31.8.13

Blaise Cendrars, "mitobiografo" (di Jean-Louis Jeannelle)

Nel giugno scorso, in occasione della pubblicazione per l'editore Gallimard - nella prestigiosa "Bibliothèque de La Pléiade" - delle opere autobiografiche complete (Œuvres autobiographiques complete) di Blaise Cendrars (due tomi in cofanetto, più di duemila pagine), la recensione del quotidiano “Le Monde” è stata affidata alla bella penna di Jannelle. La posto qui nella mia traduzione. (S.L.L.)

Spesso Guillaume Apollinaire è stato chiamato "l'Enchanteur"  (“l’Incantatore”); l’epiteto potrebbe altrettanto bene applicarsi a Blaise Cendrars (1887-1961). Durante la sua giovinezza egli fu celebre soprattutto come poeta : nel 1912, la sua Pasqua a New York  fa ascoltare una voce potente, fino ad allora sconosciuta. Dopo la Grande Guerra, è un romanzo, L'Oro, qui gli procura il suo primo successo tra il gran pubblico nel 1925. Infine, a partire dagli anni Trenta, lo si conosce come reporter et "bourlingueur" (giramondo) ; è lui, da allora, a far entrare con il significato di “girovagare” il verbo "bourlinguer" nel dizionario francese. 
Sotto ciascuna delle sue facce, Cendrars est lo scrittore del movimento, di chi va, dell’inatteso. La Prose du transsibérien, il suo grande poema apparso nel settembre del 1913 nella forma di un libro verticale illustrato da une "armonia di colori" con la tecnica del pochoir (una sorta di stampino) da Sonia Delaunay, ne è il simbolo : "Allora ero nella mia adolescenza / Avevo appena sedici anni e non mi ricordavo più della mia infanzia / Ero lontano dal luogo di nascita, a 16.000 leghe di distanza". La musica era stata l'arte “sorella” della letteratura nell’epoca simbolista; all’inizio degli anni Dieci, sono la pittura e l’insieme delle arti plastiche a giocare questo ruolo: all’amore della melodia si sostituisce una ricerca di simultaneità. La vettura, il treno, l'aereo, il telefono, la radio ... : è il tempo della velocità.

Un tutto coerente
Non è né il poeta, né il romanziere d’avventure, né il giramondo che entra oggi nella "Pléiade", ma l’ultimo Cendrars, il più attraente forse, l’autore di quegli strani libri, che egli descrive come delle "Mémoires sans être des Mémoires..." ("memorie senza essere memorie"). 
L'Homme foudroyé (1945), La Main coupée (1946), Bourlinguer (1948) et Le Lotissement du ciel (1949) formano un tutto coerente, che alcuni sorprendenti testi giovanili completano. Accanto a loro si trovano in particolare i frammenti di un primo progetto autobiografico, al quale Cendrars aveva pensato di dare questo titolo luminoso: Sotto il segno di François Villon. Ma non stupiamoci: lo scrittore non ha mai seguito un piano; in ciascuno dei suoi libri egli inventa una maniera totalmente inedita di raccontarsi. La tetralogia propone nondimeno una voce particolare, che fa di Cendrars uno dei grandi autobiografi del secolo scorso, con André Gide, Jean-Paul Sartre, Michel Leiris o Nathalie Sarraute.
Già professore a Parigi-Nanterre, Claude Leroy realizza qui l'esito finale di tutta una carriera votata all’erudizione cendrarsiana. Una erudizione che tempera, in questa edizione della  "Pléiade", una vera empatia per lo straordinario "mitobiografo" che fu Blaise Cendrars. La sua amputazione, durante la guerra, del braccio destro ("son bras d'écrivain et de guerrier") costrinse il poeta a rinascere alla scrittura dal suo lato sinistro. Gli accadde allora di doversi reinventare nel dolore e nella goffaggine, ma liberato delle vane rivalità di Saint-Germain des Prés e dei canoni del buonsenso estetico.
In Cendrars la distinzione tra sincerità, mitomania e finzione non ha più corso. Rovesciando radicalmente ogni cronologia, egli tralascia i personaggi storici a vantaggio di sconosciuti che egli erige in figure indimenticabili. Per esempio un tal Oswaldo Padroso, il cui vero nome era Luiz Bueno de Miranda, proprietario della fazenda del Morro Azul nello Stato di San Paulo, che inventa une costellazione battezzata "Tour Eiffel sidérale" (mai riconosciuta, e a ragione, dalla Société astronomique de France), vissuto a lungo in reclusione a causa del suo amore per Sarah Bernhardt, cui scriveva ogni notte poemi nascosti con cura in una cassaforte.
Cendrars fa della propria vita una serie di episodi più sbalorditivi di quelli del romanzesco più sfrenato, ma lo stile è di una sofisticazione e di una bellezza pari a La Règle du jeu (1948-1976), di Michel Leiris. Tutto è soggetto a un incantamento simile a quello del giovane Cendrars che osserva a 11 anni, “pettinato, lustrato, cosmetico”, la bella Liane de Pougy, il suo primo amore da uomo, avenue Victor-Hugo : "Quando lei scendeva la scala dal suo mezzanino, io le cedevo il passo schiacciandomi contro il muro e le rivolgevo una grande scappellata arrossendo fino alla radice dei capelli, io m’inclinavo profondamente per nascondere la mia emozione ma anche per seguire con gli occhi la sua veste frusciante che gorgogliava dietro di lei, cadendo a cascata da un fianco sull’altro fino alla base della scala a chiocciola, il che mi riempiva di un turbamento fatto d’ammirazione e di costernazione e mi faceva girare la testa con più forza della vertigine dei suoi effluvi che turbinavano nella sua scia”.
Non è il caso di aggiungere che il suo “angelo” (la formula risale a Balzac) non lo ha mai notato. Marcel, il narratore di A la recherche du temps perdu, usava lo stesso sotterfugio per avvicinare la duchessa de Guermantes. In Cendrars, nessuna strategia per accedere ai salotti più esclusivi dell’aristocrazia, nessuna riconquista di un tempo perduto; il passato è da catturare a scatti, come quel colpo d’occhio sul frou frou di una veste. Egli è tenero e crudele, divertente e mistico, eterogeneo eppure sempre sorprendente come il primo sguardo.

" Le Monde", Le Monde des livres, 13.6.2013

Traduzione Salvatore Lo Leggio

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