25.8.10

Perché i giustizialisti di sinistra urlano ...

Pubblico qui il testo che ho inviato ad Aurelio Fabiani come contributo a uno dei dibattiti della riuscita "Festa operaia e libertaria" organizzata a Spoleto da Casarossa e dal Comitato antirazzista. Il confronto durante il quale è stato letto, con la partecipazione di Fabio Faina, Valerio Bruschini e Michele Fabiani, si è svolto domenica 22 a sera. Un ampio stralcio del mio contributo è stato pubblicato ieri su "micropolis on line" ( http://www.micropolis-segnocritico.it/mensile/?p=1722 ) con il titolo Giustizialismo di sinistra e garantismo del malaffare. (S.L.L.)

Cari compagni,

Aurelio Fabiani mi ha chiesto, data la mia impossibilità a partecipare, un contributo scritto a uno dei dibattiti della vostra “Festa operaia e libertaria”. Ve lo trasmetto volentieri, anche se la dichiarazione di incompetenza che ho fatto per e-mail ad Aurelio non è una di quelle formule retoriche che si usano per accattivarsi la simpatia, ma sacrosanta verità. Non ho – gli ho scritto - alcuna autorità o autorevolezza né professionale né politica per pronunciarmi su una questione come quella che viene proposta. Non sono infatti né dirigente politico, né magistrato, né giornalista, né membro di una qualunque altra corporazione che abiliti i suoi aderenti a pontificare sui temi più svariati.

Sono un pensionato piuttosto malandato, un letterato di provincia, un vecchio militante il cui impegno si svolge intorno a “Segno critico” e a “micropolis”. L’associazione e il periodico esprimono e motivano convinzioni forti sull’attuale fase e sull’attuale sinistra, in Italia e in Umbria, ma non aspirano ad avere una visione complessiva, da partito, in cui tutto si tenga. Sappiamo di essere dentro una crisi profonda della sinistra, di essere noi stessi un pezzo della crisi; cerchiamo perciò di dare un contributo di critica e di proposta fuori dalla politica politicante, dai giochi d’apparato.

Parto dal titolo: Perché i giustizialisti di sinistra urlano per un avviso di garanzia a un membro del governo e invece non parlano né chiedono dimissioni quando il comandante dei Ros dei carabinieri viene condannato a 14 anni?

E’ un titolo che non capisco bene.

Chi sono i “giustizialisti di sinistra”?

Di Pietro? I giornalisti de “Il fatto”? o de “l’Unità”? O di “Repubblica”? Il Pd? Rifondazione? O chi altro?

E chi è di sinistra?

Travaglio è di sinistra? Di Pietro è di sinistra? Veltroni? D’Alema?

E a che cosa allude poi la metafora dell’“urlo”?

Fare comunicati stampa, rilasciare dichiarazioni a Tg e quotidiani, scrivere articoli di denuncia, litigare (o fingere di litigare) in qualche trasmissione televisiva equivale ad “urlare”? E per le formazioni rappresentate in Parlamento basta tutto ciò a configurare un “urlo” o ci vuole almeno la “mozione di sfiducia”? Chiedere le dimissioni, senza peraltro minacciare ritorsione alcuna, è “urlare”?

E, infine, in che cosa consiste il giustizialismo?

Giustizialista, in politica, si chiamò Peron, il capo populista dell’Argentina che, nella sua demagogia contro innominati e difficilmente identificabili nemici del popolo (quelli veri si guardava bene dal colpirli), col termine giustizia intendeva più che la giustizia penale la giustizia sociale a favore dei descamisados.

Nell’Italia di oggi il termine ha un uso quanto meno ambiguo.

I berlusconidi bollano come “giustizialisti” tutti quelli che difendono la magistratura da ingerenze politiche. Essi sostengono che nel centrosinistra c’è una sorta di giacobinismo giudiziario, che pretende processi sommari per gli uomini politici della destra, per i finanzieri e i manager vicini alla destra. Dicono “il popolo ha votato”, “la magistratura fa politica” e considerano un attentato alla sovranità popolare ogni controllo di legalità sugli atti del governo.

Nel loro attacco alla magistratura c’è probabilmente qualche elemento di verità: giudici e inquirenti talora si comportano come una casta; ma, nella situazione data, a me sembra ragionevole che sui rapporti tra magistratura e ceto politico le opposizioni di sinistra e di centrosinistra affermino altri principi, difendendo l’indipendenza del magistrato e l’esigenza che i processi facciano il loro corso, con tutte le garanzie previste, ma senza privilegi per capi di governo, ministri e parlamentari, come pure per finanzieri banchieri e capitani d’industria. Dire questo non è giustizialismo, ma un garantismo che pretende garanzie per tutti, anche per le vittime dei reati compiuti dai potenti della politica o della finanza.

In questo contesto la prassi, d’obbligo in molti paesi, che un uomo politico indagato per gravi reati si dimetta dagli incarichi ministeriali (e non, per esempio, dalla funzione parlamentare) è “giustizialismo” o è “garantismo”?

Io credo che l’usanza contenga una tripla garanzia, per i cittadini, per lo stesso uomo politico, che sarà più libero di difendersi, e per il governo di cui fa parte. Se il governo sceglie la politica gesuitico-mafiosa di far quadrato intorno all’indagato in quanto “cosa nostra”, allora è giusto che l’opposizione chieda le dimissioni, possibilmente senza urlare, ma argomentando. Nella richiesta di dimissioni non c’è nessun “giustizialismo” giacobino. Le dimissioni non sono la ghigliottina e neppure la fucilazione. E per quel che se ne sa non lasciano l’indagato sul lastrico e senza la possibilità di difendersi.

Per sostenere posizioni di questo tipo (che nulla hanno di giustizialismo) non occorre essere di centrosinistra o di sinistra, basta un generico approccio liberaldemocratico, basta comprendere che la cricca di Berlusconi (e quella di Bossi) non è portatrice di alcuna istanza garantistica, ma solo di un potere arbitrario e di una richiesta generalizzata di impunità per i potenti. Una posizione di sinistra (di una sinistra decente, dico) dovrebbe fare di più: svelare la natura di classe delle loro scelte e progetti.

In Berlusconi in realtà si realizzano al massimo grado le tendenze al “sovversivismo delle classi dominanti” italiane di cui parla Gramsci nei Quaderni dal carcere, le tendenze cioè dei gruppi borghesi egemoni a liberarsi di tutte le remore costituzionali e legislative che possano limitare il loro dominio assoluto. E’ emblematica del resto l’ascesa del Cavaliere e l’inizio del suo strapotere televisivo sembra la riprova del celebre aforisma marxiano per cui le grandi fortune nascono, quasi senza eccezione, dal crimine.

Lasciamo perdere il problema della provenienza sospetta dei capitali per Milano 2, ma criminale è soprattutto la nascita del monopolio delle tv private. Le emittenti di Berlusconi violarono la legge che impediva le trasmissione su tutto il territorio nazionale e la magistratura ne ordinò l’oscuramento. Ma Craxi gli fece il decreto ad personam, decretandone così anche la posizione di enorme vantaggio rispetto a eventuali competitori. Da questa violazione di legge, da quest’atto delinquenziale è segnata tutta intera la carriera imprenditoriale e politica dell’uomo di Arcore, ancora prima che arrivasse il celebre avviso di garanzia nel 1994. La prima proposta del ministro della Giustizia Biondi nel primo governo Berlusconi fu, infatti, non a caso, l’amnistia per i reati di Tangentopoli. Dalla depenalizzazione del falso in bilancio ai condoni edilizi, agli scudi fiscali è poi possibile fare un lunghissimo elenco delle misure che i vari governi Berlusconi hanno assunto per garantire l’impunità a ricchi e potenti, anche attraverso normative che favoriscono la prescrizione.

In parallelo si è costruito un doppio standard nel sistema giudiziario penale. Dalle leggi sulla droga a quelle sull’immigrazione, dal governo del sistema carcerario alle misure alternative tutto ha congiurato a costruire tribunali speciali per i poveracci. Oggi le carceri sempre più traboccano di “non delinquenti”, di tossicodipendenti, di piccoli spacciatori, di ladruncoli e soprattutto di immigrati, spesso colpevoli del solo reato di immigrazione clandestina. Oggi tutto il sistema giudiziario gronda di lacrime e sangue, di illegalità e violenze spesso nascoste di poliziotti e di agenti carcerari, è pieno di casi di casi Bianzino e di casi Cucchi, spesso ancora più torbidi, perché riguardanti marocchini, algerini, neri, zingari, persone senza parenti e senza appoggi, per le quali anche l’estrema sinistra stenta a mobilitarsi.

Solo una forza politica stravagante come i radicali pannelliani sembra dare a questi temi un carattere di priorità: ma sono gli stessi che in sostanza pretendono un dominio padronale senza lacci e lacciuoli. Insomma vorrebbero le cause senza gli effetti.

Il cosiddetto “processo breve”, cioè la “prescrizione breve” riproposta in questi giorni nel diktat a Fini, tende peraltro ad accentuare le caratteristiche razziste e classiste della giustizia penale. Non inciderà affatto sulle “direttissime”, che riguardano i piccoli reati della piccola gente, specialmente degli immigrati, le udienze durante le quali, nei piani bassi dei palazzacci, avvengono, ignorati da tutti, pestaggi gratuiti per fare capire “chi comanda”. La legge in preparazione farà sì che, al contrario, gli autori di reati finanziari, di malversazioni da politicanti, di inquinamenti assassini e di omicidi bianchi la facciano sistematicamente franca. Su tutto questo tutto il centrosinistra, parlamentare ed extraparlamentare, sia garantista che giustizialista, è timido e reticente. Abbiamo visto persino Rifondazione, a Perugia, fare ambigue assemblee sulla sicurezza.

Andiamo allo specifico. La domanda contenuta nel titolo del dibattito si riferisce al generale dei carabinieri Gianpaolo Ganzer, numero uno del Ros, condannato a 14 anni di galera per aver organizzato l’importazione e il traffico di cocaina dal Sudamerica, con operazioni truccate e rivendute alla stampa in qualità di brillanti operazioni contro il traffico di sostanze stupefacenti.

Il Ganzer, d’altra parte, è lo stesso che, con l’avallo dell’ex presidente della Regione, oggi in forza alla sinistra ferroviaria, si è rivenduto come grande operazione antiterroristica l’assalto delle teste di cuoio che a Spoleto portò all’arresto di quattro giovani con accuse evidentemente infondate, anche se in parte avallate dalla magistratura.

Nella stampa governativa ma anche in quella di opposizione pochi notarono l’aspetto comico del blitz, degli elicotteri, dei cento uomini in tenuta antisommossa capitanati da un generalone, il comandante dei Ros. Ne conseguì la lunghissima, assurda, detenzione in isolamento di Michele Fabiani.

“Micropolis”, diede vita, nel suo piccolo, a una campagna, una volta tanto vittoriosa, per la non riconferma della ex presidente Lorenzetti, motivandola tra l’altro con il suo comportamento nella vicenda. A me è capitato di scrivere sull’argomento anche nel blog dove colloco e rendo note le mie personali riflessioni, ma le do qui per scontate. Ora il Ganzer è stato non solo indagato ed accusato, ma condannato in primo grado per traffico di droga, a ben 14 anni di carcere. A differenza di Michele non ha fatto un solo giorno di galera e, con l’andazzo che c’è, probabilmente non lo farà mai.

L’Arma però (i suoi capi, s’intende) ha confermato la fiducia al generale; i ministri competenti, Maroni e La Russa, pure. Ci sarebbe da ingaggiare una battaglia generale di garanzia (non di giustizialismo): una norma che obblighi a sospendere dagli incarichi operativi (garantisticamente, senza allontanamenti e senza degradazioni fino a condanna definitiva) tutti gli alti funzionari militari e civili coinvolti in gravi accuse giudiziarie, almeno dal momento del rinvio a giudizio, perché i cittadini siano tranquilli. E invece, per quel che ne so, l’opposizione parlamentare non ha presentato neppure un’interpellanza sul caso Ganzer. E anche se lo ha fatto, non ha dato alla cosa una pubblicità sufficiente.

Perché? Le risposte possono essere tante.

Prima: la battaglia contro Ganzer non ha un rilievo immediato nella politica politicante antiberlusconiana. Seconda: Ganzer è un gran carabiniere ed ha la solidarietà dell’Arma, perciò è meglio lasciarlo stare visto che spesso sono proprio i carabinieri quelli che arrestano i politici. Terza, riferita alla sola Idv: Di Pietro ne è il capo assoluto e Di Pietro è Di Pietro.

Le altre ragioni le lascio intuire. Ma ce n’è una che le compendia: quel che, forse impropriamente, chiamiamo sinistra o centrosinistra è in pieno sbandamento ed ha profondamente subito l’egemonia e la pressione del berlusconismo anche sui temi della giustizia. Una sua parte è addirittura passata al nemico. Si può certo polemizzare con le sue omissioni sul caso Ganzer, ma non si tratta di un episodio isolato. Sul tema della giustizia c’è tanto da ripensare e tanto da lottare.

Nessun commento:

statistiche