5.7.13

Che cos'è il comunismo (Mario Alighiero Manacorda)

Su “Cuore” che fu per qualche anno il supplemento umoristico-grafico-letterario de “l’Unità” nel 1990 apparve una serie di articoletti sull’idea che Occhetto mandava a morire “senza dare un saluto”, cancellando l’aggettivo “comunista” dal nome del partito che pretendeva di ricostituire (“sciogli e coagula” – era il suo motto). Tra gli articoletti della serie Che cos’è il comunismo ho conservato questo di Manacorda, pedagogista, studioso di Gramsci, che dopo quel patatrac rimase un “comunista senza partito”, ma continuò battaglie intransigenti per la scuola e per l’uguaglianza. (S.L.L.)
Mario Alighiero Manacorda
Ritorno al giovane Marx dell’Ideologia tedesca già citata, sui primi numeri di “Cuore”, da Sanguineti. Marx distingueva la condizione unilaterale dell'uomo nella «divisione del lavoro» (leggi: società capitalistica), in cui «ciascuno è cacciatore o pescatore o pastore o crìtico, e tale deve restare», dalla sua condizione universale nella ipotetica società comunista, «in cui ciascuno può fare oggi questa cosa, domani quell'altra, senza diventare né cacciatore né pescatore né pastore né critico».
Segnalo la straordinaria e curiosa coincidenza di queste frasi di Marx con quelle di un prete altoatesino, Antonio Sepp, attivo nelle colonie «comunistiche» dei gesuiti nel Paraguay. Nel suo Jardin de flores paracuario, scritto nel 1714 e rimasto inedito fino al 1974, egli scriveva: «Mentre in Germania uno scultore non è niente più che uno scultore, l'argentiere solo argentiere, il campanaio non fa altro che fonder campane, l'orologiaio si occupa unicamente di orologi eccetera, qui è tutto il rovescio. Il paraguaiano riunisce in sé tutte queste nobili arti nella sua testa e nelle sue mani». E continua, che pare proprio Marx: «Il calzolaio di oggi sarà domani sarto; quello che oggi fonde campane, sarà, il prossimo giorno di festa, direttore d'orchestra». Il gesuita settecentesco come Marx. Bello, vero?
Ma dov'è l'interèsse della coincidenza tra il gesuita settecentesco e Marx? Mi sembra che stia anzitutto nel fatto che per il gesuita la versatilità originaria non è soltanto una cosa immaginata, come in Marx, ma un dato reale e verificato. E allora, se un'ipotesi fantastorica si dimostra realtà nel passato, ne deriva una diversa consistenza anche per l'ipotesi utopica della onnilateralità nel futuro. Non è un caso, del resto, che Marx parlasse di una «ripresa» di una capacità naturale. Ma tra Marx e il gesuita c'è anche una differenza non da poco. Il gesuita non scorgeva nessuna possibile onnilateralità nel futuro degli uomini: anzi, faceva di tutto perché l'indio, pur così dotato da natura, non acquistasse alcuna dimensione storica grazie a una cultura generale e disinteressata. Marx la prospettava invece per tutti gli uomini. Forse mai come da questo confronto acquistano rilievo l'idea settecentesca del «buon selvaggio» e quella ottocentesca dell'uomo universale del futuro, che ha a che fare col comunismo.
E allora? Che cos'è il comunismo? Be', è anche la riflessione e l'azione sul destino dell'uomo, cioè sul suo passaggio dall’originaria disponibilità, attraverso l'attuale unilateralità, all'onnilateralità possibile. Oggi, dopo tanto sviluppo culturale e tecnologico, con le sue tremende contraddizioni per l'individuo e il pianeta, questi aspetti si presentano come il pensiero (e l'azione) sul comunismo.

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