27.7.13

Pinocchio fascista (di Daniele Comberiati)

In tempi di riforme scolastiche e polemiche sulla sorte dell’istruzione italiana, dalle scuole elementari in su, di notevole interesse risulta Pinocchio in camicia nera. Quattro “pinocchiate” fasciste (Nerosubianco Edizioni, collana “Le drizze”, Cuneo 2008, pp. 143, € 12,00). Una raccolta illustrata a cura di Luciano Curreri, che spiega nella postfazione come le “pinocchiate” rappresentino le riprese o le versioni del burattino collodiano in contesti del tutto diversi dall’originale e possono essere considerate, per certi versi, una sorta di genere a sé stante nella letteratura di evasione e per ragazzi. Le “pinocchiate fasciste”, d’altra parte, rappresentano l’impiego del burattino durante il ventennio e sono qui costituite da quattro novelle e un romanzo breve (presentato in forma ridotta) che possono aiutarci a ricostruire una storia della dittatura.
D’altra parte l’attualità di Pinocchio è anche nell’epoca corrente fuori discussione: il curatore fa riferimento al recente Pinocchio multiculturale di Marco Baliani, ma non sono da sottovalutare, ovviamente, le riduzioni televisive e cinematografiche, nonché la versione animata della Disney, che hanno consentito anche a generazioni meno avvezze alla lettura di conoscere la fiaba colta di Collodi. E forse le ragioni di tanta fortuna e altrettanta longevità sono da ricercare proprio nella capacità del personaggio di adattarsi ai contesti più disparati. Tale “azzeramento storico” (cito ancora dalla postfazione) non è appannaggio di tanti altri protagonisti di racconti per ragazzi che con il tempo sono scomparsi o sono sopravvissuti solo in situazioni di nicchia, proprio perché impossibilitati a “trasferirsi” in altri tempi e in altri luoghi.
Prendiamo per esempio i cinque testi raccolti nel volume: tutti ambientati in epoca fascista, d’accordo, ma talmente diversi tra loro da poter addirittura far pensare ad un’evoluzione del burattino parallela ai cambiamenti interni al regime. Il primo racconto, Avventure e spedizioni punitive di Pinocchio fascista, prende di mira uno dei primi obiettivi del regime, ovvero il “comunista”, presentato nell’occasione come un personaggio ipocrita, pusillanime, disinteressato alle sorti del popolo. Non vi è, nel brano, una vera e propria evoluzione del burattino, se non negli scherzi sempre più crudeli con cui terrorizza il gruppo dei “rossi”. Completamente diverso è invece Pinocchio fra i balilla, più vicino in un certo senso alla fiaba del Collodi perché presenta la stessa struttura narrativa: da discolo ad educato, da burattino a bambino. Viene assolutamente meno, però, la forza dirompente e rivoluzionaria dell’originale: il Pinocchio inquadrato dal fascismo catalizza la propria energia verso i non allineati al regime; tutta l’inventiva e l’intelligenza dei suoi stratagemmi sono così orientate a far ricredere i vecchi compagni di gioco, convincendoli che solo nei Balilla potranno trovare la propria realizzazione. La data di pubblicazione recita 1927, sono dunque gli anni del consenso: anche il personaggio collodiano si allinea al volere del fascismo, contribuendo all’educazione dei più giovani.

Di grande interesse risulta Pinocchio istruttore del Negus, e per diversi motivi: innanzitutto perché trasporta le vicende nell’Africa Orientale Italiana, nello specifico in Etiopia, luogo simbolico dei sogni imperiali ma anche della caduta del fascismo; inoltre mette in scena un’altra figura piuttosto ricorrente nella letteratura di evasione del periodo: l’inglese serafico e stolto, talmente ingenuo da scambiare un Pinocchio sporco di cioccolata per un abissino. Sono presenti nel testo alcune delle caratteristiche tipiche del romanzo coloniale, ma più in generale di tutta la produzione coloniale, anche quella per ragazzi: l’esotismo, il paternalismo, il razzismo, il particolare linguaggio “scorretto” e quasi ridicolo degli indigeni. Il Negus, l’acerrimo nemico dell’esercito italiano in una guerra di colonizzazione che non fu affatto facile (e non fu mai completa, tanto che gli etiopici parlano non a torto di “invasione” italiana e non di colonizzazione), è descritto in maniera caricaturale come un uomo non intelligente, preda di una cultura barbara e arretrata. Anche in questo caso può essere d’aiuto la data: Pinocchio istruttore del Negus è infatti del 1939, lo stesso anno in cui, come fa notare Curreri, venne attuato l’orribile massacro di Gaia Zeret-Lalomedir (la cosiddetta “grotta dell‘iprite” dove furono uccisi circa 1500 fuggiaschi etiopi), finalmente portato alla luce e sapientemente documentato da Andrea Dominioni nel recente saggio Lo sfascio dell’Impero. Gli italiani in Etiopia 1936-1941 edito da Laterza.
In nuce, nel racconto vi sono alcuni elementi riscontrabili anche negli ultimi due testi, Il viaggio di Pinocchio e la riduzione del romanzo Pinocchio… in un altro mondo!. Sono presenti infatti il tema del viaggio (spesso per mezzo di un velivolo, altro retaggio delle suggestioni dell’epoca) e soprattutto un particolare esotismo, precedente anche alla produzione letteraria di ambito coloniale, nella quale però non tardò ad infiltrarsi fino ad egemonizzarla. Traspaiono dunque un gusto dell’epoca, una particolare maniera di guardare alla culture “altre” che sono perfettamente riconoscibili nei testi citati. Particolare curiosità, anche per ragioni prettamente attuali, desta il fatto che l’ultimo brano sia ambientato per gran parte in Cina, una Cina ovviamente molto diversa da quella odierna, lontana dalla rivoluzione maoista e dal capitalismo dirompente. Le avventure di Pinocchio vengono qui legate alle vicissitudini di suore e padri missionari rapiti, in un’unione ideale di fascismo e religione cattolica.
Si può notare da questi brevi cenni come il Pinocchio fascista mantenga una geografia e una storia precisa e ben riconoscibile, perfettamente in linea con le evoluzioni del regime (l’anticomunismo, l’inquadramento dei giovani, il colonialismo, il rapporto con la Chiesa). Il burattino si normalizza, fino a perdere del tutto i suoi connotati originali, che tanto lo avevano fatto amare in passato e altrettanto lo faranno apprezzare in futuro. Un perfetto esempio di “revisionismo”, se ci si passa il termine. Ma anche un monito per l’oggi e per il domani: l’incidenza capillare sulle letture dei più piccoli è uno dei mezzi più efficaci per mantenere il consenso. Un personaggio come Pinocchio, inoltre, si prestava perfettamente a tale azione: il suo naturale anticonformismo (come si è visto anche di facciata) e la sua capacità di mettersi nei guai rendono ogni lettura gradevole se non avvincente.
Il merito dell’autore è di aver portato alla luce e analizzato tale segmento letterario, all’interno di riferimenti ampi e sempre fecondi sulla cultura di massa durante i regimi totalitari. E un merito ulteriore, da condividere con l’editore, è l’attenzione alla veste grafica, talvolta trascurata in pubblicazioni del genere: una grafica essenziale ma estremamente efficace, dove il bianco e nero della copertina riprendono il nome della casa editrice, ma costituiscono anche una valida suggestione inerente all’argomento del libro. Assolutamente azzeccata risulta inoltre la scelta del font, vagamente antiquato, che contribuisce a trasportare il lettore nel periodo in cui sono state pubblicate per la prima volta le “pinocchiate” proposte.

da “Le reti di Dedalus”, rivista in line del Sindacato Nazionale Scrittori, 2009  

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