13.11.17

Revisionismi. Budapest rivista e corretta: Dio, patria, famiglia (Martina Napolitano)

Budapest - Monumento a Horthy
Budapest
Vie e piazze cambiano nome, nuove statue celebrano la versione statale della storia magiara, i monumenti del periodo comunista vengono relegati in un parco in periferia. Negli ultimi anni la rivoluzione (o restaurazione, a seconda dei punti di vista) urbanistica e toponomastica di Budapest, avviata dal premier Viktor Orbán nel 2011, ha subito un’accelerazione. Il prossimo tassello potrebbe essere, dopo le elezioni politiche del 2018, il trasferimento della sede del governo nel castello di Buda (antica sede dei re ungheresi e poi, durante le due guerre, dell’ammiraglio Miklós Horthy), più volte annunciato e mai attuato.
«Gli ungheresi sono completamente indifferenti verso la loro memoria storica. Così la strada è spianata per chi vuole alterare il passato», esordisce il professor Gábor Egry, dell’Istituto di Storia Politica. Si è offerto di guidarci attraverso la Budapest che cambia, raccontandoci come il governo Orbán sta lavorando alacremente per modificare, e all’occorrenza inventare ex novo, interi segmenti della memoria storica ungherese.

Cancellati con un tratto di penna
Già subito dopo la caduta del regime comunista, molte strade e piazze vennero rinominate. Orbán ha però fatto di più, approvando una legge che vieta di intitolare luoghi pubblici a figure connesse in qualsiasi modo al passato comunista. Questo periodo è oggi colpito da damnatio memoriae, non tanto per i suoi connotati ideologici, quanto per l’intenzione dell’attuale classe dirigente di rinazionalizzare la storia dell’Ungheria, eliminando tutto ciò che non sia pienamente magiaro. Oltre alla rimozione dell’eredità socialista, questa strategia prevede la glorificazione del regime di Miklós Horthy, controverso reggente del Paese tra le due guerre mondiali. Nel nuovo manuale di storia di Orbán l’intera epoca socialista (1948-1989) viene messa tra parentesi, per stabilire una continuità tra il governo attuale e quello ultra-conservatore di Horthy (1920-1944), l’ultima “Ungheria indipendente”. Se un tempo erano i sovietici a reprimere il popolo ungherese, oggi è Bruxelles a incarnare l’oppressore straniero.

Piazza Kossuth
«Questa è la piazza principale della nazione», spiega Gábor, «un luogo simbolico su cui oggi si cerca di imperniare la nuova narrazione della nostra Storia». Dalla facciata del Parlamento, accanto alla bandiera ungherese, sventola quella gialla e azzurra dei secleri, la minoranza magiara che vive nella Transilvania romena. Dopo la Prima Guerra Mondiale, con il trattato del Trianon del 1920, l’Ungheria perse due terzi dei territori, lasciando cospicue minoranze in Slovacchia, Jugoslavia, Ucraina e Romania. Con Orbán, la retorica irredentista è tornata a tuonare. Se in passato i secleri che arrivavano in città, traditi dal loro accento transilvano, venivano additati in maniera dispregiativa, nella nuova vulgata governativa incarnano «l’Ungheria etnica più originale, più autentica». Dal 2011, inoltre, il governo ha semplificato l’iter di ottenimento della cittadinanza per queste minoranze all’estero, una manovra propagandistica che ha garantito a Orbán un comodo bacino elettorale.
La piazza del Parlamento è dedicata a Lajos Kossuth, emblema della rivoluzione anti-asburgica del 1848 e dell’Ungheria moderna, tra gli eroi nazionali più celebrati dalla popolazione magiara. Meno celebrato è invece il leader della rivoluzione anti-sovietica del 1956: Imre Nagy. La sua statua è relegata in un angolo a sud-est rispetto al Parlamento, edificio che Nagy osserva da lontano, mentre attraversa un ponte. Ha la posa malinconica del vinto che, nell’atto di allontanarsi simbolicamente dal comunismo, si volta a guardare per l’ultima volta la piazza che il 4 novembre 1956 fu teatro della violenta repressione sovietica. «Oggi la rivolta del ’56 è dipinta come un’insurrezione nazionalista. Nagy, comunista riformatore, è visto con indifferenza, di sicuro non come un eroe», sottolinea Gábor.

Dietro al Parlamento
Nagy non è l’unico personaggio escluso dai riflettori della piazza del Parlamento. Il busto di István Bibó, «padre fondatore dell’opposizione democratica ungherese», è ancora più nascosto, dietro al Parlamento. Un turista scatta una foto panoramica del Danubio, dando le spalle alla statua di Bibó, il politico che fu il primo ad ammettere le responsabilità ungheresi nell’Olocausto nel 1948 e l’ultimo ad abbandonare il Parlamento assediato dai carri armati sovietici nel 1956. «Negli anni Settanta, attorno alla sua figura si formò la nuova generazione anti-comunista», spiega Gábor. Nella narrazione revisionista di Orbán un comunista come lui, per quanto critico e tormentato, non può avere troppo spazio.
Budapest. La statua di Ronald Reagan dietro Orbán e Condoliza Rice
Piazza della Libertà
A due passi dal Parlamento, in questa piazza svetta l’ultimo relitto del passato comunista in città. Tutti gli altri giacciono da vent’anni al Memento Park, un surreale parco a tema post-sovietico alla periferia di Budapest. È un obelisco che celebra i liberatori sovietici. «Il governo non può rimuoverlo senza il consenso di Mosca. Allora nel 2011 dietro hanno aggiunto quello», dice la nostra guida, indicando una statua di Ronald Reagan. Il capitalismo che avanza fiero alle spalle del socialismo.
Dall’altro lato della piazza sorge l’elemento più controverso: il Monumento alle vittime dell’Occupazione Tedesca. Svelato una notte nell’estate del 2014 senza alcuna cerimonia ufficiale, è «un contro-monumento all’Olocausto». Raffigura un’innocente Ungheria, personificata dall’arcangelo Gabriele, attaccata da un’aquila nera nazista. Sul ruolo che i collaborazionisti ungheresi giocarono nelle persecuzioni antisemite va mantenuta una cappa di silenzio, per non infangare la memoria del regime autoritario. Nemmeno nella sinagoga di Budapest, la più grande in Europa e la seconda al mondo, compare una menzione all’antisemitismo di Horthy e sodali.

Il monumento a Horthy
Non lontano, infine, all’entrata di una chiesa protestante, si trova un busto dedicato proprio a Miklós Horthy. «Non otendo essere eretto su suolo pubblico, è stato posizionato sul suolo della chiesa, ma affacciata in strada, così che tutti la vedano. E che lui veda tutti», conclude Gábor. La statua dell’ammiraglio, corresponsabile della morte di mezzo milione di ebrei, squadra solenne i passanti. Sembra avere uno sguardo beffardo, quello di chi non si aspettava una riabilitazione postuma così imponente. Horthy è il simbolo perfetto dell’aggressivo revisionismo del potere magiaro, che stravolge Budapest nel nome della nuova ideologia nazionale. Forse non così nuova.

Pagina 99, 20 ottobre 2017

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