Natale 1911, Roma e Torino. Centinaia di famiglie ricevono un telegramma dal Ministero della Guerra o della Regia Marina. Il governo le invita a ritirare un tagliando che dà diritto a essere cinematografati gratis.
Consegneranno alla macchina da presa saluti da inviare ai soldati. Da tempo infatti le comunicazioni con la madre patria sono difficili. I soldati, bloccati sul fronte libico da oltre due mesi, iniziano a essere stanchi. Alcuni, nel grande stress della guerra, impazziscono. Troppo sole, troppa fatica, troppi orrori. Troppo lontano quel mondo desertico da quello lasciato a casa.
Anche la posta però, ingolfata dalla enorme richiesta di corrispondenza, impazzisce. E in Italia ci si preoccupa. Che succede davvero laggiù? Così, mentre le rotative delle tipografie, per iniziativa del Ministero della Guerra, sfornano un milione e mezzo di cartoline prestampate e preaffrancate con messaggi di rassicurazione da spedire dal fronte ai propri cari, il Generale di Corpo d’armata Carlo Caneva - responsabile delle operazioni libiche - e la Casa Cinematografica Cines, decidono di organizzare delle riprese destinate a comporre, a uso dei soldati, la cartolina animata di una intera Nazione. L’idea ha successo. In tutta la Penisola le riprese si estendono a macchia d’olio: al cenno dell’operatore, centinaia di famiglie salutano, lanciano baci, mostrano oggetti, esibiscono cartelli, sorridono, piangono.
Provocando questo straordinario evento, le macchine da presa imprimono però sulla pellicola, senza accorgersene, una lunghissima fotografia in movimento, un ritratto inedito di una nazione ancora giovane. Di quelle cinematografie perdute, proiettate solo per 5 giorni, fra il 20 e il 25 marzo, in una Tripoli che non le aspettava più, rimangono solo due foto sbiadite, due disegni per la “domenica del corriere” e delle tracce su carta, articoli.
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