1.12.11

Sul pensiero filosofico di Mao Tsetung (di Ludovico Geymonat)

Carmela Lo Presti, all’epoca mia giovanissima moglie, si laureò in Filosofia, relatore il professore Noto, di Monreale, incaricato di Filosofia della Scienza, con un lavoro su Conoscenza e scienza in Mao Tse Tung nel febbraio del 1972. Dopo la nostra separazione, per tante ragioni dolorosa, non m’è rimasta copia del suo bel prodotto; credo che ne avesse una sola. Ma ricordo perfettamente, anche perché ho sotto gli occhi la sua inconfondibile sottolineatura, che un giudizio di Ludovico Geymonat, di cui l’altro ieri è ricorso il ventennale della morte, accompagnò la sua ricerca come ipotesi di lavoro: quello che qui sotto riproduco. Mi pare che lo studioso italiano perfettamente colga quanto erronee fossero le letture soggettivistiche e volontaristiche del pensiero di Mao. Colloco qui il brano di Geymonat, tratto da una nota d’intervento a Padova e pubblicato nei primi mesi del 1971 nel numero 8-9 della rivista Che fare di Francesco Leonetti, anche come invito a rileggere Sulla pratica, l’aureo libretto del rivoluzionario cinese dedicato alla teoria della conoscenza. (S.L.L.)
Chiunque ricorda il legame tra idealismo attualistico e fascismo, può rendersi facilmente conto dei pericoli insiti in ogni forma di filosofia che richiami (anche senza dichiararlo) le tesi gentiliane. Orbene, mi sembra che gli scritti di Mao Tsetung ci forniscano degli utili strumenti per combattere questo pericolo. Ecco un brano ricavato dal saggio Sulla pratica: “Se l’uomo vuole riuscire nel lavoro, cioè arrivare ai risultati previsti, deve conformare le sue idee alle leggi del mondo oggettivo esterno; nel caso contrario fallirà”.
Qui è esaltata la funzione spettante alla pratica nel processo conoscitivo, ma non a detrimento dell’oggettività della natura, non per concludere che “la realtà è un prodotto degli uomini” o che è “trasformabile” solo perché è “soggettiva anch’essa”.
Secondo Mao Tsetung il mondo esterno esiste oggettivamente e noi possiamo trasformarlo solo in quanto le nostre idee si conformano alle sue leggi. Il successo delle nostre azioni è garantito da ciò e soltanto da ciò: se esse falliscono è la prova che le nostre idee vanno corrette. “Se (l’uomo) fallisce – prosegue il saggio di Mao – ne trarrà insegnamento, correggerà le sue idee e le conformerà alle leggi del mondo esterno, trasformando così la sconfitta in vittoria”.
Chiunque sia un po’ pratico di scienza non avrà difficoltà a comprendere che la concezione delineata dalle parole testé citate riflette fedelmente il metodo applicato dagli scienziati più seri nell’elaborazione e correzione delle loro idee (cioè delle loro teorie). Ciò dimostra che il pensiero di Mao non nega affatto – come taluni parrebbero ritenere – il grande valore della ricerca scientifica diretta a conoscere le leggi del mondo oggettivo, ma riesce ad inquadrarla magistralmente nel materialismo dialettico. Chi invece pensa di utilizzare l’importanza giustamente riconosciuta alla pratica, per ridurre tutta la realtà a un prodotto degli uomini, non è un materialista dialettico ma un autentico idealista.

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