6.3.11

Indignazione e solidarietà per la rifondazione della sinistra.

Partendo da due libri francesi recenti, di recente tradotti in Italia, Gianni Vattimo, su “Tuttolibri” del 26 febbraio, espone l’idea che la “rifondazione” della sinistra debba partire dai sentimenti, dalle passioni semplici, in primo luogo dalla capacità di indignarsi e dalla spinta alla solidarietà.
Credo che non si sbagli se leninisticamente pensa (come mostra di pensare) alle avanguardie colte e non sbaglia di certo quando aggiunge che l’iniezione di sentimento è condizione necessaria di una buona sinistra, ma non certo sufficiente.
A me una questione ineludibile pare quella del “soggetto”. “Il riscatto del lavoro dei suoi figli opra sarà” – canta l’inno di Turati; come a dire che il riscatto dallo sfruttamento non può venire agli sfruttati da un impulso esterno, sempre velato da un’ombra di paternalismo, ma da una loro presa di coscienza. Lenin, negli inizi protonovecenteschi del movimento operaio russo, affidava agli intellettuali socialdemocratici il compito maieutico di sollecitare con la loro azione la presa di coscienza delle larghe masse proletarie e la maturazione di avanguardie interne; ma anche molti capi del riformismo socialista italiano e tedesco concepivano la loro funzione come evangelizzazione di una classe operaia che, dopo, non avrebbe più avuto bisogno di loro. Io continuo a pensare che sia il lavoro il soggetto della trasformazione, di un processo di liberazione che riguarda tutti. Si tratta di comprendere come possano delle avanguardie intellettuali che facciano una scelta rivoluzionaria contribuire a ripoliticizzare un mondo del lavoro scompaginato, dopo che l’epocale sconfitta del progetto comunista novecentesco, prodotta della degenerazione staliniana, ha creato le condizioni per uno strapotere del capitale. Ecco, comunque, qui postato un ampio stralcio dell’articolo di Vattimo. Indigniamoci e solidarizziamo pertanto, è un buon punto di partenza, ma ricordiamoci che il "che fare" non può ridursi a questo  (S.L.L.)


Per la politica una iniezione di sentimento
Dalla Francia, “Indignatevi!” di Hessel (600 mila copie) e “La mia sinistra” di Morin: due «grandi vecchi» rilanciano passioni «semplici», non sufficienti ma necessarie per cambiare il presente.

E' come se fossimo tornati a una condizione originaria. Viene in mente l'aforisma con cui Nietzsche apre il primo volume di Umano troppo umano, evocando i primi passi della filosofia. L'imprevisto successo di un libretto come Indignatevi! di Stéphane Hessel - che esce ora in Italia (Add editore, pp. 61) dopo aver venduto oltre 600 mila copie in Francia - sembra da interpretare proprio nel senso dell'aforisma nietzschiano, anche se l'analogia è molto parziale. La situazione politica nella quale ci troviamo - noi paesi del mondo industrializzato europeo - appare proprio come una sorta di livello zero, dove si può solo cercare di ricominciare dal principio. Anzi, dai principi, e nel caso della politica, dalla capacità di indignarsi, di riconoscere l'insopportabilità della situazione ponendosi il problema, nudo e crudo, di come rovesciarla.
In Italia in questi tempi si parla sempre più spesso di Cln (Comitato di Liberazione Nazionale: purtroppo va spiegato ai più giovani), ma il libro di Hessel viene dalla Francia di Sarkozy, dove la situazione politica non è del tutto uguale a quella che viviamo noi. Anche lì, l'indignazione che siamo invitati e recuperare è quella da cui era nata la guerra antifascista a cui allude la sigla del Cln. Hessel (oggi novantatreenne) è stato infatti uno degli esponenti del movimento che prese le armi sotto il comando di De Gaulle per liberare la Francia dall'occupazione nazista. Negli anni successivi alla sconfitta di Hitler partecipò al lavoro per la redazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, che è come l'atto fondativo delle Nazioni Unite (1948). Già nel 2004 Hessel era stato uno degli autori dell'Appello dei Resistenti alle Nuove Generazioni, presentato solennemente a Parigi l'8 marzo, non a caso, crediamo, alla Maison de l'Amérique Latine. Molti dei temi di quell'appello si leggono ora nel libretto che ha suscitato tanta attenzione, un successo per molti aspetti sorprendente.
Un po' come se in Italia balzasse in testa a tutte le classifiche un pamphlet di Tina Anselmi edito dall'Anpi. Non immaginate già il coro di cachinni da cui sarebbe accolto nei giornali e nelle televisioni (solo?) della destra? Ci si ripeterebbe che bisogna guardare avanti, la modernizzazione esige ben altro che queste prediche sui valori della Resistenza, con le ricette semplicistiche che le accompagnano. Sono effettivamente ricette semplici, quelle che avevano elaborato i resistenti negli anni della guerra, e che ora leggiamo nelle prime pagine del libretto di Hessel: «Un progetto completo di Sécurité sociale, volto ad assicurare mezzi di sostentamento a tutti i cittadini, qualora fossero inabili a procurarseli con il lavoro; una pensione che consenta ai lavoratori anziani di avere una vecchiaia dignitosa... Le fonti di energia, l'elettricità, il gas, le miniere di carbone, le grandi banche vengono statalizzate... (Si vuole) il ritorno alla nazione dei grandi mezzi di produzione... l'insediamento di una vera e propria democrazia economica e sociale... L'interesse generale deve prevalere sull'interesse particolare, l'equa distribuzione delle ricchezze prodotte dal mondo del lavoro deve prevalere sul potere del denaro...».
Sappiamo tutti, o crediamo di sapere, che molti di questi punti programmatici hanno dato pessima prova di sé; non solo è caduto il comunismo reale sovietico, anche il socialismo se la passa piuttosto male. Ecco, ritrovare l'indignazione dei Resistenti di settant'anni fa potrebbe essere il primo passo verso il superamento della pigrizia che ci chiude dentro il cerchio dell'ovvio, impedendoci anche di vedere che la recente crisi da cui stiamo cercando di uscire non è stata propriamente una conseguenza dell'applicazione del programma della Resistenza...
Un altro «grande vecchio» resistente, Edgar Morin - ben più noto di Hessel e ben presente nel dibattito intellettuale e filosofico dei nostri anni - sembra arrivare a conclusioni molto simili. Nel libro La mia sinistra (Erickson, pp. 252, e18,50, a cura di Riccardo Mazzeo) che raccoglie i suoi interventi politici (con molti inediti) degli ultimi due decenni, il filosofo della complessità fa una specie di bilancio degli insuccessi della sinistra; che secondo lui, ha contato troppo sulla realizzazione di meccanismi economici e statali concepiti come più giusti (più conformi agli ideali del 1789), ma ha lasciato molto spesso da parte il sentimento vissuto della solidarietà, che ancora oggi, calcola Morin, coinvolge al di là di ogni considerazione di interessi parziali, almeno un dieci-quindici per cento dei cittadini del nostro mondo.
Sia pure con molti più dettagli e suggerimenti specifici (molti legati alla nuova attualità del problema ecologico, a cui Morin è giustamente attento) la «sua» sinistra, come quella di Hessel, mostra di aver bisogno non tanto di calcoli su maggioranze elettorali, ma anzitutto di una iniezione di «sentimento»: lo spirito di solidarietà non è poi molto diverso dalla capacità di indignarsi. Anche per Walter Benjamin, del resto, i rivoluzionari, quella minoranza attiva ancora capace di indignarsi, passano all'azione pensando «agli avi asserviti» molto più che «all'ideale dei liberi nipoti». E infine: se non ora, quando?
Gianni Vattimo

Da "Tuttolibri", supplemento culturale de "La Stampa", 26 febbraio 2011 

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