12.7.13

Qualche ricordo e qualche riflessione su Dario Lanzardo (Vittorio Rieser)

Dario Lanzardo
Se diffondo questo pezzo non è soltanto per ricordare Dario Lanzardo, che nel mio girovagare tra libri e riviste di politica operaia ho incontrato giovanissimo tanti anni fa e apprezzato sempre per il rigore e il coraggio. In verità il suo percorso di vita, raccontato con simpatia e simpateticità da Vittorio Rieser, è davvero esemplare: la generosità e la genialità del Lanzardo “politico” come del “fotografo” (politico anche lui) attengono strettamente a un modo di essere “compagni” che è quasi scomparso, ma che abbiamo per nostra fortuna conosciuto e abbiamo il dovere di tramandare. (S.L.L.)
Che cosa sono le nuvole? Una foto di Dario Lanzardo

Dopo la morte prematura e improvvisa di Dario Lanzardo, ho continuato – com’era inevitabile per chi l’ha conosciuto – a pensare a lui, alle cose vissute insieme ma anche a quei suoi lavori che ho conosciuto solo indirettamente. In questi “ricordi e riflessioni” c’è quindi uno squilibrio, perché con Dario ho lavorato (e, in certo senso, vissuto – con lui e con Liliana) in un periodo relativamente “giovanile” della sua vita ed attività, e del periodo successivo – quello più straordinariamente creativo – ho conoscenze frammentarie, anche se i pur saltuari incontri con lui ristabilivano subito un flusso di comunicazione “come ai vecchi tempi”. Ho acconsentito a pubblicare queste note (pur così parziali e “soggettive”) perché ritengo in qualche modo un “dovere politico” ricordare e far conoscere la figura di un compagno e di un intellettuale straordinario. Mi perdonerete quindi se, in larga misura, procedo sul filo dei miei ricordi.
Degli anni di Dario da bambino e ragazzino ho appreso a sprazzi dagli episodi e dagli aneddoti che spesso raccontava – anche recentemente. E mi son fatto l’idea che – se poi è diventato un intellettuale completo e insieme atipico – è dovuto anche a quella esperienza. Dario è nato in tempo per vivere la seconda guerra mondiale (e l’immediato dopoguerra) in modo “autonomo ed attivo”, sia pure come bambino-ragazzino, però “non protetto”, ma esposto in pieno alla realtà sociale quotidiana prodotta da questa guerra. Da quando, alla scuola elementare, ricuperava il ferro con la trovata geniale di andare per le strade con una calamita appesa a un filo, al ricupero e commercio (ben più rischioso, ma anche lucroso) di residuati bellici, la vita di Dario in quegli anni mi sembra una vita immersa precocemente nel mondo e nei suoi casini.
Poi, studia da macchinista navale – e sulle navi ci va, come indirettamente racconta nel suo primo romanzo, Il principio di Archimede. E, anche questa, non è l’esperienza “normale” di un “giovane diplomato”, ma neanche quella di un “precoce militante”: è qualcosa di ben più ricco e complicato.
Non so quali e quanti mestieri abbia fatto Dario da giovane – se non quello che, mosso dalla sua innata (ed “ereditata”) passione per la fotografia, fece da fotoreporter (non semplice fotografo, ma anche “reporter” nel senso più pieno) per «Il Nuovo Corriere» ed altri giornali. Ma so che, quando era ancora a La Spezia, fece parte dell’Usi di Valdo Magnani – insieme a Liliana e ad altre persone notevoli come Franco Galasso e Carlo Donolo. (Quando arrivò a Torino, lo scopersi con un certo ritardo, e mi colpì la coincidenza con la mia esperienza di militante dello stesso gruppo – insieme a Giovanni Mottura, e “sotto la guida” di militanti più esperti come Clara Bovero e Mario Giovana).
Dunque, Dario e Liliana arrivarono a Torino a fine anni ’50. Dario, nel frattempo, era diventato impiegato delle ferrovie (non sui treni, ma negli uffici della Divisione Impianti elettrici – un lavoro burocratico che non amava). Tutti e due, in seguito alla confluenza dell’Usi nel Psi, erano diventati militanti del Psi, e così li conobbi. Eravamo, naturalmente, collocati “alla sinistra” (ma non quella dei cosiddetti “carristi”, filo-sovietici!), e così – altrettanto naturalmente – ci ritrovammo attorno a Raniero Panzieri, che era arrivato a Torino dopo aver diretto «Mondo Operaio» nel ’57-58 (rivista che per tutti noi era stato un riferimento politico-culturale fondamentale) e aver rifiutato quelle “sistemazioni burocratiche di ripiego” che la nuova maggioranza nenniana del partito gli offriva, ed era redattore di Einaudi (da cui – non bisogna mai smettere di ricordarlo! – fu licenziato nel 1963). Cominciarono così le riunioni da cui nacquero i “Quaderni rossi”: e in questi Dario ebbe un ruolo importante, che vale la pena di approfondire.
Intanto, la sua collocazione di dipendente delle Ferrovie – che, in termini di contenuti del lavoro, non gli dava niente – lo spinse ad impegnarsi sindacalmente nella categoria (quindi, tra l’altro, anche dopo la rottura tra QR e sindacato, Dario mantenne, a partire dalla sua condizione di lavoro, un ruolo sindacale). Ne nacque un’elaborazione interessante, sia in termini di politica contrattuale che in termini di un discorso più generale, anche “teorico” sui trasporti. Nella «Lettera dei QR» sul rinnovo contrattuale dei ferrovieri si formula, ad esempio, la richiesta di aumenti salariali uguali per tutti: in anticipo sui tempi – un anticipo forse eccessivo in termini di influenza pratica, ma lungimirante alla luce degli sviluppi successivi della lotta sindacale. E, nella sua elaborazione sul tema dei trasporti, Dario pose una questione di fondo: perché il padrone paga il trasporto (costi/tempi) di tutte le merci ma non quello della merce-lavoro?
Quest’ultimo accenno dà già un’idea della capacità di elaborazione teorica di Dario. Ed è suo l’editoriale del n° 4 dei «Quaderni rossi», Produzione, consumi e lotta di classe, in cui i QR “scoprono il fordismo”. Allora, le elaborazioni teoriche sul fordismo (oggi inflazionate) non erano così diffuse; noi almeno, immersi in altri tipi di studi teorici, non le conoscevamo (tranne probabilmente Raniero), e credo che anche Dario non partisse da letture ma da un ragionamento: a partire da un certo momento, le grandi aziende capitalistiche producono beni che anche i loro operai possono comperare, e questo è un “punto di svolta”.
Dario, quindi, era anche un teorico. Ma, nel suo modo di agire politico, era più empirico e “spregiudicato”. Nelle diatribe interne dei Quaderni rossi – tra la corrente che faceva capo a Tronti e che poi diede vita a «Classe operaia» e quella “torinese”, in cui alla fine Panzieri scelse con decisione di rompere con la prima – la posizione di Dario era netta, ma con un certo “disincanto ironico”. Ho già ricordato altrove che, in una riunione di scontro particolarmente acceso – in cui chi sosteneva che la classe operaia era “tutta fuori dal capitale” accusava i “torinesi” di vederla “tutta dentro al capitale” – Dario, in un intervallo, camminava su e giù per la sala canticchiando «tutta fuori, tutta dentro – gli faremo un monumento...».
E, sempre in base a questo suo atteggiamento “pratico”, diversamente dalla maggioranza di noi, pensava di entrare nel Psiup (anche per ragioni legate al suo ruolo sindacale), conducendovi una battaglia di sinistra. Non mi ricordo se poi ci riuscì – vari compagni ricordano che il Psiup rifiutò il suo ingresso – comunque questo produsse un interessante documento critico di “battaglia interna” (noto allora come “documento Lanzardo-Tomasetta”).
Nel 1963 si ha la prima rottura dei “Quaderni rossi”, da cui nascerà “Classe operaia”. Nel 1966 esce il numero 6, che sarà l’ultimo. Nel frattempo, ci sono stati momenti di allargamento e di successive rotture del gruppo, su cui non mi soffermo. Quello su cui vorrei soffermarmi è il lavoro a livello operaio avviato a Torino dal 1966, prima come “Quaderni rossi” e poi sotto altre forme, in cui Dario ha avuto un ruolo propulsivo.
La prima tappa di questo lavoro (ancora promossa come “Quaderni rossi” – prima che questi si considerassero esauriti come “gruppo” – a fronte delle novità portate dal movimento studentesco) è il giornale «La Voce Operaia»: un giornale degli operai della Fiat, costruito totalmente sulle testimonianze, raccolte a viva voce, degli operai Fiat sulla loro condizione. Di questo giornale Dario è il factotum, anche per la parte tipografica. Il giornale raccoglie voci via via più numerose, e arriva anche a organizzare una delle prime fermate contro l’intensificazione dei tempi di lavoro, su una linea di lastroferratura. In questa esperienza emergono anche alcuni quadri operai che avranno un ruolo nelle lotte successive.
L’esplodere del movimento studentesco (a Torino, già alla fine del 1967) si intreccia con questa esperienza. Liliana Lanzardo è fortemente impegnata nel movimento, e sarà tra i promotori di un suo rapporto attivo con le lotte operaie – a cui Dario si aggiungerà subito. Dopo alcuni momenti, sporadici ma con notevole partecipazione di massa sia studentesca che operaia (scioperi delle pensioni all’inizio del 1968, vertenza aziendale della Fiat), si prova a “tradurre organizzativamente” questo rapporto, con la formazione della Lega studenti-operai: un tentativo fortemente influenzato dall’esperienza del maggio francese, con l’ipotesi di costruire organismi di massa e di base unitari tra studenti e operai. Anche qui, Dario si impegna a fondo. L’ipotesi iniziale, un po’ ideologica, non si realizzerà, ma la Lega studenti-operai sarà un primo luogo di formazione di alcuni quadri delle future lotte operaie alla Fiat, e aprirà la strada a un futuro, più massiccio intervento nelle lotte operaie da parte del movimento studentesco. Fino ad allora il gruppo dirigente del movimento era in maggioranza restio a tale intervento – e infatti, quando, all’inizio del 1969, cominciano le lotte di reparto a Mirafiori, è ancora una minoranza di studenti a “intervenire alle porte” – Dario è tra questi, ovviamente.
Con il grande sviluppo delle lotte operaie a Mirafiori, le resistenze del movimento studentesco a intervenire sono travolte – ma l’intervento finisce ben presto a incanalarsi nelle forme e secondo le strategie dei “gruppetti”, cioè di quei gruppi (quasi tutti nati, in origine, dall’esperienza dei QR e dalle sue successive rotture) che già intervenivano a livello operaio. Dario, come vari altri di noi, è contrario a questo “incanalamento”, e tenta ancora di opporre ad esso una “assemblea operaia” composta di soli operai, in cui i leaders dei gruppetti non abbiano voce. È l’ultimo tentativo “operaista” nel senso più immediato del termine, cioè nel senso che gli operai dovrebbero decidere in prima persona, liberi dai vincoli organizzativi e leaderistici dei “gruppetti”. Il tentativo fallisce, e in scena restano i gruppi politici organizzati della “sinistra extra-parlamentare”; in realtà, a dominare la scena saranno soprattutto i delegati e il sindacato (e non per frenare le lotte, come allora noi pensavamo!).

A quel punto, Dario “lascia il campo” dell’impegno politico organizzato; non certo dell’impegno politico in generale. Dario continuò a “fotografare le lotte”, andando tra l’altro anche in Portogallo quando ci fu la “rivoluzione dei garofani” – e la recentissima mostra delle sue fotografie degli anni ’70 lo testimonia – e pubblicò un libro sui fatti di piazza Statuto del ’62, che resta tuttora l’unico serio testo di riferimento; curò inoltre la pubblicazione di una bellissima antologia degli scritti di Panzieri (uscita col curioso titolo La ripresa del marxismo-leninismo in Italia: curioso, perché col leninismo il lavoro di Panzieri coi Quaderni rossi non aveva molto a che fare – anche se non era “anti-leninista” – e perché in quegli anni l’etichetta “marxista-leninista” caratterizzava gruppi con posizioni assai dogmatiche; ma forse nel titolo c’era proprio un’implicita polemica con questi). Liliana, dopo aver tradotto la sua tesi di laurea in un libro sulla lotta di classe alla Fiat nel dopoguerra (che fece scalpore a suo tempo), continuò il suo lavoro di ricerca storico-sociale “impegnata” (e fu, anche per questo, oggetto di persecuzioni “giudiziario-accademiche”).

Ma non è questo che mi interessa direttamente qui, quanto un altro “fenomeno”. Questi anni di relativo disimpegno politico-organizzato segnano l’“esplosione intellettuale” di Dario: come se la (multiforme e in gran parte politica) esperienza degli anni precedenti avesse, da un lato, fatto maturare le sue capacità e risorse intellettuali e, dall’altro, le avesse “trattenute”, o meglio “incanalate” in una sola destinazione ed utilizzazione.
Dario finalmente fa il fotografo “a tutto campo”; ma non è un “puro fotografo”, perché ogni suo lavoro fotografico è un’opera di ricerca ed elaborazione culturale. A questa ricchezza multiforme del suo lavoro di fotografo contribuisce, certamente, l’esperienza accumulata, di vita e di lavoro politico, ma contribuiscono anche altri fattori: un impegno di studio, su testi e su fonti di grande varietà ed ampiezza, e – insieme – una “simbiosi culturale” con Liliana (in un rapporto che sarà sempre di autonomia, anche intellettuale, reciproca) che lo arricchisce.
Da allora, fino agli ultimi giorni, Dario produce una serie numerosissima di “ricerche fotografiche”, che si traducono in mostre e nei volumi corrispondenti. Ognuno di questi momenti corrisponde a un percorso di ricerca, che investe temi e testi di grande varietà e di grande spessore culturale.
Io purtroppo non ho seguito Dario da vicino nel suo lavoro di “fotografia-ricerca” (ne venivo informato “a sprazzi” nei nostri saltuari incontri), né ovviamente sono in grado di analizzare questi suoi lavori in termini specialistici. Ma sono colpito dalla scelta dei temi e dal modo in cui Dario lavora attorno ad essi. Si va da soggetti apparentemente descrittivi, come i giardini interni o i cortili, o Torino “città dei quattro fiumi”, ad altri “più astratti” che evocano più direttamente una dimensione filosofica: le armature (“il convitato di ferro”), gli spaventapasseri, la luce, le nuvole, o le varie espressioni della natura fotografate nell’omaggio a Goethe. Se uno va a vedersi i volumi che ne sono nati, rimane colpito, non solo (sia pur da “profano”) dalla bellezza straordinaria delle fotografie, ma dalla ricchezza della riflessione, letteraria filosofica e scientifica, che le accompagna.
È come se Dario, libero dai vincoli politici dell’impegno quotidiano, abbia scoperto (e ti faccia scoprire) tutto un mondo, anzi via via mondi sempre nuovi – e rifletta (e ti faccia riflettere) su di essi, attingendo a molteplici fonti culturali.
Su questa ricerca, negli ultimi anni, si innesta la “scoperta” di Dario come scrittore: un primo romanzo, Il principio di Archimede, una raccolta di racconti, Il fotografo e la bambina, fino all’ultimo romanzo. È uno sviluppo “sorprendente”, ma – quando uno va a vederlo – naturale: Dario continua, espandendola in nuove forme, la sua attività di ricerca e di riflessione “trasfiguratrice” sulle sue esperienze. Il suo “stile letterario” non ha nulla di scolastico, pur essendo assai elaborato: corrisponde direttamente al suo “linguaggio di ricerca”.
Dario è sempre stato, come si suol dire, un “vulcano di idee”. Nella sua fase di “produzione culturale”, questo si è tradotto nel fatto che la “produzione materiale”, la traduzione delle idee in prodotti, non ce la faceva a tener dietro alla produzione di idee: per cui Dario era sempre “in ritardo”, non perché lavorasse poco (tutt’altro!) o non rispettasse le scadenze, ma perché la sua produzione di idee e progetti procedeva troppo in fretta. Di qui, una serie di “prodotti incompiuti”, alcuni in fase già avanzata di produzione – su cui per fortuna Liliana lavorerà perché anche noi li si possa vedere e studiare.
(Mi permetterete anche qui una “divagazione personale”: tra questi lavori “in cantiere” c’era anche un lavoro di tema “musicale”: l’idea di “illustrare” alcuni Lieder, dall’800 ad oggi, con immagini che non li “descrivessero letteralmente” ma ne cogliessero l’intima essenza. Questo era un lavoro a cui avrei dovuto collaborare, come “consulente musicale” – e sarebbe per me stata l’occasione di “entrare nel laboratorio di Dario” e di seguire da vicino il suo modo di lavorare).
Spesso si dice, di chi muore, “è scomparso prematuramente” – in genere riferendosi anzitutto all’età di chi muore giovane. Ma poche morti sono “premature” come quella di Dario: non per l’età, ma perché è avvenuta nel pieno di una sua fioritura artistica e culturale, che ci prometteva tante nuove cose.

Post scriptum. Di Dario, tra gli altri, si sono ricordati i compagni che curano un giornale on line del Basso Volturno, ripubblicando un suo bell’articolo uscito proprio sul «manifesto» in occasione del ventennale del ’68, e lamentandosi che la “sinistra del Basso Volturno” abbia trascurato la sua morte. Ahimè, non è solo quella ad averla trascurata: per fare solo un esempio, «Il manifesto» non gli ha dedicato una sola riga – anche se non solo la tematica politica di Dario, ma gli altri campi della sua attività, dalla fotografia alla narrativa, trovano sempre ampio spazio su quel giornale; sarebbe forse opportuno rimediare a questo “vuoto” dedicando una pagina ai multiformi aspetti del lavoro di Dario.


Da “L’ospite ingrato”, rivista on line del Centro Studi Franco Fortini, 5 marzo 2011

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