5.8.13

Lyman Frank Baum e il suo “amico” Maud Gage (F.L.)


Lyman Frank Baum

Maud Gage Baum e i suoi quattro figli
Una vita lungo la strada di mattoni gialli
Osservata da vicino, la vita d Lyman Frank Baum, nato nel 1856 a Chittenango, New York, da un'agiata famiglia borghese, è in qualche modo lo specchio e l'anticipazione della sua opera letteraria, condensata nel lungo ciclo del «Mago di Oz». Ragazzo affascinante e cagionevole di salute, anche lui, come Dorothy Gale, affrontò baldanzosamente il lungo cammino verso l'avventura, percorrendo simbolicamente la strada di mattoni gialli che è una delle più felici invenzioni del Regno di Oz: fu via via giornalista, attore, proprietario e gestore di un bazar in una cittadina di frontiera, editore del «The Aberdeen Saturday Pioneer», reporter del «Chicago Evening Post», membro della Theosophical Society, seguace dei populisti di William Lunnigs Bryan, venditore di porcellane (e di porcellana è fatto un angolo del Regno di Oz, il Paese dei Gingillini), appassionato allevatore di polli (nel 1886 pubblicò addirittura un giornale intitolato «The Poultry Record», e uno dei personaggi più riusciti di «Oz» è Billina, la gallina parlante amica di Dorothy), scrittore d'immenso successo, produttore cinematografico. La sua più grande fortuna fu, forse, quella di aver sposato una ragazza eccezionale, Maud Gage, figlia di una suffraggetta nota in tutta la nazione, Matilda Joslyn Gage e a sua volta femminista «radicale». Insieme allevarono quattro figli, vissero in una cittadina del Dakota e nella più grande città industriale d'America, e finalmente si trasferirono a Hollywood, in un villino chiamato Ozcot. E insieme godettero del benessere finalmente raggiunto grazie all'immediato successo del «Mago di Oz», pubblicato nel 1900 e illustrato magistralmente dal grande William Denslow. È certamente a Maud Gage che si ispira il personaggio di Dorothy Gale, e a Maud, il suo «migliore amico», lo scrittore rivolse le sue ultime parole, nel 1919: «Now we can cross the Shifting Sands», una frase che rimandava ancora una volta al Regno di Oz, l'unico luogo dove Baum, in fondo, si era sempre sentito a casa.

“il manifesto”, 19 febbraio 2000

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