8.6.14

Lo scrigno di Alessandro Magno (Lidia Storoni)

Da quando, percossa e attònita, l'armata che lo aveva seguito fino all'India apprese la sua morte (323 a.C.), la figura di Alessandro si trasferì dalla storia nella leggenda. Adunandosi per deliberare sulle guerre in corso e sulla spartizione dei territori conquistati, i suoi compagni si disposero attorno al trono vuoto del re, presenza invisibile ma ancora imperiosa. Quel trono vuoto perdura nell'iconografia cristiana, simbolo dell' imminente ritorno di Cristo Giudice. Nei ritratti, il volto di Alessandro subì l'adeguamento ai connotati psichici che gli erano stati attribuiti: assorto, trasognato, il capo reclino in ascolto di voci soprannaturali, la capigliatura a ciocche scomposte. Particolare, quest'ultimo, imitato da quei sovrani di ambizioni teocratiche, come Caligola e Nerone, che cercavano di assomigliargli: Nerone si cospargeva perfino la testa di polvere d'oro (i tradizionalisti romani invece, "gente togata", tutti codice e concretezza, stavano belli dritti, capelli corti, rughe e verruche al loro posto; e, come tutti i conservatori, aborrivano capelloni e omosessuali. Che Alessandro lo fosse, o fosse addirittura impotente, può spiegare la sua mirabile continenza verso le regine catturate).
Col tempo, la figura del re si dilatò fino a diventare un modello ossessivo. Cesare pianse nel ricordare quante imprese aveva già compiuto Alessandro alla sua età; Tito Livio, come rileva in un famoso brano Piero Treves in Il mito d' Alessandro e la Roma d'Augusto, cercò di ridimensionare quell'eroe troppo celebrato: se Alessandro, scrive Treves, anziché volgere le armi contro i persiani si fosse diretto a Occidente, avrebbe trovato la barriera infrangibile delle legioni romane e i loro condottieri, che non gli erano affatto inferiori. Riconosciamo quell'immagine ispirata e sognante non solo in ritratti famosi, sparsi nei musei di tutto il mondo, ma perfino nella testina d'avorio trovata, tra le armi e le urne cinerarie d'oro massiccio, nella tomba creduta di Filippo il Macedone, recentemente scoperta a Vergina. Non poteva presentarsi come un comune mortale colui che non conosceva limiti né ostacoli e che l'oracolo di Ammone, in Egitto, aveva chiamato "Figlio di Dio". Un assiduo lavorìo mitografico, assimilando le gesta di Alessandro a quelle di Eracle e Dioniso, contribuì a collocarlo tra gli dèi mentre era ancora in vita; poi, ogni generazione, ogni popolo lo vide attraverso il prisma delle sue scelte politiche. Nella ricerca inquieta della propria identità, egli si riconobbe in quelle due divinità e in Ciro, il condottiero persiano, questo è quanto sostiene Pietro Citati, di cui Rizzoli ristampa in questi giorni la poetica biografia del re (Alessandro Magno. Apparato critico e fonti a cura di Francesco Sisti, pagg. 261, più illustrazioni e indici, lire 25.000). La molteplicità delle leggende che riguardano Alessandro, delle versioni iconografiche nelle quali fu raffigurato - a fianco di Buddha, sull'Olimpo, oltre le Colonne d'Ercole, in fondo al mare - stupì i visitatori della mostra di Salonicco del 1980, Alla ricerca di Alessandro. Ancora oggi, scrive un altro suo biografo, lo storico inglese Robin Lane Fox, in un bel volume pubblicato da Einaudi nell'81, durante le notti tempestose i pescatori di Lesbo gridano al mare: "Dov'è Alessandro il Grande?", e si rispondono a vicenda, per rassicurarsi: "Alessandro vive e regna...". Alla storiografia odierna, che nega l'influenza dell'individuo sugli avvenimenti, all'interrogativo plutarchiano (Virtus o Fortuna?), Fox risponde che alla personalità di Alessandro è dovuta la grande rivoluzione politica, culturale e ideologica che si verificò al suo tempo.
Quella personalità ha costituito per secoli un mito, un tema retorico e un enigma. Aveva avuto un precettore insigne, Aristotele; ma si discostò dal suo ammonimento di trattare da uomini soltanto i greci, gli altri alla stregua di animali. Alessandro, al contrario, si fece portatore d' un messaggio di fratellanza universale, prima che Zenone, come afferma Tarn, facesse di questo principio il cardine della dottrina stoica. E' esatto dirlo animato da precisi disegni politici? In effetti, la vastità smisurata dei territori da lui conquistati sconfiggendo via via tutti gli eserciti che incontrava, e la varietà dei costumi dei popoli soggiogati, gli imponevano di ostentare una volenterosa adozione dei loro usi, via via che avanzava. Fa parte di questo atteggiamento il suo matrimonio con Roxane e l'episodio del convito nel corso del quale avrebbe invitato i commensali macedoni a brindare con i nemici vinti, i persiani. Ponendosi al di sopra delle nazioni, Alessandro assumeva quella sovranità mondiale - quell'assolutismo - che aveva appreso appunto dai nemici secolari della Grecia, quei persiani che voleva sconfiggere per vendicare le antiche offese; e questo intento aveva persuaso molti greci a seguire i re macedoni. L'incendio spettacoloso del palazzo reale a Persepoli, si disse, fu voluto da Alessandro per vendicare la distruzione del Partenone di centocinquant'anni prima. Ma intanto egli adottava dai persiani non solo l'abbigliamento e le armi, ma il lusso e quell'etichetta servile tanto invisa ai suoi veterani: la genuflessione.
Nell'immenso Stato sovranazionale, la pòlis venne sommersa. La parificazione etnica, la pace universale furono dunque un'idea utopica perseguita consapevolmente sin dagli inizi, o una necessità politica gradualmente intuìta? Oppure gli fu attribuita retrospettivamente da storici imbevuti di dottrine egalitarie? Non lo sapremo mai. Tutto ciò che riguarda Alessandro è favoloso e irreale, ad onta dell'esistenza di documenti che Citati ha pubblicato a seguito della sua biografia per imprimere validità scientifica alle proprie pagine. I testi, tradotti e autorevolmente commentati dal grecista Francesco Sisti, appartengono ad autori posteriori al Macedone di quattro o cinque secoli (Curzio Rufo, Arriano, Plutarco). Questi autori ebbero certamente la possibilità di consultare fonti per noi scomparse - diari di guerra, lettere, narrazioni di contemporanei storicamente noti. Ma queste stesse fonti possono essere il prodotto di alterazioni interessate ai fini dinastici dei re titolari delle monarchie in cui fu diviso l' immenso territorio conquistato; gli storici antichi non si facevano scrupolo di condensare in discorsi o lettere fittizie il pensiero dei personaggi storici (lo hanno fatto senza scomporsi anche Livio e Tacito). Queste contraffazioni, del resto, hanno il merito di farci intendere come fu visto e interpretato il protagonista da chi lo conobbe. Non manca la condanna da parte di pensatori umanitari e pacifisti di quell'eroe irrequieto e insaziabile: flagello dei popoli, bandito, nefasto al genere umano, lo definirono Seneca e Lucano. Fu certamente indecifrabile per le sue contraddizioni: a volte mite, rispettoso dei vinti, continente, generoso; altre volte, preda del vino e dell'ira, feroce, come lo fu distruggendo Tebe e massacrandone gli abitanti che non volevano sottomettersi ai re macedoni. Allevato da un padre che per il primo aveva fatto d'un aggregato di feudi un regno, d'una molteplicità di milizie private un esercito e aveva chiamato in un paese rozzo e incolto intellettuali e artisti eccelsi - una visita al Museo di Salonicco lascia sbalorditi -, figlio d'una donna epirota, Alessandro portava con sé in uno scrigno la cosa più preziosa che avesse: l'Iliade. Sentiva forse che per opera sua la cultura greca si sarebbe diffusa in paesi molto più lontani di quel che il sogno panellenico ateniese avesse mai previsto. Nella sua essenza fondamentale, lo spirito greco era l' opposto della monarchia universale che fu attuata da Alessandro: lo sentì Demostene, opponendosi a Isocrate, sostenitore di Filippo come capo di tutta la Grecia nella crociata contro la Persia. La caratteristica della "politeia" greca è la democrazia: parola inventata appunto dai greci. Alessandro cercò di instaurarla nelle settanta città da lui fondate. Ma quelle idee, da lui esportate nel mondo, erano state spente per sempre a Cheronea.


“la Repubblica”,16 novembre 1985  

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