6.12.11

Il vicerè Caracciolo, marchese di Villamaina

A Domenico Caracciolo, il celebre viceré che tentò nella Sicilia settecentesca un vasto programma di riforme, dedicarono poi – non senza un qualche elemento di sfregio – la scalinata di accesso e la piazza della Vuccirìa in Palermo. La biografia che è qui postata è ripresa dal sito del Comune di Villamaina, del cui feudo il Caracciolo era titolare in quanto “marchese di Villamaina”. Non manca in essa il tocco di benevolenza che sovente si ha per il concittadino illustre, ma la cosa a me non dispiace, giacché Caracciolo gode delle mie simpatie fin da quando lo conobbi nel Consiglio d’Egitto di Sciascia e lo seppi oggetto delle maldicenze del diarista palermitano Emanuele, il gretto e conservatore marchese di Villabianca. A costui è dedicato un tratto abbastanza lungo di un’arteria importante del capoluogo isolano: l’ideale prosecuzione verso la Favorita della via Roma che a lungo fu chiamata via Roma Nuova. (S.L.L.)  

Domenico Caracciolo fu figlio cadetto del II Marchese di Villamaina Tommaso Caracciolo e della Spagnola Donna Maria Alcantara Porras y Silva. Egli non nacque infatti a Villamaina ma in Spagna, nella villa di Malpartida de la Serena, dove il padre si trovava a seguito del reggimento reale.

Adolescenza e studi
Non abbiamo notizie certe sulla sua infanzia e sulla sua adolescenza. Le ipotesi sono due ed entrambe verisimili: fu educato alle umane lettere ed al latino per una prima alfabetizzazione da Don Stefano Pizzuti, colto sacerdote di Villamaina, o come sostengono altri studiosi, tra cui anche l'illustre Benedetto Croce, fu educato a Napoli nel Collegio detto dei Caracciolo. Se non da subito, è comunque certo che il marchesino di Villamaina si recò in Napoli ad intraprendere i suoi studi economici e giuridici. La sua grande statura intellettuale cominciò a delinearsi subito grazie al suo eccellente maestro: il Genovesi. Non pochi sacrifici dovette sostenere per la verità sia da studente che da giovane avvocato. A causa delle povere condizioni economiche del piccolo feudo irpino, Domenico fu costretto in giovane età a fare il mestiere di "paglietta" nel Tribunale di Napoli, cioè a professare a livello più umile il mestiere di avvocato.

Diplomatico
Non questo lavoro tuttavia, ma quello di funzionario diplomatico avrebbe conferito al nostro Marchese gli onori della fama e della gloria. Seppur nominato Giudice di Vicaria in Napoli, Domenico accettò con piacere il primo incarico diplomatico: un viaggio a Parigi e Madrid nel 1752. Da questo momento in poi la sua carriera diplomatica fu tutta un crescendo. Già nel 1754 fu ambasciatore supplente in Parigi e da Parigi, con lo stesso incarico, passò poi a Torino. Quindi con l'incarico di inviato straordinario fu a Londra, rimanendovi fino al 1771. Il 21 Agosto di quell'anno muoveva nuovamente alla volta di Parigi.

Frequentazioni d’alto bordo
Gli anni europei furono per Caracciolo fervidi di incontri e conoscenze di altissimo livello. Basta fare dei nomi per rendersene conto: si legò in amicizia a Vittorio Alfieri che, nella sua autobiografia, lo definisce "uomo di alto, sagace e faceto ingegno" confessando che nei propri confronti il marchese fu "più che padre in amore".
E' stato inoltre rinvenuto e, di recente, studiato dal Prof. Pier Carlo Masini di Pisa, un carteggio segreto tra i due illustri amici in cui si toccavano temi e questioni scottanti per l'epoca quali la libertà di culto, l'anticolonialismo ecc.
Per sfuggire alla censura, i due nobili italiani utilizzarono lo stratagemma della firma anagrammata. Vittorio Alfieri si firmò sempre nelle sue lettere al Caracciolo "Conte di Rifiela" e Caracciolo si firmò sempre come "Marchese di Licciocara" anziché di Villamaina (cfr. Melzi, Catalogo di opere anonime e pseudonime).
A parte quella di Vittorio Alfieri, sono più che documentate molte altre celebri amicizie del nostro marchese; anche il famoso Giacomo Casanova intrattenne un ottimo rapporto di amicizia col Caracciolo che incontrò più volte nelle sue peregrinazioni europee. Casanova definisce Caracciolo un uomo sagace, allegro, con cui era amabilissimo conversare di tutto.
Durante la sua permanenza a Parigi il Caracciolo ebbe modo, inoltre, di stringere amicizia con molti degli enciclopedisti francesi. Fu intimo di Voltaire, Diderot e D'Alembert, conobbe d'Holbac. Il nostro marchese fu personaggio assai benvoluto dalla nobiltà transalpina.

Giudizi sul Caracciolo
Proponiamo qualche giudizio raccolto qua e là su di lui: il duca di Levis, frequentatore, assieme al Caracciolo, dei salotti parigini, alla di lui partenza lo ricordava quasi con rimpianto: “non c'è mai stato un uomo più dinamico e più brillante di questo italiano: egli aveva l'energia di quattro uomini e la capacità di operare di otto; egli aveva un modo originale di vedere e di sperimentare le cose”.
Così invece Marmotel: “era come se da lui sprizzassero scintille, e la sua naturalezza di espressione, il fascino del suo sorriso e la sensibilità del suo sguardo formavano un insieme che dava un carattere affabile, intelligente ed interessante. Aveva qualche difficoltà a parlare la nostra lingua, ma era eloquente nella sua, e quando il termine francese gli sfuggiva ne prendeva qualcuno in prestito dall'italiano. Così ad ogni momento arricchiva il suo linguaggio di mille e pittoresche espressioni che destavano la nostra invidia... a Parigi tutti desideravano l'amicizia del marchese di Villamaina”.
Sono tutti giudizi conseguenti alla partenza del Caracciolo dalla città.

Vicerè in Sicilia
Nel 1780, infatti, Ferdinando IV di Borbone lo nominò Viceré delle Sicilie e Caracciolo, con sommo dispiacere, fu costretto a lasciare Parigi e la sua carica di ambasciatore per un incarico di più alto prestigio ma molto più complicato. Il nostro marchese sbarcò a Palermo con molto indugio solo la sera del 14 Ottobre 1781.
L'opinione pubblica che non si aspettava da lui nulla di particolare è tutta racchiusa nell'espressione del Villabianca: “si farà i fatti suoi e si godrà una vecchiaia tranquilla”.
Non fu così. Tre giorni dopo il suo arrivo sull'isola, il marchese di Villamaina fu investito della carica di Viceré. Era il 17 ottobre del 1781 e Caracciolo andava a ricoprire quella che si può ritenere la più alta carica del regno dopo quella Reale.
Uno scrittore siciliano, Vincenzo Linares, fa una descrizione fisica del Caracciolo:
“Ed ecco uscirne un uomo alto della persona, risoluto negli atti, tremendo all'incesso, con abito gallonato, e una fascia d'onore che gli pende dal petto. Il naso ha adunco, il mento sporto all'infuori, l'abito negletto; nella larga sua fronte sta l'impronta del genio, e i tratti duri e rilevati del volto indicano la tempra di un'anima indomabile e forte”.
Ora, sarebbe forse troppo monotono elencare le tappe dei sei anni di viceregno in Sicilia. Si dica solo che il Marchese di Villamaina giunse sull'isola con un programma preciso, quello di limitare gli abusi del potere baronale ed ecclesiastico sulla povera plebe siciliana.
Tra le altre cose Caracciolo fu autore di un trattato Sull'estrazione dei frumenti delle Sicilie in cui si descrive una cruda realtà: tutta la ricchezza dell'isola era concentrata nelle mani di pochi possidenti terrieri che affamavano la plebe. Al Caracciolo, imbevuto fino al midollo delle idee degli illuministi francesi, questa situazione non poteva proprio andare a genio. Il Marchese di Villamaina fece discutere fin da subito l'opinione pubblica siciliana, a partire dalla cerimonia ufficiale della sua investitura nel duomo di Palermo, quando non si scoprì il capo davanti all'arcivescovo che gli dette l'incenso. L'episodio suscitò le più grandi maldicenze e subito lo si etichettò come antiecclesiastico.
In effetti i privilegi ecclesiastici e quelli baronali furono i suoi obiettivi privilegiati. In una lettera al primo ministro Acton del 1784 il Marchese così argomentava: “ Qui tutta la contemplazione la godono i baroni e del popolo non si cura niente e tutte le altre classi di cittadini si trascurano e si contano per nulla. Iddio immortale! La Sicilia è composta di soli baroni? Il resto del regno è nulla?”. E sempre nella stessa lettera: “con cinquanta granatieri si fanno carcerare tutti i caporioni ed in una notte è finita la commedia!”.

Aneddoti e abolizioni
Un altro "simpatico" aneddoto è quello relativo alla tassa sulle carrozze del 1782. Col pretesto di raccogliere fondi per far rilastricare le strade di Palermo, Caracciolo istituì una tassa di tre once all'anno su ogni carrozza. Immaginate un po' come poté reagire la nobiltà siciliana alla notizia, dal momento che ovviamente la tassa ricadeva al 100% sui nobili. Dopo mille polemiche, a denti stretti, tutti cominciarono a pagare; solo una certa Marchesa di Ceraci, sbandierando gli antichi privilegi, respinse con sdegno l'imposta moderna. Dopo qualche giorno, degli agenti militari del Caracciolo abbatterono il portone di una delle più blasonate casate di Palermo e ne uscirono con la sontuosa carrozza della nobildonna: il Caracciolo l'aveva fatta sequestrare! La carrozza venne trascinata per le vie della città tra gli schiamazzi della plebaglia e lo sbigottimento dei nobili, che mai si sarebbero aspettati un affronto del genere.
Sempre del 1782 è l'abolizione del Tribunale dell’inquisizione o del Santo Uffizio. E' questa la riforma più importante del Caracciolo. Ma la presa di posizione più grossa del Marchese di Villamaina fu quando nel 1783 compì l'atto più impopolare del suo viceregno. Ordinò che i festeggiamenti patronali in onore di Santa Rosalia a Palermo da sei fossero ridotti a tre giorni. E' inutile dire che in Sicilia fu minacciato di morte e dovette intervenire il Re in persona ad annullare l'ordinanza.
Il suo temperamento forte, aspro ed intransigente cominciava ad essere un ostacolo per il suo programma riformatore. Caracciolo si attirava ogni giorno di più le antipatie dei nobili siciliani con atti eclatanti e di inaudita appariscenza.
Fu proprio per la sua fama di "duro" che il Re Ferdinando lo richiamò a Napoli con l'importantissimo incarico di Primo Ministro.

Morte
La sua vita era ormai alla fine. Caracciolo morì a Napoli il 16 Luglio del 1789. Si favoleggiò in città che fosse morto per la sorpresa e lo sgomento che gli provocò la notizia della presa della Bastiglia e dello scoppio della Rivoluzione francese. Questo nessuno storico potrà mai provarlo. E' certo invece che il nostro marchese era stanco e provato, perché in una delle sue ultime lettere al Re, aveva espresso il desiderio di potersi ritirare a godere di una meritata pensione in un suo feudo nei pressi di Napoli. Niente di più probabile che avesse scelto la sua Villamaina, allora in possesso del nipote Carlo Maria, figlio del fratello, cui era toccata per diritto di primogenitura la nostra piccola terra.

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