22.8.13

George Bernard Shaw e il gusto dell'eresia (Luciano Lucignani)

Dal paginone de “la Repubblica” per il trentennale di G. B. Shaw riprendo questo accurato profilo del drammaturgo e critico. (S.L.L.)
All’età di vent'anni George Bernard Shaw abbandona Dublino (dove è nato il 26 luglio 1856) per Londra, deciso a intraprendere la carriera letteraria. A Dublino lascia il padre e un impiego presso un'agenzia immobiliare; a Londra troverà la madre, che insegna musica, e le due sorelle, tette trasferitesi in Inghilterra qualche anno prima.
Carriera letteraria, per Shaw allora, significa ricchezza e gloria. Infanzia e adolescenza sono state abbastanza grige. I. suoi appartengono alla buona borghesia irlandese, ma sono vissuti sempre in ristrettezze. Il padre, George Carr, debole di carattere, ma non di rado rissoso per via dell'ubriachezza («in teoria un convinto astemio», dirà di lui il figlio, « ma spesso, in pratica, un bevitore furtivo»), è stato soprattutto un incapace, che ha mandato in rovina la famiglia con le sue speculazioni sbagliate. Quanto alla madre, Lucinda Elizalbeth, l'unico legame tra lei e i figli è stata la musica. Per al resto, non si è mai curata di loro.

Il vizio paterno
Queste circostanze hanno influito in modo determinante sulla vita del futuro Premio Nobel. La scoperta del vizio paterno è all'origine del suo rifiuto per l'alcool e il tabacco, e le cattive condizioni economiche gli hanno instillato un odio per la povertà che non verrà mai meno: «è il più grande dei mali e il peggiore dei delitti », scriverà.
Unici risultati positivi, la vasta cultura musicale (a soli quindici anni Shaw sapeva a memoria, o quasi, brani e opere di Haendel, Beethoven, Mozart, Bellini, Rossini, Donizetti, Mendelssohn, Verdi e Gounod) e le molte letture che lo ripagano delle delusioni scolastiche (Shakespeare, soprattutto; e poi anche Shelley, Dickens, Samuel Butler e John Bunyan, il grande predicatore puritano del XVII secolo).
In una commedia scritta quasi trent'anni dopo, L'altra isola di John Bull (1904), Shaw chiarisce il motivo che l'ha indotto ad abbandonare l'Irlanda. Il conflitto fra l'ingegnere irlandese Doyle e l'uomo d'affari inglese Broadbent è risolto in pratica in favore di quest'ultimo, che rappresenta un mondo reale, con possibilità di agire, contro quello dell'altro che è un mondo immaginario, ricco soltanto della facoltà di sentire. E' lo stesso conflitto che ha travagliato Shaw e che lui ha risolto lasciando Dublino per Londra.
« Io non ho mai lottato; sono sempre salito per semplice levitazione », dice in uno dei suoi scritti autobiografici. Ma è una dichiarazione fatta molti anni dopo, nello spirito del mito che Shaw ha costruito di se stesso, in realtà, i primi anni sono stati difficili, motto difficili. Per scrivere bastano carta, penna e calamaio. E Shaw scrive. Cinque romanzi, nei nove anni che vanno dal 1876 al 1885: Immaturità, Il nodo irrazionale, La professione di Cashel Byron, Amore tra gli artisti e Un socialista asociale. Sono tutti rifiutati più volte dagli editori. In compenso, quando Shaw sarà celebre, verranno stampati anche abusivamente.
Gloria e ricchezza, dunque, si fanno aspettare. In quei nove anni il lavoro letterario frutta a Shaw un guadagno complessivo di 6 sterline, cosi suddiviso: 15 scellini per un articolo sull'onomastica pubblicato da un settimanale, 5 sterline per un testo pubblicitario di una spedalità medicinale e 5 scellini per un verso. Un record degno di figurare nel Guinness dei primati, e tale, in ogni caso, da scoraggiare anche la più radicata delle voca zioni.
Non, comunque, quella di Shaw. Quegli anni difficili non lo sgomentano troppo. Si adatta a mangiare e dormire in casa della madre e occupa il tempo, oltre che a scrivere, a frequentare la biblioteca del British Museum, dove legge Marx e studia gli spartiti di Wagner, e i circola politici progressisti (prima la Zetetical Society, poi, dalla fondazione, nel 1884, la Fabian Society), obbldigandosi per giunta a tenere ogni settimana un discorso in pubblico, per vincere la sua fondamentale timidezza. Nel frattempo stringe amicizia con alcune delle personalità più significative del tempo: il sociologo Sidney Webb, l'economista americano Henry George, il poeta preraffaellita Wil liam Morris e il critico teatrale William Archer, traduttore di Ibsen.
E' appunto Archer che, mentre gli fa conoscere Ibsen, permette a Shaw di cominciare a lavorare nel giornalismo. Prima critico letterario della “Pall Mall Gazette” (1885), poi critico d'arte di “The World” (1886) e infine critico musicale di The Star (1888-90), dove firma i suoi articoli con lo pseudonimo di «Corno di Bassetto», il vecchio strumento caro a Mozart. La sigla che doveva diventare famosa, « G.B.S. », appare per la prima volta in calce agli articoli di critica teatrale er la “Saturday Review” (1895-98).
Shaw critico fa chiasso, scandalizza, interessa. In un'epoca in cui la musica consumata è soprattutto quella dei concerti di beneficenza e delle romanze da salotto, gli articoli suoi spiccano come veri e propri corsi di educazione musicale. Si batte per Wagner, ma non trascura di rivelare al pubblico inglese Mozart, a quel tempo quasi ignorato.
Ma le maggiori punte polemiche si trovano negli scritti di critica teatrale. Agitando la bandiera di Ibsen, Shaw comincia a spiegare agli inglesi, che cos'è il teatro: «Una fucina di pensieri, una guida della coscienza, un commentario della condotta sociale, una corazza contro la disperazione e la stupidità e un tempio per l'Elevazione dell'Uomo». I suoi lettori non lo avevano mai supposto. «Shaw demagogo», ha scritto Chesterton, « aveva finalmente avuto lo sgabello e il megafono; ed era ben deciso a farne il Pulpito dei Destino e la Tromba del Giudizio».

Guerra personale
Parole sante. Shaw inizia in fatti subito la sua guerra personale contro il teatro contemporaneo. Attacca senza misericordia l'artigianato dell'evasione, difende a spada tratta ogni tentativo di fare del nuovo, insegna agli attori come si recita e ai registi come si dirige; e per finire prende di petto la più rispettata, la più intangibile delle istituzioni inglesi: Shakespeare. «Stiamo facendo un feticcio del nostro Cigno», scrive. E per mostrare che Shakespeare non è quel genio infallibile che si crede, comincia a smontare uno dopo l'altro i drammi più celebri e a rivalutare, per dare una lezione agli studiosi e ai critici, quelli considerati minori. E' puro gusto dell'eresia, che tuttavia gli permette di scoprire, una volta per tutte, la bellezza e il significato di opere che in quel periodo non godono eccessiva reputazione, come Misura per misura e Troilo e Cressida.
A questo punto, illustrare come vanno intesi i sermoni altrui non gli basta più, Shaw vuole predicare in proprio. E comincia a scrivere commedie.
Tra la prima, Le case del vedovo, che è del 1892, e l'ultima, Buoyant Billions, del 1948, passano cinquant'anni esatti. E una cinquantina sono le commedie prodotte In questo periodo, tra brevi, lunghe e lunghissime (per rappresentare Torniamo a Matusalemme senza grandi tagli ci sono volute quattro sere). E' difficile, se non impossibile, ridurre una produzione tanto vasta ad un criterio, una ragione o una dottrina che non si identifichino con il temperamento dall'autore.
Perché Shaw ha detto tutto, e il contrario di tutto. Spirito di contraddizione e partito preso del paradosso sono il vero motore della sua ispirazione. Ateo, ha dato con Santa Giovanna il ritratto più sincero e meno convenzionale della pulzella d'Orléans. Socialista e rivoluzionario, ha dichiarato in più d'una occasione che il progresso è un'illusione. Ibseniano arrabbiato, non ha esitato a prendere in giro i patiti dell'ibsenisimo con L'uomo amato dalle donne; e con Candida ha quasi rovesciato il mito di Casa di bambola. Umanitario, nella prefazione a Fra gli scogli si è espresso con paradossale cinismo a favore d'uno sterminio «posto su basi scientifiche ». Puritano e pacifista, scrive con Il discepolo del diavolo una satira del puritanesimo e con Il maggiore Barbara un'apologia dei mercanti di cannoni. E così via.
Nel 1898 Shaw sposa Charlotte Francesi Payne-Townshend, una facoltosa irlandese che l'aveva amorosamente curato durante una malattia. Il successo è già arrivato, e con esso la gloria. Alla ricchezza provvede il matrimonio. Da questo momento la biografia dello scrittore non presenta più elementi d'interesse, se si eccettua l'amicizia « sentimentale » per due attrici, la Terry e la Patrick - Campbell (dal carteggio con quest'ultima Jerome Killfy ha tratto una commedia, Caro bugiardo, data anche da noi); e nel 1926 il conferimento del Premio Nobel per la letteratura.
Nell'autunno del 1950, una caduta nel giardino della sua casa di campagna, ad Ayot St. Lawrence, gli procura la rottura d'un femore. Muore serenamente il 2 novembre, alla venerabile età di novantaquattro anni e quattro mesi.
Dopo di che, è il silenzio. Shaw è ormai un classico, e come tale messo in naftalina. Cecchi scrive che Shaw ha vissuto troppo, e ha stancato la fama. Sarà davvero così?
C'è una famosa vignetta, dello scrittore e caricaturista Max Beerbohm, in cui si vede Shaw che consegna il suo vestito all’impiegato del Monte di Pietà. L'impiegato osserva l'indumento e dice: «Ma questi sono i calzoni di Nietzsche, il panciotto di Schopenhauer, la giacca di Ibsen. E in cambio di questa roba lei vorrebbe l’immortalità? ». E Shaw tutto serio: «Guardi però come sono messe le toppe!».
Beerbohm ha trascurato il soprabito (di Wagner) e l’ommbrello (di Marx), che certo avrebbero fatto il ritratto più completo.
Non so se la risposta di Shaw, però, sia giusta. So che quelle toppe si vedono benissimo. Perché, per fortuna sua sono motto più nuove dei vecchi calzoni, del vecchio panciotto e della vecchia giacca.
Per non dire del soprabito e dell'ombrello, naturalmente.


“la Repubblica”, 18 gennaio 1980

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