30.8.13

"Brava gente", Il sig. Sosio e la memoria condivisa (Chiara Ottaviano)

Il ventitreesimo numero della rivista “Zapruder – Storie in movimento”, di settembre-dicembre 2010, aveva come titolo Brava gente. Memoria e rappresentazioni del colonialismo italiano. C’era una allusione, evidente nel mondo storiografico, a un libro importante, Italiani brava gente?, di Angelo Del Boca, sintesi di molti studi particolare, narrazione documentata e argomentata dei crimini del colonialismo italiano, denuncia delle rimozioni, confutazione delle interessate “narrazioni” di un imperialismo “buono”, oltre che straccione.
Tra gli articoli del numero ve n’è uno di Chiara Ottaviano, Riprese coloniali. I documentari Luce e la «Settimana Incom», che vorrebbe contribuire a capire come quelle narrazioni siano state costruite, per poi essere tramandate e consolidate da una generazione all’altra, anche attraverso cinegiornali e documentari proiettati al cinema sia durante il fascismo che nell’immediato dopoguerra.
Riprendo qui l’introduzione che mi pare ottimamente sintetizzi il carattere falso e autoassolutorio che caratterizza la memoria italiana del passato coloniale, una memoria al contrario di tante altre “condivisa” e negativamente efficace. (S.L.L.)

Quando nel giugno 2009 Gheddafi scese dalla scaletta dell’aereo che lo aveva portato a Ciampino per la prima visita ufficiale in Italia, dopo gli accordi dell’agosto e poi dell’ottobre 2008, l’attenzione di fotografi e teleoperatori fu attratta da una fotografia vistosamente appuntata sull’improbabile divisa del leader libico. In quell’occasione la stragrande maggioranza degli italiani sentì per la prima volta pronunziare il nome dell’eroe libico della guerriglia anti-italiana Omar al Mukhtar.
Nel corso della visita, poi, Silvio Berlusconi, a nome del popolo italiano, ebbe modo di ripetere le scuse per l’occupazione coloniale della Cirenaica e della Tripolitania, riconoscendo le «ferite profonde inferte» al popolo libico. Si spiegò allora che i termini dell’accordo economico (200 milioni di dollari all’anno per i successivi 25 anni sotto forma di investimenti in progetti infrastrutturali in Libia) erano motivati dal desiderio di porre fine a 40 anni di malintesi: «un riconoscimento completo e morale dei danni inflitti alla Libia da parte dell’Italia durante il periodo coloniale». Si è, dunque, trattato di una, sia pur tardiva, ufficiale ammissione da parte dell’Italia dei gravi torti inflitti alle popolazioni africane delle nostre ex colonie, e in particolare di quelle del territorio dell’attuale Libia.
Quale seguito hanno avuto quegli atti ufficiali nella più vasta opinione pubblica? Si è assistito, forse, all’inizio di un qualche processo capace di fare sperare nella crescita di una maggiore consapevolezza del nostro passato, da cui un nuovo senso comune storiografico più aderente alla verità storica di quanto non lo fosse il precedente, dominato dall’idea del “colonialismo buono” ad opera degli italiani “brava gente”?
Niente affatto, almeno per il momento. Infatti, leggendo sia molte cronache giornalistiche sia i numerosi commenti dei lettori consultabili sui siti internet dei principali quotidiani, quelle “scuse” sono state di norma interpretate come l’ennesima mossa a sorpresa dello scaltro premier italiano alla ricerca di vantaggi (anche personali) e, in molti casi, hanno suscitato indignazione e sentimenti di incredulità. Pochi i commenti dei lettori che, in risposta all’indignazione altrui, hanno ricordato le malefatte italiane ricorrendo all’autorità degli storici e facendo soprattutto riferimento all’opera di Angelo Del Boca.
In altre parole, quelle scuse sono state considerate dalla maggioranza degli intervenuti come discutibili affermazioni di comodo e non, piuttosto, come scomode verità con cui fare i conti. Neanche il carisma del leader Berlusconi sul suo più fedele elettorato (tale si presume, per esempio, quello costituito dai lettori de «il Giornale») sembra essere riuscito a scalfire le precedenti solide certezze secondo cui gli italiani in Africa sono stati protagonisti di una sorta di “colonialismo buono”, implicando tale aggettivo non tanto l’idea che gli italiani abbiano esercitato una qualche virtù positiva quanto piuttosto l’opinione che non abbiano saputo cogliere, al pari di altre potenze coloniali, le giuste opportunità per arricchire il paese Italia sfruttando adeguatamente le risorse dei paesi conquistati. Gli italiani, “buoni” in questo caso nell’accezione di fessi, avrebbero in quelle lontane terre costruito strade e acquedotti, dissodato e coltivato terre, costruito piazze e case, portando così la civiltà, senza ricevere in cambio né vantaggi durevoli né gratitudine da parte delle popolazioni locali.
A titolo esemplificativo, riporto il commento di un lettore pubblicato sul sito de «il Giornale» dopo la firma dell’accordo a Bengasi il 30 agosto 2008.
Pagliaroli Sosio, il 31 agosto 2008 alle ore 9:08 scrive: Sono nato nell’immediato dopoguerra, ma da quello che ho appreso dalla scuola, dalla storia, dalle mie letture, da mio padre e dai vecchi del paese; pare che gli italiani, in quella colonizzazione hanno fatto del bene e basta. Poi quelli che erano rimasti e si erano installati lì a continuare a far progredire i beduini; Gheddafi, dopo di averli depredati di tutti i loro averi, li ha rispediti in Italia sottoforma di profughi. Ora dobbiamo noi risarcire loro?.- Mi sa tanto che il senso degli affari del presidente questa volta abbia proprio toppato.
Il sig. Sosio indica una certa varietà di fonti, tutte convergenti, all’origine delle sue certezze: la scuola, i libri letti, i racconti di famiglia e quelli ascoltati da altri anziani nel paese. Dal suo punto di vista, sono state perfettamente coincidenti sia le versioni dei racconti tramandati oralmente, in ambito familiare e locale, sia quella della cosiddetta storia ufficiale, appresa sui banchi della scuola e attraverso qualche lettura. Ritengo sia del tutto secondario fare rilevare che forse quelle letture sono state rare o solo millantate (visti i problemi di grammatica, punteggiatura e sintassi mostrati nella scrittura). Ciò che è significativo è la presunta conoscenza di quello specifico periodo della storia italiana, data per scontata.
La lettera del sig. Sosio, che ben esemplifica il pensiero della stragrande maggioranza degli intervenuti sul sito del quotidiano (e pensiamo anche degli italiani), consente di mettere a fuoco un punto tanto dolente quanto rilevante: la storia delle colonie italiane, con poche voci dissonanti a partire solo dalla fine degli anni sessanta, è stata una delle rarissime pagine della nostra storia non controverse, esempio di una “memoria condivisa” su cui si sono addensate versioni concordi e silenzi diversamente consapevoli. Gli italiani, così profondamente divisi fra ex repubblichini e antifascisti, fra cattolici e laici, fra destra e sinistra, fra monarchici e repubblicani, rispetto alla storia del nostro passato coloniale sono stati straordinariamente concordi nel condividere una versione e un’interpretazione dei fatti tanto indiscussa quanto falsa...

da http://www.storieinmovimento.org/index.php 

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