede se il Baal senza freno e senza rispetto sia mai morto del tutto, in lui. Impossibile congedarsi da questo libro senza una parola di ammirazione per il lavoro del traduttore, Gabriele Mucchi. Per fortuna Cases mette assai bene in rilievo, nella prefazione, i meriti di questo anziano frequentatore di Gongora e di Baudelaire, dedito professionalmente alla pittura. Su qualche soluzione si può dissentire; alcune espressioni sono state senz'altro fraintese. Ma nel complesso Mucchi ha lavorato in maniera egregia, sfoderando continuamente trovate, invenzioni, vittoriosi aggiramenti timbrici e ritmici che danno il modo di accostare Brecht poeta senza perderne più dello stretto indispensabile.

“la Repubblica”, 24 aprile 1987

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