6.7.13

La morte di Alfonso Leonetti (Aldo Natoli)


Scompare con Alfonso Leonetti, morto l' altra notte in una clinica romana, uno degli ultimi superstiti del gruppo dell' "Ordine nuovo", amico e collaboratore di Gramsci, cofondatore del partito comunista nel 1921. Era venuto a Torino dal profondo Sud, da "Andria contadina", nel 1918, prima che tutta l'impostazione della questione meridionale fosse rivoluzionata dalla stesso Gramsci. Presso il quale Leonetti fece il suo apprendistato nelle lotte della classe operaia nella Torino dell'immediato dopoguerra e nella redazione del settimanale dei consigli di fabbrica, L' Ordine nuovo, fu partecipe di quella passione civile e dei nuovi miti della lotta di emancipazione.
Sarà il primo ad aderire nel gennaio 1924 all'appello di Gramsci che, spinto dall'Internazionale comunista, sta intraprendendo il difficile compito di risollevare il partito dalla paralisi che l'ha colpito dopo la vittoria del fascismo e sotto la direzione "settaria" di Bordiga. Nel suo distacco da quest'ultimo, decisiva fu la sua lealtà verso l'Internazionale in un'epoca in cui questa non era stata ancora profondamente inquinata dallo stalinismo.
Non meno viva era però in Leonetti la diffidenza verso la "destra" del partito, impersonata soprattutto da Angelo Tasca, ma nella quale non tarderà a includere lo stesso Togliatti.
Nella vicenda che porterà alla sua espulsione dal partito nel 1930, convergono incertezze e contraddizioni politiche che, a quel tempo, non avevano ancora assunto una fisionomia totalmente decifrabile. Al fondo c' era certamente la nascita dello stalinismo che Gramsci aveva preannunziato nella sua lettera dell' ottobre 1926 e che proprio Togliatti aveva respinto dal Centro dell' Internazionale. Fra il 1928 e il 1929, la stalinizzazione del Centro dell' IC e dei partiti ad essa aderenti procede a tutto vapore. Togliatti fu costretto a capitolare, e ciò significò l'abbandono della politica elaborata insieme a Gramsci e approvata al Congresso di Lione e, insieme, l'assunzione della linea "classe contro classe" che, nel caso italiano, prevedeva l'evoluzione a tempi ravvicinati di una soluzione rivoluzionaria nel paese.
Questa linea nel Pc era sostenuta particolarmente da Longo, ma di essa si fece sostenitore anche Togliatti, che in Longo aveva trovato l'appoggio per conservare una direzione ligia all'IC. Leonetti, e con lui Ravazzoli e Tresso ("i tre") non ritennero credibile una linea politica avventuristica promossa da un Togliatti che essi consideravano "di destra" per i rapporti che fino a poco prima aveva mantenuto con Tasca. Nel frattempo avevano anche allacciato contatti con gruppi trozkisti. Nel clima della polemica più aspra, furono espulsi dal Pc: una delle decisioni più infauste nella storia del partito e apertamente deplorata da Terracini, che già si trovava in carcere. Rimasto isolato in Francia, Leonetti strinse vieppiù i suoi rapporti con gruppi trozkisti e con lo stesso Trozkji. Per qualche anno pubblicò un Bollettino dell' Opposizione del partito comunista italiano, che rimane come documento eloquente della ferocia delle lacerazioni che tormentarono in quegli anni il movimento comunista nella fase precedente la vittoria hitleriana in Germania. Nel suo avvicinamento a Trozkji Leonetti era spinto dalla ricerca di una via di salvezza per l'internazionalismo messo in crisi dalla politica staliniana, nonché dalla statura intellettuale e politica di un rivoluzionario come appunto era Trozkji, divenuto il simbolo della lotta antistaliniana. Si adoperò così per la costituzione della IV Internazionale; e lo farà ancora molto più tardi, in tempi ormai decisamente non propizi per tale resurrezione.
Con la vittoria di Hitler in Germania, dopo la svolta del Fronte popolare e lo scoppio della guerra civile in Spagna, Leonetti, pur senza rinunciare al proprio internazionalismo, si differenziò dalle posizioni di Trozkji e fece propria la linea della lotta contro il fascismo e la guerra. Accolto nel 1944 nel partito comunista francese, solo nel 1962 farà ritorno nel Pci, dove manterrà con grande dignità una posizione relativamente isolata, di combattente sempre aperto alla discussione di errori, ma che non abiurerà a nessuna idea. Porterà con sé fino alla morte le sue inquietudini e i suoi assilli, l' immagine di un rivoluzionario irriducibile, rimasto fedele all'universalità della classe operaia, alla democrazia proletaria, ai miti più generosi che hanno attraversato questo secolo.
La sua fermezza nei princìpi e la sua straordinaria indipendenza di pensiero sono ben illuminate da uno scambio di lettere fra lui e Giorgio Amendola al principio del 1976. Ne fu occasione il riacutizzarsi del dolore di vecchie ferite, solo in parte cicatrizzate; riacutizzarsi provocato da un articolo di Amendola a proposito della "svolta" del 1930, quella appunto che si era conclusa con l' espulsione di Leonetti dal partito. Leonetti non è d' accordo sulla ricostruzione (invero assai sommaria e apologetica) che ne ha fatto Amendola, anche a spese di Terracini. Non solo contesta particolari distorti che lo riguardano personalmente, ma mette in discussione tutte le motivazioni politiche di quell'evento disgraziato e chiama in causa, come principale responsabile, Stalin e lo stalinismo (con tutta ragione, secondo il mio punto di vista). Nella sua lettera spira una passione sincera, placata dagli anni trascorsi ma intatta nella sua lucidità: "Non si può capire niente del lungo, tragico periodo da cui è uscito lo stalinismo, se non si comprende l' abbandono della linea internazionale del socialismo... La "svolta" del '30 non fu un semplice fatto organizzativo italiano; essa si inserisce nel "terzo periodo" di errori dell' Internazionale comunista"...
Ma l'invito di Leonetti a "liberarsi dai luoghi comuni e dai facili slogans" non viene accolto da Amendola. La sua replica, quarantasei anni dopo, sembra ancora impregnata degli umori spietati di quel tempo lontano: "La storia è andata nel senso voluto da Stalin, ed in Italia da Togliatti e da Longo. Voi foste sconfitti allora e siete rimasti sconfitti". Questo il linguaggio di Amendola nei confronti di un compagno come Leonetti, vent'anni dopo la denuncia dei delitti di Stalin... Stanco ed amareggiato, Leonetti ammonirà Amendola a non dimenticarsi della destalinizzazione, necessaria "per ritrovare la via giusta al socialismo". Nella sua solitudine, lui quella ricerca non l'aveva mai abbandonata. Nelle più aspre vicissitudini si era mantenuto sempre pulito ed ottimista. Per decenni fu un comunista senza partito; e quando ebbe recuperato un posto da emarginato nel partito che aveva contribuito a far nascere e a far vivere nei tempi più difficili, rimase un comunista "senza apparato", estraneo alla logica e alle leggi della burocrazia. Adesso riposa accanto alla sua amatissima Pia Carena, che fu il suo angelo custode dalle stanze dell'Ordine nuovo fino agli ultimi anni.

“la Repubblica”,  27 dicembre 1984

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